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Domanda Manuale di controeducazione

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11 Anni 6 Mesi fa #12495 da Clara
Manuale di controeducazione è stato creato da Clara
Manuale di controeducazione. Firmato Paolo Mottana
di Redazione il 28 marzo 2012

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Un piccolo (ma dirompente) manuale di controeducazione per far risorgere la speranza, specialmente nelle nuove e future generazioni, di riuscire a fuggire da quelle gabbie che la cultura dominante, in primis il sistema scolastico, ha creato per ognuno di noi.

Dentro le quali siamo destinati a rinchiuderci una volta sottomessi alle leggi e all’ideologia dell’utilitarismo infinito, dell’essere costantemente redditizi e produttivi in ogni situazione e relazione, completamente assordati e assuefatti dalle gazzarre dello spettacolo e dei consumi.

Paolo Mottana – fondatore del gruppo “Immaginale” all’Università Bicocca di Milano teso alla ricerca di “una visione in grado di resistere all’inflazione di “idoli” e simulacri che l’oscenità del visibile oggi celebra quotidianamente” - nel Piccolo manuale di controeducazione (Mimesis, 2012) chiama sul banco degli accusati, prima di ogni altro, la scuola che ha la colpa mortale di riflettere un sistema educativo allineato da decenni alle richieste di un potere economico e politico, di un capitalismo totale e totalizzante che impone l’utilitarismo e la strumentalità come i soli principi validi per interpretare e vivere la realtà. Per Mottana tutto questo è difficile chiamarlo ancora educazione. La scuola gli appare come una tomba dell’immobilità e della noia che al posto di insegnare ad essere liberi, ammansisce alla condizione di servi “emarginando sistematicamente e perversamente le facoltà intuitive e immaginative, della curiosità, della potenza espressiva e creatrice del corpo e delle emozioni, della pregnanza insostituibile dell’esercizio di pratiche concrete e reali”.

Il risultato finale è l’omologazione, la massificazione, l’appiattimento culturale, quando, all’opposto, secondo l’autore, l’obiettivo della nostra esistenza dovrebbe essere quello della ricerca della “differenza” “che produce novità, movimento, altra differenza”. Il libro di Mottana è un disperato e rivoluzionario assalto alla vitalità ed alla creatività che si riflette in un stile di scrittura “espressionista”, novecentesco e poetante, poco tecnico, poco ancorato al codice terminologico dell’attualità, erudito, ricco di citazioni, di poesie e opere note: anzi, più uno stile di vita che – a differenza di tanta pedagogia accademica – restituisce possibilità e brulichii vitali all’oggetto di cui tratta affinché l’ “educazione” cominci ad essere concepita non più come un grigio sistema di regole e codici, bensì come uno sguardo “contemplativo” atto a cogliere i tanti mondi possibili, le innumerevoli “occasioni di sapere ancora vive, palpitanti”.

Un manifesto di controeducazione che risvegli i corpi, la natura, gli oggetti, ciò che si pensa, dalla presa del potere, dalla mortificazione delle coscienze, dai consumi, costumi e bisogni imposti, nel quale non vengono proposte formule pedagogiche alternative, anche perché probabilmente la pedagogia vera è quel gioco speciale e misterioso la cui posta, alla fine, è proprio la scomparsa della pedagogia stessa. Un ritorno all’incontaminazione del pensiero che passa anche per la liberazione sessuale, la rimozione dei vincoli ipocriti alla passione e all’emozione imposti da un sistema sociale e familiare che tratta la sessualità giovanile quasi come una malattia, un pericolo e per questo ha forgiato un odioso repertorio di metodi repressivi. Che passa per la riscoperta del rapporto con la natura, con l’ecosistema ambientale emarginato e compresso dalle automobili, dal cemento e dai centri commerciali.

Un piccolo grande libro “per scuotere la polvere, il cemento e il gesso che soffocano i sensi, i corpi e i gesti nei reclusori scolastici, negli obitori del sapere e negli annessi feretri in forma di libro, così come troppo spesso anche negli attori al perenne tramonto della gran tragicommedia dell’educazione”. “Per rovesciare credenze ossificate, ideologie aberranti e poteri inamovibili e ritrovare l’appetito bruciante, sessuato e nervoso di capire, di fare e di pronunciare il violento sì alla vita che le nostre diseducazioni ci hanno intimato di tacere.”

Paolo Mottana parla, scrive e cerca di diffondere una filosofia dell’educazione e dell’immaginazione incarnata e trasgressiva all’Università di Milano Bicocca e all’Accademia di Brera. Tra i suoi ultimi lavori: Antipedagogie del piacere: Sade e Fourier e altri erotismi(2008), L’immaginario della scuola (a cura di), (Mimesis, 2009), L’arte che non muore (Mimesis, 2010), Eros, Dioniso e altri bambini. Scorribande pedagogiche (2010).

Autore: Paolo Mottana
Titolo: Piccolo manuale di controeducazione
Editore: Mimesis
Anno: 2012
Pagine: 122
Prezzo: 12 Euro

Articolo di Gaetano Farina
I seguenti utenti hanno detto grazie : lord_vivec

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11 Anni 6 Mesi fa - 11 Anni 6 Mesi fa #12529 da lord_vivec
Risposta da lord_vivec al topic Re: Manuale di controeducazione
il discorso è molto interessante, tuttavia non è niente di nuovo: è roba trattata dai classici della scuola di Francoforte (che spero vivamente sia stata adeguatamente citata in quest'opera). Come anche, il tema della differenziazione, è l'individuazione di Jung.

Basterebbe uscire dagli schemi mentali e leggere i "classici" per arrivare a pensarla così.

Comunque come nota positiva, almeno proviene dall'università Bicocca, il che è dire qualcosa visto che di questi tempi, proprio le università sono la tomba della conoscenza...
Ultima Modifica 11 Anni 6 Mesi fa da lord_vivec.

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11 Anni 6 Mesi fa #12555 da Clara
Risposta da Clara al topic Re: Manuale di controeducazione
eh beh bisogna tenerle vive le cose...

dal blog di Mottana, sttembre


Idee inattese e istruzioni necessarie per rovesciare credenze ossificate, ideologie aberranti e poteri inamovibili e ritrovare l'appetito bruciante, sessuato e nervoso di capire, di fare e di pronunciare il violento sì alla vita che le nostre diseducazioni ci hanno intimato di tacere
domenica 9 settembre 2012
Contro il feticismo del lavoro

Il lavoro è il grande imperativo. Esaurita e vituperata oltre ogni limite (anche da molti dei suoi protagonisti ahimè) la controcultura degli anni ’60 e ’70, nessuno osa più criticare quello che a buon diritto si può considerare il ritrovato e unanimemente plaudito mito del lavoro, anzi il feticismo del lavoro. Tutti vogliono lavorare (anche nelle condizioni di sfruttamento più spaventose), la mancanza di lavoro precipita in uno stato di prostrazione con aggiunta di senso di colpa e frustrazione che ha pochi rivali. Non solo: quando lo si ha, se ne vuole di più, la gara a riempire la propria agenda di impegni è, senza ombra di dubbio, una delle gare più spietate e brutali. La sbirciatina che il collega getta sulla tua agenda, sperando che si riveli semivuota, è inevitabile. Per quanto mi riguarda, concedo molte soddisfazioni ai colleghi. E temo di non riuscire a far loro capire che, per me, si tratta di un motivo di vanto. Questa è la situazione, su cui bivaccano i manipoli del fascismo culturale che promuovono la nostra vita all’incontrario, nella quale le esigenze dell’economia e la gogna del lavoro sono considerati gli unici parametri in base ai quali regolarsi. Chi non ha lavoro non è solo un disoccupato o inoccupato ma anche un reietto. Lavorare non “stanca” più, lavorare è un imperativo etico, sociale e persino estetico. Il lavoro rende liberi e belli. Evviva. Il lavoro è una religione, come dice bene Antonio Saccoccio in un suo recente libro. Certo, qualcuno arcignamente mi obietterà che criticare il lavoro, in modo poi così generico, è non solo stantìo, ma anche ingiusto, considerato che senza lavoro non si campa. Considerato che il lavoro fornisce l’autonomia, è il fondamento della “cittadinanza”. Vero. Ma senza critica, una critica serrata, spietata, anche solo la remota possibilità che si possa intravedere all’orizzonte una società dove il lavoro, quello “alienato”, si intende, possa ridursi, sarà sempre più inverosimile. Certo, una quota di lavoro alienato dovrà, e a giusto titolo, essere distribuita come impegno sociale, a carico di tutti (pena l’essere non socialmente legittimati, come spiegava bene André Gorz), ma è del tutto chiaro che il lavoro umano è sempre meno necessario e che per renderlo tale occorre continuamente inventarlo o inventare crisi che simulino la sua mancanza: il lavoro, sembra incredibile doverlo dire ancora, lo fanno ormai in larga misura le macchine. Ed è del tutto necessario arginare quel mostro divoratore che è l’imperativo della “crescita”, su cui è fondata in larga misura la produzione di merci e lavoro del tutto superflui. Se le cose si allineassero con la costellazione dei nostri bisogni più autentici, al centro delle nostre preoccupazioni dovrebbe esserci un ben altro tipo di lavoro, lavoro creativo, autodeterminato. Di quello, un lavoro non retribuito, gratuito, frutto della pura volontà di creare, di agire -stante la congiuntura sulle cui logiche fittizie agisce l’ideologia di questo decrepito capitalismo-, si parla invece sempre pochissimo. Il lavoro lavoro, quello che garantisce ricavi ai “padroni”, quello invece continua a ricattarci, sottomettendoci alle sue sempre più raffinate tecniche di sfruttamento, di soggiogamento, di condizionamento profondo. Ma soprattutto al furto sistematico delle nostre vite e del nostro tempo che, come noto (ai più lucidi), è l’unica autentica ricchezza cui si possa seriamente aspirare. Tempo da scegliere e da dedicare a ciò che si ama, che ci appassiona, che ci soddisfa. Solo pochissimi privilegiati (a spese degli altri), o vagabondi e obiettori consapevoli spesso emarginati (sotto osservazione e pronti ad essere “recuperati” dai servizi sociali), oggi hanno la possibilità di esercitare la libertà di disporre di gran parte del proprio tempo. Tutti gli altri sono schiavi, schiavi anzitutto dell’ideologia dominante ma poi però drammaticamente di sé stessi, dei propri complessi, della propria avidità e della terribile congiuntura che li vede incapaci di reggere un pensiero che non sia già in partenza castrato dalle ovvietà del conformismo globale. Lavorare meno, lavorare tutti, lavorare meglio. E poi: non lavorare. Occorre ancora una volta rivolgersi a chi, da secoli, e specie da quando il lavoro, con l’avvento della civiltà industriale, è diventato quello che è oggi, cioè, paradossalmente, un valore (mentre non lo è stato pressocchè mai in alcuna altra civiltà compresa la nostra, almeno fino a che il fare non è stato sottoposto alla legge infernale del profitto), lotta contro il lavoro, per spezzare il suo rinato feticismo e per esigere ciò che ci è dovuto: il nostro tempo, la nostra libertà, il nostro desiderio. Da Gorz a Vaneigem, da Hakim Bey a Marcuse a Russell a Illich, da Kropotkin al “Gruppo Krisis”, da Nietzsche a Lafargue al recente Philippe Godard, occorre dire basta al culto del lavoro e rivendicare ancora una volta e poi ancora il “tempo liberato”, una (anti)pedagogia del “tempo liberato” che si muova violentemente in antitesi con l’ideologia massiccia che, dalle organizzazioni sociali alle imprese, alle istituzioni, ai ministeri, ci vuole inchiodare alla ruota del supplizio che da sempre, e non a caso, si chiama lavoro. Un tempo liberato che non emargini, tempo di tutti, tempo di vita, tempo di integrazione, tempo festivo, tempo di intense passioni. Occorre rovesciare un mondo fondato sulle esigenze dell’economia e sostituirlo, al più presto, con un mondo fondato sul desiderio, il desiderio irrinunciabile di riappropriazione, di godimento del proprio tempo. “si sente oggi che il lavoro come tale costituisce la migliore polizia e tiene ciascuno a freno e riesce a impedire validamente il potenziarsi della ragione, della cupidità, del desiderio d’indipendenza. Esso logora straordinariamente una gran quantità d’energia nervosa, e la sottrae al riflettere, allo scervellarsi, al sognare, al preoccuparsi, all’ amare, all’odiare” (F.Nietzsche)

contreducazione.blogspot.it/2012_09_01_archive.html

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11 Anni 6 Mesi fa #12768 da lord_vivec
Risposta da lord_vivec al topic Re: Manuale di controeducazione
ho dato un occhiata al blog dell'autore: estremamente interessante! E' incredibile che ci sia (ancora) gente che tratta questi temi in maniera così profonda... grazie molte per averlo segnalato.

riguardo al discorso nell'ultimo post, quello sul lavoro... bhe, che dire. Non cè nulla da aggiungere, ha detto praticamente tutto quello che c'era da dire!

Per la prima volta nella mia storia di bazzicatore di forum vari, ritengo che non ci sia nulla da aggiungere. Il che è incredibile se calcoli come tendo ad essere logorroico, certe volte. Cè pure la ciliegina sulla torta della citazione finale di Nietzche (piuttosto che di Marx) è veramente un discorso completo.

L'unica cosa che avrei potuto aggiungere a questo discorso è che la gente, che il sistema economico-sociale ormai cel'ha nel cervello, non può neanche IMMAGINARE di vivere diversamente, di lasciar andare i fintissimi valori che hanno installati nel cervello. Non avrebbero la capacità di socializzare, di avvicinarsi con sincerità e naturalezza, presi come sono dal loro software mentale di individualismo competitivo e fanatico e dai loro falsi valori.
Ma poi ho visto il post sui quadri di Paul Delvaux... beh, a quanto pare, è stato detto anche quello! B)

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11 Anni 6 Mesi fa - 11 Anni 6 Mesi fa #12770 da Deseb
Risposta da Deseb al topic Re: Manuale di controeducazione
Grazie a voi per avere citato i riferimenti culturali su un argomento che dipana il fango che si vive in luoghi di lavoro, mi riferisco a dove lavoro io, un ente amministrativo e mi trovo a vedere inscenata la credenza in quello che è il fango nella vita sociale e politica, con le fedi più cieche nell'informazione del regime democratico-consumistico, nella merdicina, nelle cose da mangiare... vedo, certe volte, i politici locali ribaltati da varie mode tipo feisbook, o quella dell'associazionismo, che definisco come fare qualcosa, basta che ci sia un'associazione, un comitato, e poi riunioni pranzi e cene, manifestazioni e aderenti simili a formiche accanite... nell'ambiente cittadino che favorisce il falso-sè come fosse l'unica cosa l'apparenza su cui hanno cieca sudditanza... alcuni, colleghi, li ho mandati educatamente all'inferno ma da lì ritornano, devo toglierli davanti a me continuamente.
Grazie per i riferimenti accessori culturali, aiutano a migliorare il panorama sull'argomento
Ultima Modifica 11 Anni 6 Mesi fa da Deseb. Motivo: Edit

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  • Clara
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11 Anni 6 Mesi fa #12779 da Clara
Risposta da Clara al topic Re: Manuale di controeducazione
Grazie ragazzi!Le vostre risposte fanno sentire "meno soli" e quando ci si sente meno soli si soffre anche di meno, perchè sapere che quel qualcosa che io chiamo "intelligenza vitale" emette ancora qualche segnale in giro, riscalda il cuore e fortifica.
Vi ricordate nel film Papillon, quando lui riesce ad evadere buttandosi in mare?
Dice "Maledetti, sono ancora vivo!"...
I seguenti utenti hanno detto grazie : lord_vivec

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