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Domanda Elogio della fuga

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11 Anni 7 Mesi fa #11614 da Clara
Elogio della fuga è stato creato da Clara
Post di Alessandra Filice data: luglio - 25 - 2012

Henri Laborit - "Elogio della fuga"

«Quando non può più lottare contro il vento e il mare per perseguire la sua rotta, il veliero ha due possibilità: l’andatura di cappa (il fiocco a collo e la barra sottovento) che lo fa andare alla deriva, e la fuga davanti alla tempesta con il mare in poppa e un minimo di tela. La fuga è spesso, quando si è lontani dalla costa, il solo modo di salvare barca ed equipaggio. E in più permette di scoprire rive sconosciute che spuntano all’orizzonte delle acque tornate calme»

È così che Henri Laborit incomincia il suo saggio più famoso, scritto nel 1976 e intitolato Elogio della fuga. Si tratta di un’opera affascinante e coinvolgente che consente di capire le dinamiche fondamentali che si instaurano nella realtà. Cosa c’è dietro quel che facciamo? Quanto ne siamo consapevoli? Perché scegliamo di agire in un modo anziché in un altro? Laborit risponde a tutte queste domande con metodicità e chiarezza e debella i condizionamenti ideologici che si nascondono dietro i concetti fondamentali dell’esistenza dell’uomo: amore, libertà, piacere, felicità nascondono per lo studioso significati artificiosi che servono essenzialmente a conservare le strutture di dominanza.

Laborit, dall’analisi accurata di quest’ultime che rappresentano il tragico retroscena dell’esistenza dell’uomo, elabora un principio da cui si sviluppa il suo sistema concettuale. Per il biologo infatti esiste un collegamento indissolubile tra il comportamento e il sistema nervoso senza la comprensione del quale non si può procedere molto lontano. Nel tentativo di spiegare i malesseri che inquinano la vita dell’uomo, si rifà perciò al modello neurofisiologico di Mac Lean e inquadra l’apparato fondamentale dell’essere umano come strutturato essenzialmente in due parti: una più primitiva, denominata cervello del rettile, che mira a soddisfare i bisogni primari come la fame, la sete e la sopravvivenza e un’altra che si rifà al sistema limbico e accumula informazioni sotto forma di ricordi piacevoli e spiacevoli. Grazie al raccordo di quest’ultima parte con la corteccia, che nell’uomo è molto sviluppata, si riesce, attraverso costruzioni immaginarie, ad anticipare il risultato dell’azione e ad indirizzarsi con più facilità verso esperienze gratificanti.

Sarebbe tutto lineare e anche semplice se non fosse che, secondo Laborit, nella ricerca delle azioni gratificanti è possibile scontrarsi con altri individui dai medesimi bisogni. Dallo scontro nasce il conflitto e da esso è possibile sottrarsi attraverso due modalità: l’aggressione o la fuga. E’ superfluo dire verso quale opzione si schieri Laborit. Dall’aggressione infatti è possibile uscire solo trovando una soluzione di pacificazione tra gli individui, la quale però – il più delle volte – ufficializza un rapporto di dominanza da cui scaturiscono le frustazioni sia del dominante (timoroso del rischio di una sottrazione di tale ruolo) che del dominato (alla continua ricerca di un’inversione delle dinamiche del rapporto). Attraverso la pacificazione si crea ciò che vi è di più deprecabile nel mondo, perché l’individuo viene immesso su di un costipato scalino della scala sociale contro il quale a nulla vale la ribellione: se condotta da un gruppo questa non farebbe altro che risancire un nuovo ordine gerarchico, se effettuata dal singolo non produrrebbe altro risultato se non un atroce fallimento per il suo soccombere nei confronti del gruppo dominante. Di qui il nucleo tematico dello studio e il suo connesso elogio.

Henri Laborit (wikipedia.it)

La fuga diviene quindi l’unico mezzo per sfuggire agli stimoli nocicettivi, un comportamento che asseconda a pieno la logica della sopravvivenza, il solo modo per sfuggire quegli automatismi culturali che plasmano l’uomo sin dalla sua nascita, comprendono le arroganti competenze tecniche e i codici etici a guida della sua azione, finendo in fondo per soffocarlo e privarlo della sua componente vitale- libertà.

Nell’ambivalenza della scelta fuga-aggressione si può anche presentare il caso – adottato in situazioni di grave pericolo – in cui l’uomo ritenga inefficaci entrambe e prevalga un meccanismo degenerativo che inibisce l’azione e, producendo corticoidi, determina scompensi del sistema immunitario. È la deriva massima che un uomo può rischiare e va vinta attraverso la fuga: per Laborit le soluzioni del benessere risiedono perciò in un ritiro dal mondo non simile però all’evasione nei paradisi artificiali – colpevoli di rendere il quotidiano ancora più insostenibile o generare psicosi – quanto piuttosto identificabile in un allontanamento in uno spazio dove non attecchisce il meccanismo di inibizione dell’azione. La fuga migliore per Laborit è in sostanza nella creatività espressa dall’arte grafica, dalla poesia, dalla letteratura o dalla scienza, in cui non esistono nè la competizione nè il rispetto dei dettami della società, ma si è liberi di “sfogare” i propri determinismi senza l’ostacolo di alcun progetto altrui.

Il saggio può così assurgere a vademecum dell’uomo moderno, disorientato, rancoroso e schiacciato dalla logica della dominanza; attraverso le parole di Henri Laborit le ferite guariscono, i contesti socio-economici non assomigliano più a cortine di ferro e si riscoprono strumenti per poter realizzare ciò che spesso resta inespresso. Si rischia in questo modo di giudicare l’autore come un bieco riduttivista dei sentimenti, ai nostri occhi pur sempre puri e nobili, ma sarebbe considerazione superflua (e secondaria) rispetto al tentativo più riuscito di ridimensionamento di un ormai ridicolo antropocentrismo.

I seguenti utenti hanno detto grazie : Hall

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11 Anni 7 Mesi fa #11615 da Clara
Risposta da Clara al topic Re: Elogio della fuga
un brano dal libro:

tratto da Elogio della Fuga di Henri Laborit
by fernirosso
Der Himmel über Berlin (Frankreich/Deutschland 1986/1987)

..Finché le gambe mi permettono di fuggire, finché le braccia mi permettono di combattere, finché l’esperienza che ho del mondo mi permette di sapere che cosa devo temere o desiderare, niente paura: posso agire. Ma quando il mondo degli uomini mi costringe a osservare le sue leggi, quando il mio desiderio si scontra col mondo dei divieti, quando mi trovo imprigionato, mani e piedi, dalle catene implacabili dei pregiudizi e delle culture, allora tremo, gemo e piango. Spazio, ti ho perduto e mi rinchiudo in me stesso. Ritorno sulla cima del campanile dove, con la testa tra le nuvole, fabbrico arte, scienza e follia. Ahimè! Non ho potuto tenere per me neppure quelle. Non ho potuto tenerle nel mondo della conoscenza. Sono state subito adoperate per occupare lo spazio e stabilire la dominanza, la proprietà privata di oggetti e di esseri, e dare piacere ai più forti. Dall’alto del mio campanile potevo scoprire il mondo, contemplarlo, trovare le leggi che governano la materia, senza però conoscere quelle che avevano presieduto alla costruzione della cattedrale: non sapevo niente della volta romana o dell’ogiva gotica. Quando con la mia immaginazione trasformavo il mondo e occupavo lo spazio, lo facevo col cieco empirismo delle prime forme viventi. I mercanti invasero il sagrato della mia cattedrale, e occuparono lo spazio fino all’orizzonte delle terre emerse. Invasero mare e cielo, e gli uccelli dei miei sogni non poterono più volare. Rimanevano imprigionati nelle reti del popolo dei mercanti che abitavano la terra, il cielo e l’aria, e che vendevano le loro piume ai più ricchi perchè le mettessero tra i capelli come ornamento narcisistico, per farsi adorare dalle folle asservite. Il ghiacciaio dei miei sogni servì solo ad alimentare il fiume della tecnica che andò a gettarsi nell’oceano dei manufatti. Lungo il suo corso sinuoso, arricchito da numerosi affluenti, cosparso di bacini artificiali e di tratti pianeggianti dove l’acqua scorreva lenta, si insediarono le gerarchie. Occuparono lo spazio umano, distribuirono oggetti ed esseri, lavoro e sofferenza, proprietà e potere. Le piume multicolori degli uccelli dei miei sogni riempirono lo spazio disordinatamente come la nuvola di piume che esce dal cuscino squarciato da un coltello. Invece di rispettare il maestoso aspetto della vallata dove essi erano nati, le piume si sparpagliarono in ogni direzione, rendendo l’aria irrespirabile, la terra inabitabile, l’acqua incapace di dissetare. I raggi del sole non riuscirono più ad aprirsi un varco per raggiungere il mondo microscopico che serviva loro per generare la vita. Le piante e i fiori asfissiavano, le specie sparirono e l’uomo rimase solo al mondo. Si alzò orgogliosamente di fronte al sole, troneggiante su un mare di rifiuti e di uccelli morti. Ma per quanto tendesse le braccia e cercasse di afferrare i raggi impalpabili, non poté trarne nessun miele. E dalla cima del campanile della cattedrale lo vidi sdraiarsi e morire. La nuvola di piume lentamente si adagiava al suolo. Dopo un po’ di tempo si vide spuntare, attraverso il tappeto multicolore che copriva la terra, uno stelo che presto si guarnì di un fiore. Ma non c’era più nessuno che potesse accorgersene.
I seguenti utenti hanno detto grazie : Hall, lord_vivec

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11 Anni 7 Mesi fa - 11 Anni 7 Mesi fa #11665 da lord_vivec
Risposta da lord_vivec al topic Re: Elogio della fuga

i condizionamenti ideologici che si nascondono dietro i concetti fondamentali dell’esistenza dell’uomo: amore, libertà, piacere, felicità nascondono per lo studioso significati artificiosi che servono essenzialmente a conservare le strutture di dominanza.


vero come la morte, e ciò è confermato anche a livello sociologico e antropologico...

Attraverso la pacificazione si crea ciò che vi è di più deprecabile nel mondo, perché l’individuo viene immesso su di un costipato scalino della scala sociale contro il quale a nulla vale la ribellione


incredibile, finalmente qualcuno che critica seriamente l'ipocrisia del "buonismo" e dell'atteggiamento (falsissimo peraltro) di pacificazione... era ora

Nell’ambivalenza della scelta fuga-aggressione si può anche presentare il caso – adottato in situazioni di grave pericolo – in cui l’uomo ritenga inefficaci entrambe e prevalga un meccanismo degenerativo che inibisce l’azione e, producendo corticoidi, determina scompensi del sistema immunitario.


è una condizione che conosco bene... ed effettivamente causa uno stress costante, ed è facile che sfocia in malattie tout court, trattandosi di un disordine di adattamento cronico. E' quasi un suicidio involontario

cmq in generale, il discorso sollevato da questo libro è molto interessante. Non avevo mai considerato la fuga come una soluzione, normalmente quando si parla di adattamento dell'individuo si pensa all'"aggressione" latu sensu (tipo "come realizzarsi", come scendere a patti col mondo e cose del genere), ma questo punto di vista non l'avevo mai considerato.
Tutto sommato, sembra "il disagio della civiltà" 2.0 (e in effetti sarebbe arrivato il momento di portare avanti anche quel discorso...)
Ultima Modifica 11 Anni 7 Mesi fa da lord_vivec.

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11 Anni 7 Mesi fa #11672 da Clara
Risposta da Clara al topic Re: Elogio della fuga
Ciao carissimo, felice di risentirti e grazie per i tuoi commenti.un affettuoso abbraccio

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11 Anni 7 Mesi fa #11677 da lord_vivec
Risposta da lord_vivec al topic Re: Elogio della fuga
Grazie ;)

Mi andava di sentire una tua considerazione su questo libro

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11 Anni 7 Mesi fa #11695 da Clara
Risposta da Clara al topic Re: Elogio della fuga
Sai che non l'ho letto ancora, ma lo farò presto (ho diverse cose di Lacan da finire). Kisses

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