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In un forum che tratta di salute e malattie, può succedere che improvvisamente qualcuno offra la soluzione tanto agognata, via mail o via messaggio privato.
DIFFIDATE sempre, controllate, ricercate e chiedete. Chiedete ad altri foristi se per caso conoscono questo prodotto, chiedete se esistono dei test e delle testimonianze attendibili.

Che il cibo sia la tua unica medicina (Ippocrate).
Il filosofo Feuerbach asseriva che noi siamo quello che mangiamo (e quello che beviamo), quindi, vi sono cibi che ammalano e cibi che guariscono. Una corretta alimentazione è la base per un sano vivere.

Domanda Rapporto alimentazione/ DNA (patrimonio genetico).

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12 Anni 1 Mese fa - 12 Anni 1 Mese fa #4219 da Raffaele/Michelangelo
Rapporto alimentazione/ DNA (patrimonio genetico). è stato creato da Raffaele/Michelangelo
Oggigiorno, potremmo evitare d’incorrere in serie malattie se solo ricorressimo, soprattutto sotto l’aspetto della nostra dieta alimentare, a certi laboratori diagnostici di genetica.

Voglio intendere che il patrimonio genetico risenta tantissmo del nostro regime alimentare, che in molti rinunciano a calibrare facendosi trascinare più dal piacere dei sensi che non dalla prospettiva d’una vita in buona salute, sulla falsariga che sia troppo complicato e che addirittura si spoetizzi il “piacere di vivere”.

Beati coloro che trovano gusto a farsi una sana scorpacciata di veleni! (ndr.)

Un adeguato programma nutrizionale deve includere una sana integrazione Ortomolecolare di Vitamine, Minerali, Oligoelementi, Aminoacidi, … perché gli alimenti sono fortemente declassati dall’inquinamento sia dell’aria sia del terreno sia dell’acqua.

Proprio nella valorizzazione della nostra disposizione genetica attraverso adeguati nutrienti risiede la possibilità di vivere una vita quantitativa e qualitativa, ossia longeva e in salute.

Da qui, il termine di “Nutrigenomica”, quale scienza che cerca di comprendere l’incidenza delle personali abitudini alimentari sul proprio patrimonio genetico, in modo tale da approntare tutte quelle “contromisure geniche” che possano evitare anche preoccupanti malattie.

Attraverso la descrizione della struttura, della posizione e della funzione dei 100.000 geni che contraddistinguono la specie umana si è potuto individuare il sistema di sollecitare convenientemente quelli che ci evitano le malattie e ci fanno avanzare più lentamente negli anni.

Sintetizzando tutto quanto fin qui espresso, è possibile asserire che certi nutrienti siano alla base dell’allungamento della nostra esistenza, promuovendone addirittura la valorizzazione.

Infatti, il team del Dott. Scapagnini mostrò come il vino rosso sia in grado di prevenire il Diabete di tipo 2 o il curry l’Alzheimer.

Il ricercatore ci riferì anche d’un pesciolino, dimorante nella stagione delle pioggie nelle pozze del deserto del Kalahari, in Sudafrica, che vive mediamente 70 gg.

Bene: riproducendogli in laboratorio un similare habitat ma rifornendogli specifici alimenti, drizzate le antenne, la sua vita s’allungò di ben 28 gg, ossia del 40%!

Come del resto per i sorci molto grassi che vissero il doppio perché nella loro grassa dieta si somministrò una certa molecola contenuta nel vino rosso.

Conclusione: vi sono dei nutrienti in grado d’innescare delle “contromisure geniche”, ossia delle sostanze che possiamo includere nella nostra dieta affinché regolino l’atteggiamento dei geni e ci evitino sonore patologie.

Ognuno di Noi appartiene a un determinato gruppo sanguigno.

Proprio da qui dobbiamo partire per calibrarci una dieta che tenga conto della nostra individualità genetica, al fine di vivere più a lungo e in buona salute.

C’è, come dire, una celeste corrispondenza tra il cibo e più in generale le nostre abitudini di vita (se straviziamo e siamo dediti all’alcool, se fumiamo, se usiamo droghe, …) e le reazioni dei nostri geni, anche combinate tra di loro: certe errate assunzioni alimentari ci rendono maggiormente vulnerabili a un determinato tipo di malattie, cert’altre fanno invece scattare dei veri e propri sistemi di difesa e di tutela genetica.

Ben venga dunque la Nutrigenomica, laddove essa ci aiuti a comprendere che le sostanze nutrizionali immesse al nostro interno con l’alimentazione possano avere ripercussioni sia sulla conformazione genica sia sulle loro manifestazioni, che il nutrimento possa costituire sia un elemento predisponente alla malattia degenerativa sia una prevenzione contro di essa stessa, che c’è un livello interattivo tra benessere e patologia collegabile al DNA di ciascuno di Noi, che si possa approntare un piano alimentare ad hoc allo scopo di mantenersi in buona salute o di rimediare a certe contratte malattie.

Attraverso la Medicina predittiva è possibile configurare la percentuale di rischio che ciascuna persona ha di contrarre certe malattie nel corso della propria esistenza in vita, sulla base delle proprie puntuali indicazioni genetiche, monitorare ciascun individuo sì d’approntare degli specifici anticipati provvedimenti atti al suo risanamento.

Insomma, una medicina della singolarità, che richiede, come potete ben intuire, un’autentica rivoluzione in campo soprattutto medico dove mi pare che, almeno di questi tempi e a certe latitudini non Ortomolecolari, non vi sia da stare molto allegri.

Il primo passo da compiere consiste nella determinazione del proprio gruppo sanguigno, per esempio lo scrivente appartiene al gruppo 0-, di cui fa parte un 6,5% circa degli individui, con la caratteristica di poter donare il sangue a chiunque.

Il passo succesivo è rappresentato dal Test del polimorfismo genetico che esamina una cinquantina di polimorfismi ubicati su 36 geni, fondamentali nei processi infiammatori, di detossificazione, nella funzione antiossidante, nella reattività all’Insulina, per mantenere sano il cuore e l’endoscheletro.

Escludendo il campo delle carenze nutrizionali, esistono circa un mezzo centinaio di patologie genetiche attribuibili all’esistenza di modifiche geniche, le quali regolamentano per enzimi implicati in determinati iter del ricambio e che ogni gene ha prèss’a pòco una decina di varianti rispetto a quello “normotipo”, definite per l’appunto polimorfismi, cui fanno seguito le conseguenti modifiche definite alleli.

Ora, dato che frequentemente intervengono dei polimorfismi, va da sé che non tutti andranno a produrre serie compromissioni dello stato di benessere e che per fortuna la stragrande parte d’essi esiterà in una modestissima anomalia sull’efficienza della proteina per la quale codifica.

E questo spiega le diversità da un individuo all’altro, anche nei confronti del tipo d’alimentazione.

Mi preme poi sottolineare quanto sia importante ai fini d’una vita sana e longeva il non eccedere con il cibo, il quale è in stretta interconnessione coi geni che difendono le cellule dalla senilità.

Certi studi hanno infatti evidenziato come una parca dieta allerti due “vedette” tutori del non declino cellulare.

Per es., la longevità della vita parrebbe in correlazione con una stirpe di proteine a “punta di forchetta”, una delle quali la DAF-16, vincolandosi al DNA, regimenta taluni geni in grado di prolungare l’esistenza.

Per dirla tutta, la predetta proteina ne richiede un’altra, la SMK-1, di non minor rilevanza.

Individuare il gene che espliciti la ripercussione d’una parca dieta sulla longevità, equivarrebbe ad allungare d’un bel po’ gli anni della nostra esistenza in vita.

Del resto, anche recentemente un’equipe di ricercatori ha concluso che le nostre cellule siano capaci di rilevare la riduzione delle calorie come un’insidia nei loro stessi confronti e pertanto innescherebbero dei geni (SIRT-3 e SIRT-4) atti a custodirle, anche in grado di tutelare i Mitocondri (produttori energetici del livello cellulare), di rafforzare le cellule facendo loro fornire un maggior tasso energetico, tale da ridurne la loro stessa moria.

A conferma di quanto espresso, tra i più longevi abitanti del Pianeta figurano i Giapponesi di Okinawa e di Amami, le cui femmine campano mediamente fino a 86 anni.

Esse giornalmente assumono circa 1800 calorie, quantitativo ben inferiore a quello degli abitanti USA (3000 Kcal) o anche di noi Italiani (2500 Kcal).

Ovviamente, senza sostenere che alla base della longevità vi sia solo il cibo, essa è in correlazione anche con le cellule staminali, potremmo, mangiando meno, arrivare comodamente a … 120 anni!

Mi fermo qui ma la discussione è appena cominciata.

Raffaele
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12 Anni 1 Mese fa #4284 da Clara
Ciao Raffaele, anche io sono o rh negativo, ho letto che la dieta di questo gruppo sanguigno rappresentato dalla figura del cacciatore, dovrebbe essere ricca di carne. In effetti io sono una "aspirante vegetariana", ma il "bisogno" che sento ogni tanto, purtroppo, di mangiare carne è forte.
Ho letto da qualche parte che una dieta che corrisponda al proprio gruppo sanguigno è in grado di intervenire profondamente sul sistema immunitario.

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12 Anni 1 Mese fa - 12 Anni 1 Mese fa #4295 da Raffaele/Michelangelo
Risposta da Raffaele/Michelangelo al topic Re: Rapporto alimentazione/ DNA (patrimonio genetico).
Quando il sangue fuoriesce per un qualche motivo (ci siamo punti, tagliati, feriti, …), esso è una sostanza fluida di un bel rosso vivo.

Se però visualizzassimo lo stesso liquido al microscopio con un grandimento di 200 volte, ecco che potremmo osservare le differenti tipologie cellulari.

Aumentando ancor più gli ingrandimenti, ci troveremmo addirittura di fronte a un meraviglioso universo che mai avremmo sospettato di esistere: eritrociti, leucociti, piastrine, granulociti neutrofili, basofili, eosinofili, cellule linfoidi (linfociti e monociti).

Nel dettaglio, gli eritrociti, anche emazie o più comunemente globuli rossi, piuttosto numerosi, contengono molta emoglobina, una cromoproteina (dà al sangue la tipica colorazione rossa) globulare che si lega al ferro, la cui essenziale funzione è di veicolare l’ossigeno dai polmoni a tutti i distretti cellulari, assicurando così la vita alle nostre cellule.

I leucociti, anche globuli bianchi, per quantità molto inferiori agli eritrociti, “traversano” incessantemente il “mar rosso”, per sorvegliare che tutto scorra nella norma e sono in grado d’intervenire repentinamente contro ogni nocivo, sgradito ospite.

Le piastrine, cellule del sangue, prive di nucleo, elaborate dal midollo osseo, ci sono molto utili in caso di emorragie, ferite, traumi di vario genere, in quanto si “attaccano” tra loro e promuovono la coagulazione del sangue.

Tutto ciò è “affogato” in una sostanza fluida di nome plasma, ricco di proteine, impiegate per compiere le più differenti mansioni.

Alla luce di quanto espresso, e non solo in certi ferali frangenti, dovrebbe apparirci sempre chiaro il concetto che il sangue sia un fluido mobile e al contempo operoso.

L’uomo nel corso della sua evoluzione ha dovuto spesso mostrare una certa capacità d’adattamento alle più insolite situazioni, “fabbricandosi” il proprio specifico gruppo sanguigno estremamente correlato a quello immunitario, come ci mostra per l’appunto la propensione da un soggetto all’altro a contrarre differenti malattie.

Frequentemente, il S.I. dell’uomo declassa per via che i sensi del piacere (olfatto-gusto) prevalgono su quelli del pericolo (vista, udito, tatto) e con altrettanta frequenza egli si ritrova in malattia, del tutto incompetente a fronteggiarla.

Eppure, occorre provvedere a farlo, altrimenti il nostro stato di salute passerà da un guaio a un altro.

Fuori dalle righe, sto asserendo che dovremmo prevenire piuttosto che curare, attraverso la nostra possibilità e capacità di selezionare scelte “nutrigenomiche” in funzione del proprio gruppo sanguigno.

Già, perché quotidianamente le nostre difese immunitarie lottano per riconoscere e accogliere tutto quanto in sintonia col nostro patrimonio genetico, debellando gli eventuali pericolosi intrusi.

Una lotta non certo facile se pensiamo al serio inquinamento dell’aria, dell’acqua, del terreno, all’abuso farmacologico (vaccini, antibiotici, antidolorifici, cortisonici, ansiolitici, antidepressivi, …), alle allergie e intolleranze ambientali e alimentari, … che arrecano gravissime ripercussioni sul nostro S.I. il quale, indebolendosi sempre di più, esita nella malattia.

E di quanto il declassamento delle nostre difese immunologiche sia preoccupante ne è la prova il fatto ch’esso arrivi, pur di debellare i “velenosi inquilini”, a farsi harakiri con le patologie autoimmuni, di cui in molti conoscono gli sconquassanti effètti.

Effettivamente, il nostro stesso corpo (cellule, tessuti, organi, apparati) è aggredito dal suo medesimo Sistema Immunitario, tanto è pregno di sostanze tossiche, in un estremo, eroico tentativo atto ad arrestare il passaggio a batteri, virus, sostanze dannose.

Ma, attenzione: quel che accade ha sì un serio immediato contraccolpo ma ne consegna un altro ancor più sinistro sia al nostro patrimonio genetico sia al nostro emogruppo.

Esso lascia una “memoria di sé”, come dire, una “passività immunologica” da saldare, un deficit che diverrà ereditario nei gruppi sanguigni e sarà, ahimè, foriero di mari procellosi.

Alla prossima.

Raffaele
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12 Anni 1 Mese fa - 12 Anni 1 Mese fa #4301 da Raffaele/Michelangelo
Risposta da Raffaele/Michelangelo al topic Re: Rapporto alimentazione/ DNA (patrimonio genetico).

Clara ha scritto: Ciao Raffaele, anche io sono o rh negativo, ho letto che la dieta di questo gruppo sanguigno rappresentato dalla figura del cacciatore, dovrebbe essere ricca di carne. In effetti io sono una "aspirante vegetariana", ma il "bisogno" che sento ogni tanto, purtroppo, di mangiare carne è forte.
Ho letto da qualche parte che una dieta che corrisponda al proprio gruppo sanguigno è in grado di intervenire profondamente sul sistema immunitario.


Ciao, Clara.

Mi fa piacere che tu sia, con me, in quel 6,6% di persone che hanno un gruppo sanguigno 0-.

Per quanto tu scrivi di essere un'aspirante vegetariana, ti posso tranquillizzare e dire di continuare a esserlo.

Senza approfondire molto perché, da come avrai intuito, ho intenzione di tirare avanti a lungo i miei interventi, non ad personam ma rivolti a tutti, su questo thread, se è pur vero che l'emogruppo 0 sia quello contraddistinto, per come tu scrivi, dalla "figura del cacciatore", caratteristica dei carnivori, sappi che farai bene a tenere il tuo quantitativo di proteine al di sotto dei 30-35 g al dì, il che significa 120 g circa di carne da allevamento naturale o bio, che puoi inserire anche due volte la settimana, tamponandola (che bello!) con tanta, ma dico tanta verdura e frutta (questa ovviamente, lontana dai pasti).

Lo stesso dicasi per il pesce (anch'esso carne) del quale non dovrai comunque eccedere, evitando il salmone affumicato, il caviale, il polpo, le aringhe in salamoia, ...; vanno benissimo il merluzzo, il nasello, lo sgombro, la sogliola, le sardine, ...

Consuma solo uova d'allevamento naturale o bio e con moderazione (1 max 2 la settimana).

Evita tutti i gli affettati (prosciutto, mortadella, salame, ...) e gli insaccati (salsicce, ...).

Evita il latte e tutti i suoi derivati, compresi tutti i Formaggi.

Mi fermo qui, il resto lo possiamo definire in privato, ma solo perchè non voglio su questo Thread seminare in modo improprio.

Una serena e in salute domenica; con affetto, Raffaele.
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12 Anni 1 Mese fa #4529 da Raffaele/Michelangelo
Risposta da Raffaele/Michelangelo al topic Re: Rapporto alimentazione/ DNA (patrimonio genetico).
Gli antigeni, straordinaria dotazione del nostro S.I., sono in grado di accertare con strabiliante “accortezza e bravura” l’ammissibilità o l’esclusione delle varie molecole che introduciamo nel nostro corpo.

Quando le nostre stazioni immunologiche s’interrelazionano con molecole dalla dubbia codifica come, per es., l’antigene d’un certo microrganismo, subito attraverso di esso (antigene) ne rilevano informazioni circa il gruppo sanguigno al fine di assodare se “l’ospite” sia un alleato o un pericoloso rivale.

Difatti, ciascun emogruppo deve la propria denominazione proprio all’antigene specifico che lo contraddistingue.

Per associarvi un’immagine, essi risultano come dei ripetitori, la cui asta, costituita da innumerevoli molecole di fucosio (aldoso levogìro di formula C6H12O5 o semplicemente un tipo di zucchero) legate l’una all’altra, fa da rinforzo mentre la sommità costituisce una specie di ricetrasmittente.

L’emogruppo più elementare, lo 0, non ha antigeni, per cui a livello cellulare si osservano solo le sequenze molecolari di fucosio senza l’estremità.

Il tipo A congiunge al fucosio l’N-acetilgalattosamina ossia un altro zucchero.

L’emogruppo B congiunge al fucosio la D-galattosamina, altro zucchero.

Il tipo AB congiunge al fucosio ambedue gli zuccheri (N-acetilgalattosamina- D-galattosamina).

Il tutto è poi ulteriormente ripartibile sia a seconda del fattore Rh sia per ciò che attiene ai “secretori” e ai “non-secretori”, sui quali è utile scrivere qualche riga.

I “secretori” secernono i propri antigeni dei gruppi sanguigni nei fluidi corporei come, per es., la saliva in bocca, il muco nel tratto digestivo, le secrezioni genitali, le urine mentre i “non-secretori” non hanno antigeni sanguigni nei fluidi pre-menzionati.

Il fatto che l’80% degli uomini siano “secretori” è evidentemente un bene, in quanto costituisce una difesa immunitaria in più nei confronti di microrganismi patogeni e delle sostanze tossiche e irritanti.

Infatti i “non-secretori” sono più inclini a contrarre processi infiammatori di vario tipo, al diabete di tipo 1 e 2, alla Candida sia in bocca sia nell’apparato gastroenterico, alle fibromialgie, alle patologie autoimmuni, alle periodiche infezioni urinarie con un’alta percentuale ch’esita nelle cicatrizzazioni a carico dei reni.

Ciò significa che i “non-secretori” devono prestare una maggior diligenza nell’individuare un’idonea dieta.

Per sapere se si appartiene ai “secretori” o ai “non-secretori” c’è un Test sulla saliva che per l’appunto trova gli antigeni dei gruppi sanguigni, i quali se risultanti connotano un “secretore”, diversamente, se assenti, un “non secretore”.

Allo stato attuale delle cose, ma potrebbe essere un mio limite, non mi pare che in Italia si possa fare questo Test, eseguito, per es., negli USA, in laboratori specializzati.

Meno male che c’è un test ematico (Test di Lewis) che possiamo fare in qualsiasi laboratorio d’analisi in Italia in grado di scioglierci l’arcano.

Raffaele
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12 Anni 1 Mese fa - 12 Anni 1 Mese fa #4638 da Raffaele/Michelangelo
Risposta da Raffaele/Michelangelo al topic Re: Rapporto alimentazione/ DNA (patrimonio genetico).
Quando scegliamo il compagno/a di vita, infrequentemente valutiamo il suo emogruppo, diversamente, per es., da come facciano certi popoli dell’Asia orientale.

Con un semplice e minimo prelievo ematico è possibile caratterizzare sia il più importante sistema dei gruppi sanguigni chiamato AB0 sia l’Rh.

Lo scrivente, come già detto, appartiene al gruppo 0-, ossia lo 0 è il mio AB0 (a-bi-zero) e il – è il mio tipo di Rh.

Il sistema AB0 connota quattro possibilità: A, B, AB, 0.

L’Rh ne ottempera due: Rh+, Rh-.

I nostri globuli rossi hanno sulla parte superficiale delle caratteristiche molecole, gli antigeni, che ci fanno ascrivere a un gruppo sanguigno piuttosto che a un altro.

Tali varianti strutturali degli eritrociti non permettono donazioni di sangue tra emogruppi che non siano compatibili, perché si attiverebbero effètti contrari nel ricevente.

Sono il papà e la madre a consegnare in eredità il gruppo sanguigno al nascituro.

Se andiamo poi a vedere la dislocazione nel mondo del sistema AB0, osserviamo come il B sia l’allele (ciascuna forma alternativa di uno stesso gene) ematico AB0 meno frequente (16%), seguito dall’allele A (21%), mentre al primo posto figura l’emogruppo 0 (né allele a, né allele b) con il 63%.

In relazione sempre al fatto strettamente geografico, il tipo B lo troviamo soprattutto nella zona centro-asiatica e in Africa; quello A, per lo più in Lapponia e nel nord della Regione Scandinava, oltre che tra gli aborigeni dell’Australia e tra gli indiani del Montana; infine, lo 0, tra gli aborigeni dell’Australia, in Europa occidentale, nel centro e sud-America, dove ha picchi del 100%.

Per quanto poi attenga ai due fattori, prevale nettamente Rh+.

Credo che su questo Forum non serva ricordare che se proprio volessimo fare una classificazione tra gli uomini della Terra la potremmo magari fare sui gruppi sanguigni e non certamente su base razziale, classificazione che potrebbe semmai configurarsi in una diversità storico-culturale piuttosto che in un contesto biologico.

Il sistema AB0 (A-Bi-Zero), come si osserva, consta delle prime due lettere in stampato maiuscolo dell’alfabeto italiano, ma forse quello 0 (Zero) può anche leggersi O (lettera in stampato maiuscolo dell’alfabeto italiano), magari giustificata dall’iniziale della preposizione tedesca “ohne”, reggente l’accusativo, col significato di “senza”.

Invece, il nome del sistema Rh proviene dal macaco Rhesus, un primate della famiglia dei cercopitecidi dell’Asia centro-meridionale e sud-orientale, sui cui eritrociti fu per la prima volta individuata la proteina del fattore Rh.

Tale evidenza fu possibile iniettando un po’ di sangue del macaco in un coniglio, il quale, come sapete, è un fabbricatore di anticorpi per antonomasia: all’osservazione, il plasma del lepòride così “infettato” presentò dei nuovi anticorpi (anti-Rh), producenti la dissoluzione dei globuli rossi ematici del macaco.

Su tale presupposto si determinarono così sia l’Rh+ degli individui che reagiscono con l’anticorpo anti-Rh sia l’Rh- dei soggetti le cui emazie non si uniscono all’antigene Rh.

Per meglio precisare, l’Rh negativo indica la mancanza del determinante Rh sulla membrana citoplasmatica degli eritrociti e figura esclusivamente in soggetti omozigoti (coppia di alleli identici) per quel carattere, per cui solamente nei figli di genitori entrambi Rh negativi o eterozigoti per il fattore Rh.

Le future madri sappiano che il fattore Rh cagionava nei tempi trascorsi una malattia tipica dei neonati.

Ciò perché nel nono mese di gestazione poteva determinarsi un flusso d’anticorpi, necessari per il bebè, dal sangue materno a quello fetale, anticorpi fabbricati contro il fattore Rh, in grado d’essere particolarmente nocivi.

Il fattore Rh è un antigene geneticamente determinato.

Le gestanti Rh- alla prima gravidanza, che diano alla luce un bambino Rh+, potrebbero ritrovarsi degli eritrociti fetali con l’antigene Rh nel proprio flusso ematico, il quale avvierebbe la fabbricazione d’anticorpi avversi all’antigene sconosciuto che permarrebbero all’interno del proprio corpo.

Ora, se la madre Rh+ avesse una seconda gestazione, tali anticorpi potrebbero defluire nel flusso ematico fetale e abbattere gli eritrociti qualora in utero vi sia un Rh+.

Una reazione questa che potrebbe, purtroppo, rivelarsi fatale sia precedentemente sia successivamente al parto o ledere il sistema nervoso del piccolo.

Le future mamme stiano comunque tranquille, dato che i rischi esposti sono oggigiorno tamponati iniettando nella madre il fattore Rh- entro 3 giorni dal primo parto, ossia anticorpi particolari quali il Rhogam che individua e arresta l’antigene Rh in grado di passare dal feto alla madre e di causare quella virulenta risposta immunologica, addirittura mortale per il feto.

Scontata la conclusione che tale pratica debba essere clonata a ogni gravidanza posteriore al primo contatto della madre con l'antigene Rh.

Mi fermo qui per non complicare ulteriormente la questione.

Raffaele

NOTA

La risposta al fattore Rh esiste esclusivamente per le gestanti Rh- che generano figli con partner Rh+; pertanto, direi che la questione si ponga solo per un 15% delle donne, in quanto la restante parte percentuale ha un Rh+.

Alle madri, da sempre viscerali e coraggiose "sorgenti di vita", custodi amorevoli di quella prima forma di amore che i Greci chiamarono "storge" (στοργή), tutta la mia ammirazione e il mio affètto.

Raffaele
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