vitamine e sali minerali

 

 

 

 

Della vitamina C (Acido ascorbico).

La Vitamina C va assunta a purezza farmaceutica, senza additivi artificiali (aspartame, acesulfame K, ciclamato, saccarina, neosperidina DC, taumatina: edulcoranti intensivi); (sorbitolo, maltitolo, isomalto, xilitolo, lactitolo: dolcificanti); (ossidi di rame, di ferro, di alluminio), e nella forma molecolare l (acido l-ascorbico), perché la forma d non è attiva.

Essa è un alimento fondamentale, perché l'uomo, come affermato dal biochimico Irvin Stone, ha un difetto genetico di un enzima (gunololactone oxidasi) e, dunque, una malattia detta hypoascorbemia. Questo gene difettoso gli impedisce di produrre ascorbato nel fegato, privandolo di un importante meccanismo di difesa.

La sola, significativa ragione per cui gli animali, tranne qualche rara eccezione, non soffrano di attacchi di cuore, mentre gli uomini sì, è la vitamina C, la quale, se presa a T.I. evita seri danni al nostro sistema cardiovascolare-circolatorio (produce, infatti, collagene, autentico calcestruzzo delle arterie, delle vene, dei capillari).

 vitamina c

Gli orsi possiedono 400 mg/dl di colesterolo, nessuno di loro muore mai d'infarto, perché essi si auto-producono mediamente 10 g di C al giorno.

E, incredibile constatazione, il principale libro di testo "THE HEART-TEXTBOOK FO CARDIOVASCULAR MEDICINE" di Eugene Braunwalds, non fa menzione della vitamina C una sola volta su 2000 pagine d’insegnamento per futuri cardiologi.

La Vitamina C, come ben sapete, è una vitamina idrosolubile, impiegata sia per la sintesi del collagene, un essenziale costituente o, come a me piace definirlo, “il calcestruzzo delle nostre arterie, delle nostre vene, dei nostri capillari”, sia per i tendini, i legamenti e lo endoscheletro, sia per la sintesi della noradrenalina, decisivo, come altri neurotrasmettitori, per le normali funzioni cerebrali, sia per la sintesi della carnitina, una minuscola molecola, la quale provvede a fare da trasportatore ai grassi verso i mitocondri, al fine di una loro trasformazione in energia, sia nel metabolismo del colesterolo e nel suo immagazzinamento negli acidi biliari, al punto da condizionare i valori del colesterolo nel flusso ematico e anche l'incidenza dei calcoli biliari.

Dotato di un prezioso potere antiossidante, l'acido levo-ascorbico, anche a dosi moderate, è in grado di esercitare una discreta custodia sulle molecole vitali per il corpo umano (proteine, grassi, carboidrati, acidi nucleici), schermandole dall'azione deleteria da parte dei radicali liberi e delle specie reattive dell'ossigeno, che si possono creare nel regolare ricambio o tramite l'esposizione a sostanze tossiche e inquinanti, quali, per es., il fumo, e di ripristinare una molecola di α-tocoferolo (vitamina E) che, stabilizzando un radicale libero, abbia trasformato così tanto la sua struttura da perdere la caratteristica di “antiossidante”, ri-conferendole la primaria sua potenzialità.

Ci ricordiamo, per averlo letto, dei marinai a bordo delle navi che facevano lunghi viaggi, i quali contraevano lo scorbuto, una gravissima malattia che conduceva alla rottura dei vasi sanguigni, con ecchimosi (ematomi), sanguinamento, caduta dei denti e dei capelli, forte dolenzìa dei punti di articolazione, accumulo di liquidi con tanto di gonfiore in molte zone del corpo, dissolvimento e disintegrazione in conclusione, fino alla morte, dello intero organismo. Quelli sopra descritti sono tutti indizi di "astenia da scorbuto", riconducibili al deterioramento delle "condutture vasali", dello endoscheletro e del tessuto connettivo (ossa, cartilagini, fasci, tendini e legamenti), che sono costituiti, avete indovinato, da collagene.

All'inizio, declassa la carnitina, che come ho scritto prima "provvede a fare da trasportatore ai grassi verso i mitocondri, al fine di una loro trasformazione in energia", quindi, si ha un depletamento del neurotrasmettitore noradrenalina, "decisivo per le normali funzioni cerebrali". E pensare che meno di 10 mg di acido l-ascorbico al dì avrebbero potuto o potrebbero prevenire questa mortale patologia (infanti o vecchi con dieta limitata).

I quantitativi dietetici raccomandati per questa straordinaria vitamina, pur se rivisitati (riferimento ai 75-90 mg, rispettivamente per femmine e maschi!), sono tuttavia ben lungi da quelli necessari per il mantenimento di una buona salute o per tutelarci da certe patologie croniche piuttosto ferali.

Si consideri che i fumatori, per ogni sigaretta fumata, riducono di un bel po’ la vitamina C (scorbuto dei fumatori), al punto che per ogni pacchetto consumato si stima che costoro dovrebbero assumere almeno 3 grammi di C, dato ch’essi hanno un maggiore stress ossidativo. Per quanto attiene invece alle patologie croniche, la quantità necessaria di C è indubbiamente superiore, ma le indicazioni sono per lo più riferibili a studi prospettici, attraverso i quali sono stati monitorati vasti campionamenti per stabilire se, assumendo specifiche dosi di C, si giungesse ugualmente a contrarre certe determinate patologie. Per es., una dozzina di studi prospettici su campionamenti fino a circa novantamila soggetti, anche per un periodo di tempo di vent’anni, connotò una interrelazione tra i maggiori livelli di C e un minor rischio d’ictus e di patologia cardiaca.

La maggior parte delle conclusioni sull'acido levo-ascorbico e sulla sua tutela, per es. nei confronti delle patologie croniche, derivano da studi prospettici. Uno di questi studi, piuttosto interessante, conclude addirittura che certe cellule e certi tessuti umani, come per l'appunto i leucociti, si saturino con dosi di C di soli 100 mg/dì. Ed è probabile che, una volta ottenuta la saturazione del tessuto, non sia facile avere degli ulteriori benefìci da parte della C nei confronti, per es., delle patologie cardiovascolari, peraltro piuttosto difficili da indagare. Gli stessi studi effettuati dal grande Pauling e dai suoi collaboratori conclusero che delle alte quantità di vitamina C (10 g per endovena per 10 gg. e altrettanti per bocca a tempo indeterminato) fossero di ausilio nello allungamento e nel miglioramento della qualità della vita nei pazienti terminali affètti da cancro, ciò in netto contrasto con le più recenti ricerche effettuate alla clinica Mayo, le quali non hanno mostrato divergenze negli effetti tra i soggetti terminali affètti da cancro che prendevano 10 g di C per bocca e quelli cui era somministrato del placebo.

Probabilmente, la differenza sostanziale la faceva l'assunzione di vitamina C per endovena.

La C per endovena può rialzare di molto i livelli ematici di sé rispetto alla integrazione per bocca e dei livelli nocivi a certe cellule neoplastiche si possono ottenere esclusivamente attraverso la C per endovena e non oralmente. Alcune evidenze, a onor del vero, hanno comunque mostrato delle negative ripercussioni circa il consumo di quantità elevate di C in assenza di specifiche patologie, evidenze fondate su osservazioni in vitro ma anche su alcuni casi sporadici: si sono osservati, per es., "scorbuto da rimbalzo", arteriosclerosi, anomalie alla nascita, calcoli renali, variazioni genetiche, deficit di B12, iper-assimilazione del ferro, incremento dello stress ossidativo, corrosione dello smalto dentale.

Sono conseguenze che andranno ulteriormente indagate, assieme al fatto che dosaggi di vitamina C superiori a 10 g/die negli adulti possano, ribadisco possano, alla fine rivelarsi tossiche o nocive per la salute.

Ovviamente, i sintomi, quali la diarrea e certi fastidi gastro-enterici, che si verifichino in caso di eccesso di C, non sono significativi e si eliminano con la diminuzione del dosaggio vitaminico o con la momentanea sospensione della vitamina stessa. Sebbene la C esplichi una potente azione antiossidante negli uomini, tuttavia alcune evidenze in provetta mostrano ch'essa può collegarsi con certi ioni metallo liberi e costituire dei radicali liberi molto nocivi.

Le ricerche che mostrano gli esiti pro-ossidativi della C andranno esaminate con molta molta competenza, perché questa vitamina è in grado di aumentare la fabbricazione di H2O2, ossia una sostanza ossidante ch'è sì benevola in caso d'infezione ma da tenere sotto stretto controllo nel caso di malattie infiammatorie croniche, particolarmente quelle autoimmuni.

Tutta una determinata tipologia di ricerche sull’acido levo-ascorbico ha osservato che supplementazioni superiori di C siano in diretta correlazione con un più scarso pericolo di neoplasia alla bocca, alla gola, alle corde vocali, allo esofago, ai polmoni, allo apparato enterico, al colon-retto. Anche per il cancro mammario e per quello allo stomaco (l’acido levo-ascorbico impedisce la costituzione di sostanze neoplastiche al suo interno), l’assunzione di C dietetica riduce di un bel po’ il rischio di contrarre tale patologia.

Per es., l’Helicobacter pylori, che connota un reale pericolo di neoplasia dello stomaco, declassa la quantità di C delle secrezioni dello apparato gastrico, per cui una integrazione vitaminica potrebbe rivelarsi efficace, quale coadiuvante, per estirpare il batterio, ridimensionando così il pericolo di neoplasia dello stomaco. In tal senso, sono la frutta e la verdura, mangiate quotidianamente, a ridurre, e di parecchio, sia il rischio di malattia cardiovascolare sia quello di contrarre diversi tipi di neoplasia (Steinmetz lA, Potter JD. Vegetable, fruit, and cancer prevention: a review. F Am Diet Assoc. 1996; 96(10):1027-1039).

Lo stesso National Cancer Institute consiglia l'assunzione di almeno 5 porzioni/die di frutta e di verdura. Alcune evidenze del Nurses' Health Study mostrano che soggetti in pre-menopausa con una disposizione familiare a sviluppare neoplasie al seno riducevano di molto (63%) il pericolo di cancro triplicando il consumo giornaliero di vitamina C dietetica.

Personalmente, ritengo non esservi, oggidì, alcuna osservazione che possa far concludere che l'acido levo-ascorbico si ripercuota sfavorevolmente sulla permanenza in vita degli affètti da neoplasia. Ciò premesso, laddove per un particolare tipo di cancro certi protocolli si siano rivelati efficaci, beh, in tal caso sarebbe meglio non rimpiazzare gli stessi con l'uso dello acido levo-ascorbico.

Se poi, il paziente affètto da neoplasia dovesse optare per l'utilizzo di supplementi vitaminici, allora, sarà il medico Ortomolecolare coordinatore a stabilire sia il tipo sia la dose di ciascun supplemento. Ci sarà da attendere ancora un pochino per concludere se l'interazione di certe vitamine possa risultare più o meno vantaggiosa per certe patologie quali, per lo appunto, il cancro.

Aggiungo solo che sarebbe estremamente sensato il considerare la dispensa di acido levo-ascorbico per endovena, la quale può apportare quantità di vitamina C di gran lunga superiori nel flusso ematico rispetto a una eventuale assunzione per os, assicurando così quei livelli di tossicità utili per distruggere certi tipi di cellule neoplastiche, almeno per come evidenziato in coltura. La ricerca dovrà approfondire e valutare l'utilizzo di massicce dosi di acido levo-ascorbico nel trattamento delle neoplasie. Nei pazienti affètti da neoplasia, sale, infatti, e di molto, la T.I. alla vitamina C, che va resa esatta, condizione questa imprescindibile.

Ora, è pur vero che, nei malati di cancro con metastasi sparse per il corpo, la somministrazione troppo rapida di grandi dosi di sodio ascorbato possa produrre emorragie nelle zone neoplastiche tali da uccidere lo stesso paziente (Cameron).

Ma è indubbio che l'ascorbato di sodio debba essere somministrato nei malati di cancro per scongiurare i conseguenziali contraccolpi da carenza di ascorbato nei vari sistemi, a cominciare dal S.I.. Aggiungo anche che un gruppo di ricercatori del National Health Institute (maggior ente di ricerca americano) ha edito sulla rivista dell'Accademia delle Scienze degli USA le conclusioni di una sperimentazione in vitro, le quali connotano che massicce dosi di sodio ascorbato o per meglio precisare di di-idroascorbato di sodio esitano nella fabbricazione, come già scritto, di H2O2 (perossido d'idrogeno) e nella conseguente apoptosi (annientamento per suicidio) delle cellule neoplastiche senza distruggere quelle in buona salute.

La vitamina C è un potente antiossidante con effètti a dir poco straordinari all'interno del nostro corpo. In certe sperimentazioni in vitro, però, è emerso ch'essa possa influenzare certi ioni di metallo liberi, sì da fabbricare possibilmente dei pericolosi radicali liberi o pro-ossidanti. Quantunque gli ioni di metallo liberi non siano presenti in condizioni fisiologiche, la considerazione che massicce dosi di acido levo-ascorbico possano all'interno del corpo umano indurre danno ossidativo ha trovato un rilevante interesse.

Ma tutte le sperimentazioni che promuovevano il danno pro-ossidativo dell'acido levo-ascorbico sono risultate difettose (incomplete) o di alcuna importanza fisiologica (Carr A, Frei B. Does vitamin C act as a pro-oxidant under physiological conditions? FASEB J 1999;73(9): 1007-1024).

Una nuova recensione, infatti, non ha osservato alcuna certezza in base alla quale poter concludere che l'acido levo-ascorbico in grandi dosi promuova danno ossidativo in condizioni fisiologiche o all'interno del corpo umano. Gli studi pregressi dovrebbero rivedere se stessi per individuare le eventuali imprecisioni metodologiche o altro.

Ribadisco, comunque, che la vitamina C promuova la fabbricazione di perossido d'idrogeno (H202) ossia un materiale ossidante che induce apoptosi delle cellule neoplastiche ma non di quelle sane, materiale straordinariamente vantaggioso in stati d'infezione ma, a onor del vero, da regolare, come già espresso, nelle patologie infiammatorie croniche quali quelle di tipo autoimmune.

Nei disturbi e nelle problematiche degli occhi, le cataratte, sempre più usuali e pericolose col trascorrere degli anni, costituiscono un fattore dominante per la perdita della vista, collegabile a una quota più bassa di C all’interno dei cristallini, al punto che molte ricerche convergono sul fatto che una maggiore supplementazione di vitamina C esplichi in tal senso una preziosa salvaguardia.

Nelle geopatologie ambientali, risulta molto spiccata la tossicità da piombo con ripercussioni soprattutto sui neonati di donne esposte in gestazione alla contaminazione di questo metallo pesante, neonati che presentano disturbi dello apprendimento e comportamentali o un ridotto quoziente intellettivo (Q.I.). Nei soggetti maturi, questo metallo può deteriorare la funzionalità renale e innalzare la pressione arteriosa.

La vitamina C, sia dietetica sia da supplementazione, risulta efficace nel ridurre i livelli di piombo nel flusso ematico, come mostrano evidenze di vario tipo (soggetti anziani-bambini-fumatori), probabilmente per via del fatto che l'acido levo-ascorbico può limitare l'assimilazione del metallo nel livello ematico o promuovere la eliminazione urinaria dello stesso. Negli individui affètti da arteriosclerosi, con tanto quindi di compromissione delle condutture ematiche, sempre più soggette a restringimento e indurimento, e non in grado di consentire al sangue di scorrere dappertutto, con sconquassanti contraccolpi quali gli attacchi di cuore, i multinfarti cerebrali, l'angina pectoris, la somministrazione di acido levo-ascorbico sortisce una decisa ripresa della elasticità dei vasi sanguigni già con dosi di 0,5 g/die.

Nei soggetti ipertesi, in serio pericolo di patologia cardiocircolatoria, è tangibile il declassamento della P.A. sistolica (pressione arteriosa massima), per effetto della supplementazione di vitamina C (0,5 g/die), subito dopo un mese di regolare assunzione della stessa. Ovviamente, e lo scrivente ne ha fatto esperienza in prima persona, la guarigione dalla ipertensione richiede l'associazione anche di altri alimenti quali, per es., il magnesio, la taurina*, la vitamina E*, l'ascorbato di potassio di Pantellini, la melatonina, gli aminoacidi, un multivitaminico-multiminerale del tipo Formula VM-2000, ... oltre che un corretto stile dietetico e di vita e, non ultimo, il movimento (almeno mezz'ora di camminata tutti i giorni, a passo veloce). Nelle persone diabetiche, alcune ricerche (ancora da approfondire) hanno concluso che vi sia un valore plasmatico di acido levo-ascorbico ch'è di circa 1/3 inferiore rispetto a quello di soggetti non diabetici. Si è anche visto che delle quantità da 1 a 6 dg di acido levo-ascorbico/die regolarizzano i valori del sorbitolo nel livello cellulare, riducendo ciò, col trascorrere degli anni, certe negative ripercussioni diabetiche** (Will JC, Byers T. Does diabetes mellitus increase the requirement for vitamin C? Nutr Rev 1996;54(7):193-202).

Non dimentichiamoci, poi, che nei diabetici la primaria causa di morte siano le patologie del sistema cardiocircolatorio e che l'acido levo-ascorbico esplichi positivamente sia un'azione di allargamento delle condutture vascolari, frequentemente deteriorate in questi soggetti, sia un'azione antiossidante, riducente lo stress ossidativo, presumibile collant diabete-patologie cardiovascolari. Anche nelle affezioni influenzali e nel comune raffreddore sono, a mio parere significativi, i benefìci dell'acido levo-ascorbico, se preso a dosi massicce, secondo le tabelle che potrete osservare in fondo al post, prima delle note conclsive. Non vi sono lavori scientifici a sufficienza per connotare quale possa essere la forma di acido levo-ascorbico a più alta biodisponibilità. Ma su un punto si può stare tranquilli: la vitamina C di sintesi e quella naturale sono chimicamente “uguali” e non si evidenziano dissonanze sia per quanto attiene alla loro azione organica (naturale) siauanto riguarda il loro assorbimento.

Ovviamente, i sali minerali dello acido levo-ascorbico risultano basici e quindi riducono l’acidità della vitamina C, con grande sollievo per il livello gastroenterico di certuni. Direi che le forme più diffuse per questa vitamina siano quelle da sodio, da magnesio e da calcio ascorbato, i quali ci apportano rispettivamente 131 mg di sodio/1000 mg di acido levo-ascorbico, 138 mg di magnesio/su 1000 mg di acido levo-ascorbico, 114 mg di calcio/1000 mg di acido levo-ascorbico. Un integratore di vitamina C frequentemente usato è Ester C della Solgar, che associa al calcio ascorbato i bioflavonoidi (pigmenti di natura vegetale, insiti nella frutta e nella verdura, solubili in acqua), particolarmente quelli degli agrumi, ma anche acerola, rosa canina, rutina, che conferiscono allo acido levo-ascorbico una biodisponibilità quadrupla rispetto a quella di una normale assunzione di sola vitamina C (almeno così si legge da Solgar, Nutrition information).

Vi è anche una forma di acido levo-ascorbico (ascorbil palmitato) esterificato (reazione tra acido levo-ascorbico e acido palmitico, ossia un acido grasso): è praticamente un composto liposolubile, in dissonanza con la vitamina C, la quale è idrosolubile. Connotando una discreta azione antiossidante, l’ascorbil palmitato s’impiega in certi prodotti per la cute: ricordo inoltre che l’acido levo ascorbico giochi un ruolo determinante nella sintesi del collagene. Nella supplementazione per bocca è presumibile ipotizzare che nel tratto digerente esso sia sottoposto a scissione elettrolitica, al momento dell’assimilazione, in acido sia levo-ascorbico sia palmitico. In riferimento alla stragrande maggioranza d'individui maturi e in salute, è possibile affermare che oltre i 2 g di acido levo-ascorbico/die possano manifestarsi disturbi gastroenterici (flatulenza, diarrea), che rescindono senza alcuna conseguenza diminuendo la dose o sospendendola provvisoriamente.

Per quanto attiene poi alla interazione coi farmaci: - anticoncezionali per os. che possiedono estrogeni/acido levo-ascorbico: gli anticoncezionali orali con estrogeni declassano i valori della vitamina C a livello plasmatico e dei globuli bianchi (G.B.); - acido acetilsalicilico o ASA (Aspirina)/ acido levo-ascorbico: quantità elevate di aspirina possono indurre una maggiore eliminazione di vitamina C nelle urine (2 cps ogni 6 h per 7 gg. declassano della metà il contenuto di C dei G.B., soprattutto promuovendo la diuresi); - anticoagulante Warfarina/acido levo-ascorbico: elevate quantità di vitamina C declassano la efficacia dello anticoagulante (in tal caso, sarà prudente assumere 1 solo grammo di vitamina C al giorno, tenendo sotto controllo la protrombina).

Esiste un numero molto limitato di persone che soffrono di una malattia genetica piuttosto rara, che provoca una maggiore produzione di acido ossalico nelle cellule; con questo difetto genetico, si deve limitare l’assunzione di vitamina C.

Chi ha una giornaliera supplementazione di acido levo-ascorbico, sottoponendosi all'esame delle urine, verificherà spesso ch'esse siano pregne di vitamina C. A sanatoria di ciò, accade sovente che i medici di turno esortino i propri pazienti ad assumere meno vitamina C, affermando che l'abnorme espulsione urinaria di essa connoti proprio la inutilità di elevati dosaggi, i quali non sono poi assimilati. Niente di più errato! Quell'organo cavo di tipo muscolare, ubicato nel mediastino medio della cavità toracica, fungendo da pompa, consente al sangue d'irrorare i tessuti, apportando loro le sostanze nutritive e l'ossigeno necessari. Bene: la quantità di sangue (GC)*** che i 2 ventricoli possono "smaltire" in 1 minuto, mediante l'arteria polmonare e l'aorta, è, per un normotipo, di circa 5-5,5 l, dei quali 1/5, ossia 1-1,1 l, perviene all'interno dei reni, dove milioni di filtri (glomeruli) depurano il sangue per rilasciare urina.

Coloro che assumono vitamina C a T.I., o comunque quantitativi di essa apprezzabili, sono consapevoli del fatto (e se non lo sono, questo è il momento giusto per apprenderlo) che la C sia nel tempo di 60 secondi veicolata nel flusso ematico e pervenga per i 4/5 ai tessuti e per il rimanente 1/5 ai reni e da essi, in virtù della sua idrosolubilità, nelle urine.

Sto affermando che gli alti tassi di acido levo-ascorbico nella escrezione urinaria non significano ch'esso non sia assimilato ma semplicemente, come del resto avviene per tutte le sostanze idrosolubili circolanti nel flusso ematico, che una minima percentuale di esso sia sottoposta ineluttabilmente alla filtrazione renale.

Aggiungo inoltre che, a ben riflettere, dosi massicce di vitamina C nel flusso ematico portino alla logica conclusione ch'essa sia stata assimilata nel tratto enterico. Stiamocene dunque tranquilli e non facciamo mai mancare al nostro corpo la ottimale dose di acido levo-ascorbico, quella della T.I., in barba alle fuorvianti conclusioni della M.U., la quale stima che una dieta varia ed equilibrata sia in grado di garantirci il necessario, quotidiano fabbisogno di vitamina C.

Ricordo che questa vitamina è alla base del nostro stare in salute e che una sua carenza è il solo motivo per cui nel regno animale muoiano d'infarto i porcellini d'india, qualche scimmietta, le nòttole e ... guarda un po'!-anche l'uomo. Tanto l'ossigeno dell'aria quanto la luce cambiano la composizione chimica del cibo, in particolare quella degli oli e dei grassi (irrancidimento) e producono lo imbrunimento degli alimenti sia animali sia vegetali. Gli antiossidanti non consentono al cibo di ossidarsi e in base alla loro funzione sono distinti in primari e secondari. Quelli primari, per es. la vitamina E, si ossidano in luogo dello alimento cui sono addizionati, preservandoli dall’alterazione, quelli secondari, ai quali appartiene per lo appunto la vitamina C, hanno la funzione di ridurre i primari, una volta che questi abbiano stabilizzato e riattivato (cedendo un loro elettrone) i radicali liberi, e di farli proseguire nella loro azione antiossidante. Questo “scarica-barile” non consente alterazioni organolettiche dei prodotti, tanto meno il declassamento del loro stesso valore nutrizionale. Ovviamente, una tale reazione modifica la struttura chimica dell’acido ascorbico che diviene inattivo.

Comunque, possiamo stare tranquilli, perché entrambe le strutture (attiva e inattiva) della vitamina C non ci arrecano danno e sono espulse attraverso le urine. Non solo l’acido levo-ascorbico è un antiossidante ma pure un aromatizzante e un antinitrosante: esso conferisce un gusto particolare agli alimenti ma soprattutto non consente la permutazione dei nitrati nei micidiali nitriti, che nello stomaco, a contatto con gli acidi umici e fumici, genererebbero le temutissime, cancerogene nitrosamine.

Certamente, l'acido levo ascorbico ch'è termolabile, fotosensibile, igroscopico si declassa di un bel po', nonostante le innumerevoli attenzioni relative al confezionamento: vetro scuro, contenitori non trasparenti, …

Ma la sua funzione nella conservazione dei cibi è quella sopra esposta.

 

Note *

Le assunzioni, sia di taurina sia di vitamina E, vanno inizialmente fatte a dosi moderate, graduandone l'incremento settimanalmente, perché prese da subito in quantità massicce (lo scrivente assume ogni giorno, pensate, 8 g di taurina e 800 U.I. di vitamina E) sortirebbero l'effetto contrario, producendo addirittura un innalzamento dei valori pressori. ** La conversione da sorbitolo a fruttosio consente la fuoriuscita del fruttosio dalla cellula per essere utilizzato dal corpo in altre funzioni, scongiurando il pericolo di ledere la stessa cellula. Nei diabetici, tuttavia, a causa della iperglicemia, ciò non si realizza e quindi il sorbitolo, si deposita sempre più nei tessuti cellulari producendone un danno. ***GC=Gittata Cardiaca Nota conclusiva Vi sono osservazioni che mostrano come elevati dosaggi di acido levo-ascorbico ostacolino la corretta lettura di alcune analisi laboratoriali quali quello della bilirubinemia e della creatininemia o per l’individuazione del sangue occulto nelle feci.

 

Sulla Vitamina D

vitamina d


Diverse sono le forme di questa vitamina liposolubile, ma quella usata per lo più dall'uomo è la D3, ossia il colecalciferolo.

Tutto il regno animale, uomo incluso, è in grado di trasformare il colesterolo in 7-deidrocolesterolo, antesignano della D3.

L'irraggiamento solare trasforma il 7-deidrocolesterolo della cute in D3.

Avendo la possibilità d'esporsi al sole, potremmo ridurre al minimo la richiesta di D3, poiché solo di tanto in tanto essa sarebbe necessaria.

Sapete, vero, che la D3 non è biologicamente attiva?-e che per renderla tale occorre che il nostro corpo la trasformi mediante un complesso meccanismo, detto “sistema endocrino della D”, molto analogo a quello di certi ormoni (per es., tiroideo)?

Non solo: è basilare per le nostre cellule nervose, per lo sviluppo osseo e per la sua densità che vi sia un sufficiente livello di calcio nel flusso ematico.

Allorquando assunta, sia attraverso la dieta, integrazione inclusa, sia attraverso la cute, essa necessita d'una proteina, alla quale s'unisce, che la veicola al fegato, nel cui livello è idrossilata in carbonio numero 25, costituendo la 25-OH-D3, ossia la 25-idrossivitamina D3 o semplicemente calcidiolo.

Ora, anche se la sintesi del calcidiolo è regolata a livello epatico, tuttavia, esponendoci maggiormente all'irraggiamento solare o incrementando l'immissione di D3, sortiremo l'effetto d'un rialzo dei valori di calcidiolo nel flusso ematico, che si rivelerà per noi un utile indicatore di questo nutriente.

Anche il calcidiolo non è, purtroppo, biologicamente attivo e dev'essere idrossilato in carbonio numero 1 per costruire [1,25(OH)2D3], ossia 1,25-diidrossivitamina D3, idrossilazione “stimolata” da un enzima del livello renale.

Sono le ghiandole paratiroidi a rilevare il livello del Calcio nel flusso ematico, per cui s'esso si ribassasse troppo, queste ghiandole produrrebbero l'ormone paratiroideo (PTH) che solleciterebbe l'enzima 1-idrossilasi del rene a fornire una maggiore quantità di calcitriolo, ch'è (finalmente!) la forma biodisponibile di D3, la quale provvederà a normalizzare i valori del livello del calcio ematico su 3 differenti fronti:

-mettendo in funzione il meccanismo di veicolazione della vitamina D a livello enterico (tenue), con conseguente benefìcio dell'assorbimento del calcio dietetico;

-incrementando il trasporto del calcio dal livello osseo verso quello ematico;

-alimentando la ri-assimilazione del calcio a livello renale.

Perché il calcitriolo produca ripercussioni fisiologiche necessita di recettori (proteine).

Esso penetra nell'intramembranario cellulare e costituisce con VDR (recettore vitamina D) il connubio “calcitriolo/VDR”, il quale, associandosi ancora con RXR (recettore X dell'acido retinoico), genera un eterodimero (differente natura chimica) che influenza i VDRE (elementi responsivi della vitamina D, ossia frammenti di DNA): l'associazione VDR/RXR+VDRE attua una variazione del ritmo di trascrizione genica che accresce la funzione dei carrier (trasportatori) del calcio-vitamina D dipendenti a livello enterico (tenue), degli osteoblasti a livello osseo e dell'enzima 1-idrossilasi a livello renale.

Tanto nella psoriasi, patologia contraddistinta dallo sviluppo di cheratinociti (cellule della pelle), nei quali si sono individuati i recettori della vitamina D (VDR), quanto nelle patologie autoimmuni, nelle quali sale la risposta immunologica nei confronti d'un antigene che fa parte di sé più che d'un antigene esterno, e nelle allergie che s'insediano allorquando l'antigene sia una sostanza esterna non nociva, quantità adeguate di calcitriolo (anche in creme per il primo punto) possono sortire un certo miglioramento.

A livello osseo (tessuto connettivo mineralizzato), la cui matrice consta di collagene e il cui minerale osseo è costituito per lo più di cristalli d'idrossiapatite con elevate dosi di calcio e fosforo, si possono registrare dei seri deficit di vitamina D.

Nel rachitismo, che connota un'insufficienza dell'osso di mineralizzare e che coinvolge neonati e bambini, s'osserva una protratta insufficienza di D, al punto che quanto più le ossa si sviluppano celermente, tanto più esse sono affètte dalla predetta patologia.

In particolare, nei neonati si vede una rallentata chiusura della parte molle della scatola cranica (fontanella), mentre la gabbia toracica, sotto la tirante pressione del diaframma, può alterarsi.

Dato ch'è ancora osservabile in certi luoghi della Terra, questa patologia può essere curata con un'integrazione di D o di calcitriolo e con un'alimentazione che apporti nel giusto rapporto sia il calcio sia il fosforo.

Per quanto poi attiene all'endoscheletro delle persone mature, sebbene esso non sia più in accrescimento, occorre precisare che il tessuto osseo è, come dire, in “sistematico rimodellamento”, quale reazione allo stress.

Ossia, l'osso si demineralizza e si rimineralizza mediante il lavoro di osteoclasti e di osteoblasti (cellule ossee), per cui, se si verifica una protratta insufficienza di D, anche se permane la matrice ossea collagene, l'osso si demineralizza con tanto di sofferenza e d'indebolimento (osteomalacia), situazione questa da non confondere con l'osteoporosi.

In entrambe le patologie si registra una certa fragilità ossea, ma l'osteomalacia è piuttosto infrequente e connota una diminuzione della quantità di minerale osseo e della matrice ossea collagene.

Diversamente, l'osteoporosi, patologia molto frequente, specialmente nelle donne dopo la menopausa, presenta un decremento della massa ossea totale, lasciando inalterata la proporzione tra minerale osseo e matrice ossea collagene.

Tra i più colpiti da insufficienza di vitamina D figurano i neonati che non fruiscono d'un'adeguata esposizione alla luce solare e che sono alimentati col latte artificiale non fortificato con vitamina D, soprattutto se nati verso fine autunno, le persone anziane che prendono poco sole, in quanto con l'età si riduce la capacità di sintesi della D da parte dell'organismo esposto alla luce solare, gli Africani o gli Indiani, scuri di carnagione, i quali risiedono nel nord o nel sud degli USA, perché la loro pelle ha una ridotta capacità di sintesi della vitamina D, le donne Arabe che rivestono totalmente il proprio corpo quando sono all'aria aperta, gli affètti da fibrosi cistica e da colestasi epatica (condizione di ristagno biliare nella colecisti o nei canali biliari intraepatici ed extraepatici), patologie entrambe che arrecano una scarsa assimilazione della D dietetica, coloro che presentano dei processi enterici infiammatori (per es., il morbo di Crohn), soprattutto se sono stati sottoposti a resezioni del tenue, i soggetti con grave deficit renale, perché non sono in grado di trasformare il calcidiolo in calcitriolo (forma attiva della D), gli affètti da un'infrequente patologia genetica che destabilizza la funzione dell'enzima 1-idrossilasi a livello renale e quindi il processo di conversione del calcidiolo in calcitriolo, gli epilettici per via dell'assunzione di prodotti anticonvulsivanti (fenitoina, ...) che si ripercuotono sul ricambio nel fegato della D.

Tanto il PTH (ormone paratiroideo) quanto il calcitriolo sono i rilevatori ematici del nostro organismo: essi ci segnalano l'adeguato, corretto apporto di vitamina D.

Per es., valori superiori di PTH e inferiori di calcidiolo nel flusso ematico sono indice d'una ridotta densità minerale ossea nei soggetti anziani.

Infatti, è certo che un deficit o un “cattivo” ricambio della vitamina D abbia una significativa incidenza nell'osteoporosi.

Alcune evidenze mostrano che già un'integrazione di 400 UI di vitamina D in donne in post-menopausa, viventi a latitudini tali da non avere alcuna sintesi da irraggiamento solare nel periodo novembre-marzo, produceva un calo nella perdita di massa ossea a livello di spina lombare.

Non citerò analoghe ricerche che hanno dato esiti similari, limitandomi alla conclusione che una supplementazione da 400 a 800 UI di vitamina D può diminuire sia la perdita ossea sia il rischio di fratture, particolarmente nelle donne e negli anziani, purché associata a un giusto consumo di calcio*, stimato tra 1g e 1,5 g al giorno.

Come si sa, le cellule neoplastiche presentano la duplice caratteristica di non possedere alcuna differenziazione e d'accrescersi o riprodursi velocemente.

Molti cancri (pelle, polmone, seno, ossa, colon) presentano il VDR (recettore per la vitamina D): bene determinate forme biologicamente attive di D3 (calcitriolo, ...) inducono differenziazione cellulare e/o inibiscono la proliferazione di certi tipi di cellule neoplastiche e non.

Con l'avanzare degli anni, cresce il pericolo di cancro alla prostata.

Certi studi mostrano che tale rischio è maggiore negli Afro-Americani piuttosto che negli Americani bianchi, perché la pelle scura ha un'alta presenza di Melanina che declassa l'efficacia nella sintesi della vitamina D.

Nel cancro del colon, un maggior rischio d'esso si collega proprio a uno scarso irraggiamento solare sulla pelle e quindi a un'insufficienza di vitamina D: addirittura, integrando quotidianamente 160 IU, ossia 4 mcg (microgrammi) soltanto di questa vitamina, si riesce a ridurre il pericolo di contrarre tale patologia.

I valori di [25(OH)D3], calcidiolo, nel siero sono un valido indicatore per i livelli della vitamina D; dei bassi valori sono riferibili a una superiore possibilità di contrarre un adenoma colorettale, direi precanceroso, o un cancro del colon.

Si è anche osservato in colture cellulari come la proliferazione delle cellule neoplastiche (almeno di certi tipi) sia fermata dal calcitriolo.

L'esposizione alla luce solare e una supplementazione di vitamina D alimentare connotano una diminuizione del pericolo di contrarre un cancro mammario.

Ciò detto, credo sia fondamentale rinverdire il concetto che una protratta supplementazione di alte quantità di vitamina D possa generare tutta una serie di negative ripercussioni, tanto maggiori se le assunzioni farmaceutiche sono di calcitriolo, il quale sfugge ai processi di sorveglianza fisiologica che ne riducono la sua fabbricazione nel livello renale, come vedremo meglio in seguito.

L'integrazione di vitamina D può servire per la prevenzione e la cura dell'osteoporosi: l'introduzione di 1000 UI al giorno (25 mg) di vitamina D al bifosfonato può esitare nel tempo d'un anno in un'apprezzabile crescita della densità minerale ossea a livello lombare della colonna vertebrale.

Nel cancro della prostata, anche se il processo non è chiaro, il calcitriolo inibisce lo sviluppo della neoplasia su colture cellulari e si rivela particolarmente utile per tale patologia, anche se l'immissione di quantità farmacologiche di calcitriolo presenta il pericolo di negative ripercussioni collaterali, anche piuttosto importanti.

Nelle malattie autoimmuni (diabete mellìto insulino dipendente, sclerosi multipla, artrite reumatoide) s'è osservato che il calcitriolo regola la risposta dei linfociti T, riducendo quella autoimmune.

L'irraggiamento solare soddisfa nella stragrande maggioranza degli uomini la richiesta di vitamina D.

Sia i bambini sia i giovani che trascorrono 2-3 gg. della settimana all'aria aperta non hanno problemi di deficit di vitamina D, che possono invece presentare gli anziani, perché possiedono una diminuita capacità di sintesi della D dalla luce solare e magari hanno spesso delle protezioni solari** per tutelarsi dalle neoplasie della cute e da altri eventuali danni causati dalle radiazioni solari.

Ci sono delle evidenze su soggetti anziani che assumevano un'integrazione multivitaminica o che ingerivano 3 bicchieri di latte quotidianamente che mostrano un deficit di vitamina D in quasi l'80% d'essi al termine della stagione invernale.

Per cui è buona regola che gli anziani si espongano sistematicamente, per un tempo non troppo prolungato, alla luce solare (15-20 minuti di sole sulle mani, sul viso e sugli avambracci, al mattino o nel tardo pomeriggio, sia in primavera sia in estate sia in autunno, in modo d'accumulare ogni eccesso di D nel grasso da smaltire poi nel periodo invernale; dopodiché, se si vuole protrarre l'esposizione al sole, sarà conveniente cospargersi la pelle con una crema solare protettiva).

Dal punto di vista dietetico, non sono molti gli alimenti che contengono la vitamina D.

Per citarne alcuni: olio di fegato di merluzzo, aringhe, salmone, sardine e gamberetti in scatola, latte e cereali fortificati, tuorlo d'uovo.

Per quanto attiene agli integratori multivitaminici, essi apportano mediamente dai 5 ai 10 mcg, ossia dalle 200 alle 400 IU di vitamina D.

L'esposizione alla luce solare non dà tossicità da vitamina D, mentre un'integrazione d'essa in quantità elevata tra 10000 e 50000 IU al giorno, ossia da 250 a 1225 mcg/dì per diversi anni, probabilmente per i considerevoli valori ematici di calcio da essa generati, crea ripercussioni sulla mancanza d'appetito, produce voltastomaco, conati di vomito, sete smodata, abbondante diùresi, smarrimento, fino al coma e alla morte.

Con forti valori ematici e urinari di calcio, che perdurano col trascorrere del tempo, subentrano sia osteoporosi sia calcificazioni degli organi (cuore, reni).

Attenzione soprattutto all'uso di calcitriolo, perché questa forma biodisponibile di D sfugge ai processi fisiologici di sorveglianza, i quali riducono la sua fabbricazione a livello renale.

Ecco, perché l'FNB dell'Institute of Medicine ha stabilito una soglia massima per questa vitamina di 2000 IU al giorno, ossia di 50 mcg, nei soggetti adulti e in buona salute, dose 5 volte inferiore a quella rilevata tossica.

Specie gli antiepilettici (Fenitoina, Fenobarbital, ...) sono in grado di declassare il ricambio della vitamina D nel fegato, mentre il Colestipolo, la Colestiramina, l'Orlistat, in genere i farmaci che riducono il colesterolo, ostacolano l'assimilazione della D a livello enterico.

Anche il Chetonazolo (antimicotico per os) diminuisce i valori ematici di calcitriolo negli individui in buona salute.

Coloro che assumono la Digossina (digitale) o il calcioantagonista Verapamil, perché affètti da ipertensione, possono avere episodi di aritmia cardiaca per tossicità da vitamina D, ch'eleva i loro valori del calcio nel flusso ematico (ipercalcemia).

Il Linus Pauling Institute consiglia nei soggetti in salute un'integrazione multivitaminica-multiminerale quotidiana di 400 IU, ossia 10 mcg, e di esporsi all'irraggiamento solare per almeno 15 minuti per 3 gg. la settimana, di mattina o nel tardo pomeriggio, sia sul volto sia sulle mani sia sugli avambracci, in primavera, in estate, in autunno, in modo da ovviare al deficit di D nel periodo di fine inverno.

Diversamente, le persone più avanti negli anni, al di sopra dei 65 anni, ma anche prima se necessario, faranno bene a integrare, data la loro ridotta capacità di sintesi della vitamina D da esposizione ai raggi solari, 800 IU di D, ossia 20 mcg.

Note.

*L'assunzione del calcio è molto dibattuta: certi ricercatori concordano addirittura nel sostenere che un'alimentazione carica di latte e di derivati, per un rialzo dell'acidità ch'essa stessa produce, procuri nel tempo una deplezione significativa del calcio.

Personalmente, propendo per questa conclusione.

**Protettivi solari con un fattore 8 declassano del 95% la formazione di vitamina D.

Raffaele

Per riflettere.

La valutazione di quanta vitamina D ci occorra presumerebbe di sapere l'esatta dose “consumata” giornalmente dal nostro corpo che, non essendo mai stata stabilita, non potrà che collegarsi alla nostra pratica sperimentale, in modo da conseguire e conservare quell'ottimale range dei livelli sierici della 25 (OH) D per soggetti sani, che così riassumo:

-carenza < 20 ng/ml (< 50 nmol/l)

-insufficienza 20-30 ng/ml (50-75 nmol/l)

-eccesso >100 ng/ml (> 250 nmol/l)

-intossicazione > 150 ng/ml (> 375 nmol/l)

Bene.

Siccome sono molteplici i fattori che influiscono sull'assorbimento della Vitamina D, l'analisi dei quali è meglio evitare in questa circostanza per non scrivere in merito un “trattato”, ecco quale algoritmo, molto essenziale e pratico, Vi propongo (poi, ognuno faccia come meglio crede) di sviluppare per stimare il vostro fabbisogno quotidiano di D (ve ne sono, ovviamente, altri), nel caso la vostra esposizione solare fosse molto esigua, come personalmente lo è per me, preso come sono dal “seguir virtute e conoscenza”.

Si sa che 100 UI di Vitamina D fanno salire i valori sierici della 25 (OH) D di 1 ng/ml o se preferite di 2,5 nmol/l.

Dunque, lasciando costante questo rapporto, indipendentemente dai nostri livelli sierici iniziali della 25 (OH) D, dei quali nulla adesso sappiamo, un'assunzione quotidiana di 2000 UI di Vitamina D3 garantirebbe quanto segue:

Legenda

ng=nanogrammi
nmol=nano moli

100 UI = 1 ng/ml (2,5 nmol/l)

per cui:

2000 UI = (1 ng/ml X 20) = 20 ng/ml (2,5 X 20 = 50 nmol/l).

Un'assunzione di 2000 UI, ossia di 20 ng/ml (50 nmol/l), rapportata al range dei livelli sierici della 25 (OH) D, evidenzia chiaramente un livello medio di 25 (OH) D sub-ottimale.

A voi, Amici, le ovvie conclusioni.

Una sola ulteriore utile, almeno credo, puntualizzazione.

I dati sperimentali USA-Nord America mostrano che l'esposizione solare contribuisca per l'80% all'apporto di vitamina D3.

Studi epidemiologici italiani attestano tale valore tra il 60 e il 90%.

Raffaele

 


Sulla vitamina D (Seconda parte)

Tanto la D3 quanto la D2 sono potenti ormoni e non vitamine, come impropriamente definite, ormoni che "trasmettono notizie" al DNA cellulare, disponendo di 4.500 recettori nelle cellule del sistema immunitario, del quale sono il più importante modulatore.

L'elaborazione della vitamina D si ha allorquando la luce ultravioletta s'irradia sulla cute o sul pelo degli animali (molti animali assorbono la D leccandosi il pelo).

La vitamina D3 da colecalciferolo, 50 volte più attiva della D2 da ergocalciferolo, è una sostanza immunoregolatrice, in grado cioè di operare sul S.I., sulla sua attività, equilibrandolo, se sbilanciato, e correggendo le risposte errate nei confronti di eventuali assalitori infiltratisi dall'esterno.

Pur essendo un potentissimo strumento di difesa, dotato di cellule in grado di fabbricare centinaia di sostanze diverse, estremamente letali per gli eventuali aggressori, talvolta, purtroppo, il S.I. “s'inceppa” a tal punto da non saper riconoscere neppure se stesso e da procurarsi guai veramente seri, ossia tutta una serie di “malattie” che passano sotto il nome di “autoimmuni”.

Bene, in queste nefaste, quanto ingarbugliate situazioni, la D è capace d'infiltrarsi nel meccanismo di trasmissione tra i diversi nostri costituenti, modulando sia l'attività sia l'inattività delle nostre stazioni immunologiche.

Il timo e ogni cellula del nostro organismo (cellule dendritiche dalla sigla APC, ossia Antigen-Presenting Cell, specializzate nella cattura di antigeni, linfociti t, ...) possiedono sulla loro membrana un VDR (recettore per la D), il quale può collegarsi alla 1,25 OH D (forma biologicamente attiva della vitamina D).

Attraverso l'esposizione all'irraggiamento solare, in pantaloncini corti e maglietta a maniche corte,
in soli 15-20 minuti, senza protezione solare, immettiamo alte dosi di vitamina D attiva (10000-20000 UI) nel sangue.

Tuttavia, per le più disparate motivazioni, risulta sempre più ridotto il tempo libero da trascorrere all'aperto, al sole, e ciò, unito al fatto che usiamo sempre più spesso creme schermanti e che con l'invecchiamento la nostra pelle è sempre meno capace di assorbire la vitamina D, fa sì che vi siano sempre più individui in carenza di questa basilare vitamina e, conseguentemente, un numero sempre più crescente di soggetti affètti da malattie autoimmuni.

Tanto il timo (ghiandola del sistema linfatico e più generalmente di quello immunitario, con l'incarico di far raggiungere ai differenti tipi di linfociti il pieno sviluppo, con lo scopo poi di annientare i microrganismi patogeni all'interno delle cellule) quanto il linfocita T (vitale cellula del S.I., che ha origine nel midollo osseo come unità cellulare non differenziata, per essere poi destinata al timo per la sua conversione in linfocita T, preposta all'immunità cellulo-mediata) necessitano di tantissima D, perché se viene loro a mancare, ecco che risulta più arduo che gli stessi linfociti giungano a maturazione, con grave danno per il S.I..

I bambini, frequentemente cagionevoli di malattia, andrebbero sottoposti a un controllo del livello della 25-OH-D e del paratormone.

L'efficienza del linfocita T nell'aggredire l'antigene è riconducibile alle cellule dendritiche APC, specializzate nella cattura antigenica, subito esposta all'azione delle predette cellule "killer" (linfociti T), le quali comprendono di che cosa si tratti e promuovono una reazione immunitaria congeniale contro l'antigene.

Non solo: tra i linfociti T c'è poi una sottopopolazione, T Helper (“aiutanti” che insieme ai linfociti B modulano la fabbricazione degli anticorpi, per cui sono vitali per proteggere il corpo dalle infezioni sia batteriche sia virali ), autentici custodi del S.I., che fabbricano le interleuchine, particolarmente l'interleuchina 12 (IL12).

La D agisce sia sulla formazione delle cellule dendritiche sia sulla trascrizione genica ed è quindi capace di monitorare e modulare tutto il S.I.; controlla, inoltre, la trasformazione dei monociti in macrofagi che fagocitano e annientano le cellule-bersaglio, assicurando così al S.I. un'ottima protezione contro i microrganismi patogeni.

Tanta più D possediamo quanto più efficace sarà la nostra risposta immunitaria alle infezioni e al contempo la capacità dell'organismo d'inibire la suicida reazione autoimmune.

Si consideri che, nel morbo di Crohn, a causa di un polimorfismo, un recettore della vitamina D non riesce a fissare la 1.25OHD, producendo un deficit della stessa, che non risulta tuttavia nel sangue.

In questa circostanza, servirà accrescere, e di parecchio, l'integrazione della D, in modo da garantire una giusta reazione immunologica.

La vitamina D da colecalciferolo, quella ricavata per effetto dell'irraggiamento solare o assimilata a livello enterico, subisce due processi di idrossilazione:

- a livello epatico, mediante l'enzima idrossilasi, la D è permutata in 25-OH-D (calcidiolo);

- a livello renale, tramite la 1a-idrossilasi e la 24-idrossilasi, la 25-OH-D è convertita in 1.25OHD (calcitriolo, forma attiva) oppure in 24.25OHD (forma non attiva).

Per quanto attiene la seconda delle due conversioni, essa si pone in essere per ovviare a eventuali surplus di vitamina D, che promuoverebbero un'esagerata assimilazione di calcio nella filtrazione renale.

Bene: siccome figurano ben 3 differenti polimorfismi enzimatici, s'intuisce chiaramente la necessità di calibrare dosi diverse da soggetto a soggetto per questa vitamina nella sua forma attiva.

La forma attiva della vitamina D, calcitriolo ossia 1.25OHD, e il paratormone, ormone paratiroideo (PTH), espletano tra di loro un'azione avversa: il PTH prende parte al metabolismo del calcio, promuovendone una sua immissione nei fluidi extracellulari, nell'eventualità che vi sia un suo deficit nel flusso ematico e favorisce la sintesi di 1.25OHD nel livello renale, per accrescere l'assimilazione del calcio nel livello sia renale sia enterico.

Di contro, la vitamina D antagonizza la sintesi di PTH per scongiurare che s'instauri un inappropriato processo attraverso il quale i 2 ormoni possano essere fabbricati incessantemente, sfalsando così tutto il metabolismo del calcio.

Soprattutto in caso di malattie autoimmuni ma anche di altre patologie occorre verificare, attraverso un semplice prelievo di sangue, sia il valore della 25-OH-D sia quello del paratormone (PTH), verificando che esso sia stabile sul valore minimo del range di normalità.

Inoltre, sarà utile riscontrare il valore della calciuria (livello del calcio nelle urine), perché, se in eccedenza (ipercalciuria), andrebbe a ostruire la filtrazione renale, con gravi ripercussioni su tutto l'organismo.

L'opposizione limitata nell'assorbimento della vitamina D, per difetto genetico acquisito dalla madre, dal padre o da entrambi i genitori, conduce verso la patologia autoimmune.

Gli affètti da malattia autoimmune necessitano pertanto di megadosi di vitamina D, come per es. nella S.M., per preservare uno stato di “remissione perpetua” della patologia.

Con dosi massicce di vitamina D, i pazienti affètti da S.M. raggiungono un arresto completo e duraturo delle lesioni.

Ovviamente, ogni soggetto, tanto se affètto da patologia autoimmune quanto se sano, ha una soglia a lui ottimale nell'assunzione di megadosi di vitamina D, a seconda cioè della personale resistenza all'assorbimento della vitamina stessa, soglia che conviene garantirsi giorno per giorno quale prevenzione nei confronti di una infinità di rischi, anche piuttosto seri.

Le dosi ottimali di vitamina D da assumere si ottengono, sotto stretto controllo medico, attraverso i rilevamenti, prima del trattamento, sia della 25-OH-D sia del paratormone, si stabilisce una dose di partenza, superiore alla dose di 10000 IU, ritenuta fisiologica, dopodiché si ripetono i rilevamenti bimestralmente (periodo necessario per osservare il rialzo della D nei valori ematici e il suo assestamento), fino a che non si osserva che il paratormone si sia attestato sul valore minimo del range di normalità, il quale segnalerà che la vitamina D è attiva e garantirà i suoi straordinari effetti, quelli che conquistano l'arresto e/o l'eliminazione della patologia.

Ovviamente, il paratormone, inibito dalle dosi sempre maggiori di vitamina D, non deve scendere sotto il valore minimo del normale ma rimanervi incollato, in modo da espletare il massimo effetto immuno-modulatore, senza esporre il soggetto ad alcun pericolo.

Se, infatti, il PTH scendesse sotto la soglia del valore minimo del normale, verrebbe meno il livello di sicurezza: la vitamina D diverrebbe nociva, andando a depletare un gran quantitativo di calcio dalle ossa per riversarlo nel flusso ematico, con inevitabile danno a carico dei reni.

Come dire: il PTH incollato sul valore minimo del range di normalità* ci dà una duplice certezza:

- la massima attività della vitamina D;

- la non tossicità della mega-dose di vitamina D che si sta assumendo.

Inversamente, un valore del paratormone attestato verso la soglia massima del range di normalità evidenzierebbe una carenza significativa di D, la quale condurrebbe alla sottrazione di calcio dal tessuto osseo (piuttosto che dal cibo che passa nel livello enterico, per deficit di D) per garantire la concentrazione del calcio nel circolo sanguigno.

Una volta calibrata la dose ottimale di vitamina D, variabile da soggetto a soggetto, occorre verificare con controlli periodici a lungo termine che i valori siano ancora nella norma, escludendo così il rischio di intossicazione vitaminica con la eventuale riduzione della quantità giornaliera.

Secondo i dati forniti dal dott. Cicero Coimbra, il 95% dei soggetti affètti da S.M. e curati con megadosi di D preservano la patologia in perpetua remissione mentre solamente il 5%, pur avendo un miglioramento, non ottengono la remissione totale per due determinanti elementi:

- un notevole stress emozionale;

- il fumare.

Per escludere eventuali effètti collaterali, all'assunzione di megadosi di D sono da consociare sia un'alimentazione priva di latte e derivati sia una copiosa idratazione.

Tutte le patologie autoimmuni (S.I. contro il proprio corpo) sono prodotte da un tipo di reazione aberrante che passa sotto il nome di TH17.

Secondo quanto sostenuto da Coimbra, la vitamina D è la sola sostanza capace di bloccare questa reazione, senza danneggiare le favorevoli risposte del S.I.

Tutt'altro.

La D promuove e rafforza l'idoneità di risposta del S.I. contro i virus e i batteri.

Nella tubercolosi (trasmissibile per via aerea per mezzo del mycobacterium tubercolosis), nell'HIV (virus trasmissibile sessualmente e sempre più raramente per trasfusioni con emoderivati infetti), nell'epatite C (trasmissibile con l'HCV, epatitis C virus, trasmesso per contatto con sangue infetto: droghe per endovena, trasfusioni infette, ...) occorrono idonee dosi di vitamina D da 10000 U.I./die per contrastare e limitare i danni arrecati dai batteri o dai virus nel livello epatico.

Anche il morbo di Crohn come pure le patologie infiammatorie enteriche si possono tenere sotto sorveglianza supplementando dosi ottimali di vitamina D.

Questa straordinaria vitamina non mira al risanamento di una malattia piuttosto che un'altra ma esplica la sua benevola azione sul S.I., il quale si arricchisce enormemente di un certo tipo di cellule, i linfociti T regolatori, straordinari modulatori di tutto il sistema immunitario.

Simultaneamente, la reazione TH17, irregolare, anomala, non naturale, si arresta per effetto della D.

Il blocco delle patologie autoimmuni si deve a due determinanti elementi:

- il blocco della reazione TH17 (aberrante, non fisiologica, anormale);

- il forte incremento dei linfociti T, modulatori del S.I..

Naturalmente, le alterazioni oltre l'anno dall'inizio del trattamento non sono risanate ma arrestate mentre si attua una guarigione completa per quelle di nuova formazione ossia entro l'anno dall'inizio delle assunzioni di megadosi di vitamina D.

Sono tre gli elementi costituivi che dispongono alla patologia autoimmune:

- l'ereditarietà materna o paterna o di entrambi i genitori;

- la ridotta resistenza all'efficacia organica della D o a un suo deficit per insufficiente esposizione al sole;

- lo stress emozionale.

Lo stress emozionale (scomparsa prematura di un figlio, rottura del matrimonio tra genitori o col proprio partner, distacchi affettivi in genere, ...) innesca la patologia autoimmune.

Nel novero delle malattie autoimmuni, oltre all'artrite reumatoide, all'arterite di Horton, alla spondilo artrite, alle sindromi di Sjogren e di Behçet, alla sclerosi multipla, al diabete mellìto insulino dipendente (tipo 1), al morbo di Crohn, alle vascoliti, al morbo di Addison, alla psoriasi, al lupus eritematoso sistemico, alla sclerodermia, alla tiroide di Hashimoto, al pemfigoide bolloso, alla dermatomiosite, all'uveite facogenica, alla polimiosite, alle altre connettiviti, alla sindrome di anticorpi antifosfolipidi può essere ascritta anche la recidività degli aborti nel primo mese di gestazione, dato che il S.I. si oppone alla installazione embrionale per carenza di vitamina D e per una ridotta opposizione ai contraccolpi organici immunomodulatori della vitamina stessa.

La preeclampsia, un tipico stato di elevazione dei valori pressori, inerente alle donne nel III° mese di gestazione, che può associarsi a gonfiore (edema) e fastidi renali (troppe proteine nelle urine), la quale, se non trattata (5% circa di tutte le gravidanze), sfocia nell’eclampsia, con attacchi convulsivi, che può rappresentare un serio rischio per l’incolumità sia della madre sia del nascituro, al punto che sia conveniente per l'ostetrico di turno praticare il cesareo anticipando il parto, può essere evitata con dosi fisiologiche da 10000 IU/die.

Non solo: le gravide che non prendono sole a sufficienza hanno valori della vitamina D fortemente declassati, al punto da mettere alla luce figli autistici, particolarmente poi se la carenza di questa vitamina si protrae anche nei primi anni di vita del bambino.
Anche gli stati ansiosi e depressivi, il diabete di tipo 2 sono promossi da un deficit di vitamina D.

Dato che la terapia con megadosi di vitamina D accresce il numero dei linfociti immunoregolatori, tanto maggiori saranno le sue dosi quanto superiore risulterà l'azione riducente dell'attività autoimmune.

E' pertanto esatto concludere che sia il deficit di vitamina D la causa delle patologie autoimmuni e non il contrario.

In tutte le malattie autoimmuni, il deficit di vitamina D è una costante.

Le supplementazioni di D è preferibile farle giornalmente e non con boli, per evitare sbalzi vitaminici nella concentrazione ematica e una dose da 10000 UI/die risulta fisiologica, dato che è la quantità che la nostra pelle potrebbe fabbricare in 15-20 minuti di esposizione all'irraggiamento solare, senza alcuna protezione solare, in maglietta a maniche corte e calzoncini, se si è giovani e di carnagione chiara.

Ribadisco che questa quantità risulta priva di rischio (secondo le affermazioni del dottor Coimbra, sua figlia prende da più di 6 anni 10000 UI/die di vitamina D, dose talmente sicura da essere venduta negli USA senza alcuna prescrizione medica), per cui non si ha bisogno né di una dieta né di una idratazione specifica né di una supplementazione, che comunque, personale parere, sono prudentemente da associare a puro scopo cautelativo.

Si può addirittura supporre che la vitamina D eserciti una benevola influenza sulla flora enterica, riducendo i microrganismi patogeni.

Diversamente, una carenza di questa vitamina potrebbe modificare il prezioso equilibrio della flora intestinale, in virtù del fatto che ogni cellula reagisce naturalmente alla efficacia della D.

Occorre solamente, quando si assumono mega-dosi di D, scongiurare, con controlli bimestrali, il rischio che si depositi troppo calcio nel flusso ematico ossia calibrare perfettamente la super-quantità vitaminica.

Molte patologie sono riconducibili alle anomalie genetiche dei recettori della D (alterazione di una delle due idrossilasi che consentono la trasformazione della 25-OH-D prima in calcidiolo e poi in calcitriolo oppure una mutazione del ricettore della D che si trova nelle cellule o ancora una variazione ereditaria della proteina che imprigiona la D, veicolandola nel circolo sanguigno) per via della modificazione dell'enzima preposto all'attivazione di questa vitamina.

Insomma, possono essere molteplici le cause (anche assommate tra di loro) che conducono a una maggiore richiesta di vitamina D da parte dell'organismo, finanche un peso corporeo eccessivo in relazione alla propria statura o l'età (gli anziani possiedono un minor numero di recettori della D nel livello cellulare).

Per questo, il valore del PTH risulta determinante: incollato sul range minimo del valore di normalità esso ci assicura che la D sia attiva, ottimale, pur non conoscendo le cause che rendono resistente il soggetto a questa vitamina.

La produzione di D attraverso la cute o il cibo e la supplementazione di essa sono tutte forme di D non attiva ossia colecalciferolo.

Il colecalciferolo abbisogna di due processi di idrossilasi per essere trasformato prima in calcidiolo e successivamente in calcitriolo o 1,25 diidrossi D3, ch'è la forma attiva di vitamina D.

Queste idrossilasi sono tuttavia subordinate (indirettamente) alla presenza della riboflavina (vitamina B2 ).

Infatti, durante l'idrossilazione della D, gli enzimi subiscono un processo di ossidazione.

Per idrossilare un'altra molecola, occorre ridurla (processo di riduzione) e ciò necessita della vitamina B2.

Si stima, però, che addirittura fino a un 15% della gente del pianeta Terra presenti dei problemi relativamente all'assimilazione di B2 ossia abbia una disfunzione ereditaria, percentuale che in Italia tocca addirittura punte del 50% a causa della malaria contratta in certe zone della Penisola (Novara, Vercelli; Pavia, Mantova, Cremona; Venezie Euganea e Giulia; zone dell'Emilia, Maremma toscana, coste laziali, Agro Pontino, coste della Campania e della Calabria, fino allo stretto di Messina, golfo di Squillace e di Taranto, zone di Lecce, di Brindisi, di Foggia, parte meridionale della Sardegna, coste e interno della Sicilia).

Infatti, coloro che resistevano alla malaria avevano il difetto genetico del non assorbimento della B2, per cui nel crescere tramandavano la loro alterazione genetica.

E ciò esita nella resistenza all'assorbimento della vitamina D, dato che le idrossilasi in assenza del necessario quantitativo di B2 sono pochissimo attive.

In quanto alle alterazioni del fosforo, che conviene comunque monitorare periodicamente, le evidenze dei pazienti in cura presso Coimbra con mega-dosi di D3 non mostrano alterazioni di questo non-metallo del gruppo dell'azoto.

Nei soggetti con insufficienza renale, occorre essere prudenti nella somministrazione di megadosi di vitamina D per scongiurare il rischio di un'assimilazione massiccia di calcio sia dall'endoscheletro sia per via enterica, che poi i reni non sarebbero in grado di eliminare (in questo caso, è buona regola essere monitorati da medici Ortomolecolari, come, per es., lo stesso Coimbra o dal personale medico da lui stesso formato, quali per es., i nostri due valorosi medici italiani Paolo Giordo e Augusto Pellegrini, che in Brasile hanno appreso il protocollo del dottor Coimbra).

Nella patologia del lupus eritematoso sistemico è necessario bloccare la malattia, prima che i reni vengano “assaliti” dal S.I. stesso con grave danno a loro carico.

Tuttavia, nel caso in cui le lesioni del livello renale siano già esistenti sarà allora conveniente, seguiti da un medico Ortomolecolare, cominciare con supplementi di vitamina D inferiori, in modo da verificare che le dosi assunte non abbiano deleterie ripercussioni sul soggetto da risanare: occorre, infatti, esser certi che i reni siano in grado di eliminare il calcio in esubero nel flusso ematico.

I soggetti affètti da carenza di G6PD (glucosio-6-fosfato-deidrogenasi), alla pari di quelli affètti da deficit di vitamina B2, sono anche loro resistenti alla malaria endemica e non hanno alcuna inconciliabilità con assunzioni di megadosi di vitamina D.

Relativamente ai disordini del movimento, quali la distonia (contratture muscolari non volontarie, che obbligano certe zone dell'organismo, quali arti superiori e inferiori, busto, collo, faccia, palpebre, corde vocali, a mantenere atteggiamenti posturali o dinamici difettosi, anche frequentemente dolorosi), non vi sono al momento ricerche e osservazioni sulle possibili connessioni tra la distonia e l'assunzione di megadosi di vitamina D, ma ciò non toglie che si possano, in tal senso, sortire risultati favorevoli.

In quanto all'adrenoleucodistrofia (ADN), patologia metabolica, che in alcuni casi si associa a una degradazione della guaina mielinica, conducente a una progressiva disabilità, essa è priva di qualsiasi protocollo.

Tuttavia, i pazienti affètti da patologia neuronale trovano beneficio dalla somministrazione di megadosi di vitamina D, dato che se versassero in carenza di questa vitamina avrebbero un duplice problema:

- metabolico (genetico, ereditario);

- carenza di vitamina D, capace di far progredire la patologia più celermente.

In sintesi, coloro che presentano disturbi sia di tipo neurologico sia di tipo metabolico, anche se non specificamente rapportabili al deficit di D, faranno bene (più degli altri) a tenere sotto controllo la D, normalizzandola con assunzioni da 10000 IU/die.

Anche in relazione all'assunzione di anticoagulanti (warfarin), se ci si attiene al protocollo (dieta-assunzione liquidi), sia in associazione a dose fisiologica (10000 IU) sia a megadosi, non si rileva alcun problema dalle evidenze finora osservate.

I pazienti affètti da ipertiroidismo, i quali non si attengano a specifica terapia (ossia non assumano quei farmaci o seguano quei determinati trattamenti che tengano bilanciati i valori tiroidei), stiano molto attenti alle intossicazioni da vitamina D, divenendo a essa molto sensibili (l'ormone tiroideo promuove l'attivazione della vitamina D nel depletare il calcio dalle ossa).

Particolare cautela, dunque, in presenza d'ipertiroidismo non curato, non tenuto sotto sorveglianza, per via proprio, in tale circostanza, di una più marcata sensibilità alla vitamina D.

Nel caso, infine, si stiano prendendo antibiotici (molto deleteri per il livello renale) occorrerà portare l'idratazione corporea da 2,5 l a 3,5 l al giorno, in modo da fluidificare il transito del medicinale e ridurre così la nociva reazione a carico dei reni.

Chi fa uso di 10000 UI/die di vitamina D non fa altro che prendere la stessa quantità che assumerebbe in 20 minuti circa di esposizione all'irraggiamento solare, vestito con maglietta a maniche corte e calzoncini, per cui tale dose non può considerarsi dannosa e tale da richiedere accertamenti laboratoriali o supervisioni mediche, eccezion fatta per i bambini che sono in sottopeso, la cui dose di 10000 IU/die potrebbe rilevarsi esagerata.

Note

* Il range di variazione del paratormone può cambiare a seconda del laboratorio di analisi:

4-58 pg/ml (in questo caso il PTH deve stare tra 4 e 10);
12-65 pg/ml (in questo caso deve stare tra 12 e 20).

- Mai stare sotto il range del valore minimo di normalità, altrimenti la vitamina D diviene tossica.

Vitamina D ricavata dal Licopene:
- VIRIDIAN D3 2000 IU 60 capsule (25 € dottore, 12 € ordine on-line?).
- Vegan D3 capsule da 5000 IU

- I parametri per la D sostengono quanto segue:

< 10 ng/ml la vitamina D = carenza;
< 20 ng/ml = insufficienza;
> 30 ng/ml e fino a 100 ng/ml = normalità.

- La soglia di tossicità di 100 ng/ml, secondo i principali competenti di risonanza mondiale, non è corretta e consigliano valori di vitamina D molto più alti e, addirittura in situazioni specifiche di patologie autoimmuni, promuovono i valori della 25-OH-D tranquillamente oltre i 160 ng/ml, senza alcuna tossicità per il paziente.

- Quando si assumono mega-dosi di vitamina D occorre essere monitorati da un medico competente.

- Come già osservato, il colecalciferolo è impropriamente definito vitamina D (recupero e trattamento del rachitismo nei bambini, attraverso una maggiore assimilazione del calcio alimentare, utile per l'apparato scheletrico) ma è sia un ormone sia una sostanza indispensabile per l'attivazione di duecentoventinove geni all'interno delle nostre cellule e tenere forte il nostro S.I.

- I soggetti che hanno una certa tendenza a contrarre patologie autoimmuni necessitano di quantità elevate di D3 da colecalciferolo, proprio per disinnescarle e azzerare l'erroneo convincimento del S.I. che certe zone somatiche siano da ritenersi pericolose, alla stregua di certi patogeni.

- Dato che gli alimenti apportano insufficienti quantità di vitamina D, rimane l'irraggiamento solare la fonte maggiore di approvvigionamento per questa “vitamina”.

Tuttavia, l'uso sempre maggiore di protezioni solari, peraltro necessarie, la vita sempre più ritirata per via del lavoro e degli impegni verso la famiglia, hanno esitato nell'insorgenza di sempre maggiori patologie, particolarmente quelle autoimmuni, del cardio-vascolare-circolatorio, il diabete sia di tipo 1 sia di tipo 2, la non fertilità, gli aborti spontanei, la depressione, ...

 

Sulla Vitamina E.

vitamina e

Di questa liposolubile vitamina fanno parte 8 antiossidanti, di cui 4 tocoferoli (alpha, beta, gamma, delta) e 4 tocotrienoli (alpha, beta, gamma, delta).

Il solo tipo di vitamina E, preservato al nostro interno (sia a livello intestinale sia a livello ematico) in più abbondanti entità è l’α-tocoferolo, che riveste nell’uomo un ruolo fondamentale quale antiossidante.

Ogni giorno, il nostro ricambio e le sostanze nocive (fumo, alcool, droghe, proteine e grassi polinsaturi, eccessivo esercizio motorio, stress, geopatologie ambientali, anticoncezionali a base di estrogeni, raggi ultravioletti …) generano i tanto temuti radicali liberi, che attaccano, mediante l’ossidazione, i lipidi, componenti essenziali della totalità delle membrane cellulari.

La funzione dell’α-tocoferolo consiste, per l’appunto, nell’individuare i radicali liberi e nell’evitare tutto quel complesso che passa sotto il nome di “reazione a catena di distruzione lipidica”, la quale s'attua proprio nel livello delle membrane cellulari.

Oltre a preservare integre le membrane cellulari, l’α-tocoferolo tutela dall’ossidazione pure i lipidi delle lipoproteine a bassa densità (LDL = low density lipoprotein), coinvolte nell’insorgenza di molte patologie cardiovascolari.

Tuttavia, se una molecola di α-tocoferolo stabilizza un radicale libero, la sua struttura si trasforma così tanto da perdere la caratteristica di “antiossidante”, che per essere ripristinata necessiterà a sua volta di altri antiossidanti, come, per es., la vitamina C, la quale ri-conferisce all’α-tocoferolo la sua primaria potenzialità (benedetta vitamina C, cosa non riesci a fare!!?).

Tra le altre mansioni dell’α-tocoferolo vi sono anche quelle, per es., d’ “arrestare” la funzione della proteina chinasi C (PKC, enzimi implicati in innumerevoli operazioni, come la trasduzione intracellulare del segnale, la modulazione dell’espressione genica, la tutela della proliferazione cellulare e del differenziamento) o di bloccare l’aggregazione piastrinica e d'alimentare la vasodilatazione.

Nonostante che nell’alimentazione americana la forma più comune di vitamina E sia il γ-tocoferolo, nondimeno nel flusso ematico i suoi valori sono 10 volte inferiori a quelli dell’α-tocoferolo, perché a livello epatico la proteina transfer (LTP = lipid transfer proteins) dell’α-tocoferolo ingloba il γ-tocoferolo nelle lipoproteine del flusso ematico e mette in circolo α-tocoferolo da destinare ai vari distretti tissutali del corpo.

Nelle urine invece sono prodotte maggiori quantità dei metaboliti del γ-tocoferolo nei confronti di quelli dell’α-tocoferolo, facendo concludere che il primo sia meno usato del secondo, pertanto meno indispensabile per l’organismo umano.

Certe evidenze in provetta o sugli animali mostrano l’utilità del γ-tocoferolo nella difesa contro i radicali liberi, mentre altri approfondimenti associano a un rialzo dei valori plasmatici del γ-tocoferolo un rilevante decremento nel pericolo di contrarre una neoplasia prostatica.

I soggetti con significative carenze nutrizionali, con anomalie genetiche della proteina transfer dell’α-tocoferolo o con disfunzioni nell’assorbimento lipidico, presentano per lo più stati carenziali di vitamina E (si pensi ai ragazzini affètti da fibrosi cistica o da patologia epatica colestatica, i quali per ridotta idoneità ad assimilare i lipidi dietetici, pertanto le vitamine liposolubili, evidenziano deficit della vitamina in questione).

Delle significative deficienze di E connotano anche dei disturbi neurologici riferibili alla coordinazione e all’equilibrio motorio, nonché una certa debolezza del sistema muscolare.

Stiano vigili le neo-mamme, perché un deficit dalla nascita di vitamina E, se trascurato, crea velocemente disturbi neurologici sul sistema nervoso ancora in crescita del nascituro.

Diversamente, le persone mature che contraggono una qualche disfunzione nell’assimilazione di E è probabile che non manifestino reazioni neurologiche per lungo periodo, anche ventennale.

C’è un campionamento della “Third National Health and Nutrition Examination Surrey” su circa 16000 soggetti adulti multietnici, al di sopra dei 18 anni, che rilevò i valori di α-tocoferolo nel siero e osservò che il 27% dei bianchi inclusi nel campionamento, il 28% dei messicani americani, il 41% degli Afroamericani e il 32% dei rimanenti possedevano valori di α-tocoferolo inferiori a 20 μmol/l (micromoli per litro), valore limite il cui ribasso è ritenuto pericoloso per l’aumento nell’insorgenza delle patologie cardiovascolari.

La RDA (Recommended Daily Allowance, o dose giornaliera raccomandata) dietetica per la vitamina E da α-tocoferolo è attualmente fissata, sia per le femmine sia per i maschi adulti, dai 19 anni in su, in 15 mg/dì e fino a 19 mg/dì per le donne nel periodo d’allattamento, razione giornaliera ricavata da un test in provetta, in cui l’acqua ossigenata, o per meglio dire il Perossido d’Idrogeno, veniva versata/o su dei campioni ematici, con la “frattura” degli eritrociti che faceva da descrittore al deficit di vitamina E.

Ora, dato che l’emolisi, tale è il termine che connota i globuli rossi “rotti”, fu individuata anche nei bambini affètti da seria insufficienza di E, questo test lo si è ritenuto clinicamente significativo.

Preciso comunque che la nuova RDA dietetica (la precedente era di 8 mg per le femmine e 10 mg pei maschi) poggia esclusivamente sulla prevenzione delle manifestazioni da deficit di E, ma non è volta a rafforzare lo stato di salute o a osteggiare l’insorgenza di patologie croniche.

Infatti, per come suggerito da certe ricerche, un rialzo di vitamina E è associabile a una riduzione del pericolo d’infarto del miocardio o di decesso per patologia cardiaca, tanto nei maschi quanto nelle femmine.

Sempre in queste ricerche si riscontrò che il massimo benefìcio lo conseguirono i soggetti con un’assunzione giornaliera di 800 IU, ossia di 67 mg di RRR-α-tocoferolo.

Qualche anno fa, fu rilevato* che i minori valori plasmatici o degli eritrociti di α-tocoferolo sono riconducibili alla presenza e alla gravità della patologia aterosclerotica.

Diverse neoplasie sono attribuibili, così per come postulato scientificamente, al danno ossidativo sul DNA prodotto dai radicali liberi.

Tuttavia, anche se l’α-tocoferolo è in grado di contrastare i radicali liberi, vaste ricerche in merito non hanno potuto concludere su un legame importante tra l’assimilazione della vitamina in questione e l’insorgenza di neoplasie al polmone o al seno, sebbene un’integrazione giornaliera di 50 mg di α-tocoferolo di sintesi, corrispondente a 25 mg di RRR-α-tocoferolo, nei soggetti fumatori affètti da cancro polmonare, abbia diminuito d’un 35% circa l’insorgenza di cancro prostatico nei fumatori stessi.

Le cataratte prodotte dalle ossidazioni proteiche del cristallino dell’occhio potrebbero essere evitate con somministrazione di antiossidanti, quali per l’appunto la vitamina E da α-tocoferolo (si attendono ulteriori approfondimenti in merito).

Nei soggetti anziani, una dose quotidiana di 200 mg di α-tocoferolo di sintesi, corrispondente a 100 mg di RRR-α-tocoferolo, protratta per parecchi mesi, alimenta la composizione anticorpale, in risposta al vaccino dell'epatite B, del tetano, e sviluppa una superiore resistenza all'influenza.

Nei “bypassati” sulle coronarie, che assumevano giornalmente 100 IU di α-tocoferolo, ossia 67 mg di RRR-a α-tocoferolo, si riscontrò, mediante angiografia, un decremento nell'avanzamento dell'aterosclerosi coronarica maschile.

Negli affètti invce da patologia cardiaca, l'integrazione di 400-800 UI/d di α-tocoferolo, corrispondente a 268-536 mg di RRR- α-tocoferolo, per almeno un anno e mezzo, significò un tracollo del 77% degli attacchi di cuore non letali.

Anche nei dializzati renali cronici, maggiormente esposti a decesso per patologia cardiovascolare, un'integrazione di 800 UI al giorno di α-tocoferolo naturale, equivalente a 536 mg di RRR- α-tocoferolo, per 1 anno e 4 mesi (mediamente) diminuì il pericolo d'un attacco di cuore.

Vi sono, purtroppo, in questo settore, degli studi che mostrano esiti diversi e altri ancora dei quali dovremo aspettare le conclusioni.

Nei diabetici, per es., i quali presentano un rialzo dello stress ossidativo e incombono soprattutto in guai cardiovascolari, quali l'attacco cardiaco e l'ictus, fornendo un'integrazione quotidiana di 600 mg di α-tocoferolo di sintesi, ossia 300 mg di RRR- α-tocoferolo, per circa 2 settimane, si osservò un ribasso considerevole degli F2-isoprostani (una serie di composti che connotano lo stress ossidativo).

Si sono anche registrati dei ribassi dei valori di glucosio nel flusso ematico con un'integrazione di sole 100 IU di α-tocoferolo di sintesi, ossia di 45 mg di RRR-α-tocoferolo, ma di contro vi sono esempi di somministrazioni da 900 a 1600 IU al dì di α-tocoferolo di sintesi, corrispondenti a 405-720 mg di RRR-α-tocoferolo che hanno dato esiti minimi o d'alcun giovamento.

Credo che a tal proposito le esperienze personali di alcuni foristi potrebbero apportare un contributo circa l'influsso benevolo dell'α-tocoferolo in soggetti diabetici.

A livello cerebrale, si suppone che lo stress ossidativo eserciti un'azione deleteria, come nel morbo di Alzheimer.

Somministrando quotidianamente 2000 IU di α-tocoferolo di sintesi per 24 mesi, ossia 900 mg al dì di RRR-α-tocoferolo a dei soggetti con una contenuta alterazione neurologica si è ottenuto un rallentamento nell'evoluzione dell'Alzheimer.

Anche una supplementazione vitaminica di E e di C ha esitato in un buon calo del pericolo di contrarre la demenza vascolare da ictus.

Sono alimenti contenenti vitamina E l'olio d'oliva, di girasole, il grano integrale, le verdure a foglia verde, le nocciòle, ... , che possiedono le 8 forme, ossia tocoferoli e tocotrienoli, in rapporto variabile.

La RDA alimentare è di 15 mg al giorno di RRR-α-tocoferolo, in sintonia col fatto che parecchi scienziati ritengano improbabile per un soggetto adulto di metabolizzare più di 15 mg al giorno di α-tocoferolo dagli alimenti da solo, senza portare i grassi oltre la soglia stabilita per essi.

Dato che le tabelle nutrizionali e i dati sui valori della vitamina E contenuta nel cibo (del resto, è chiara solo da qualche anno la maggiore predisposizione del nostro corpo per l'α-tocoferolo) sono espressi in mg equivalenti di α-tocoferolo (α-TE), anziché come mg di α-tocoferolo, occorre approssimativamente moltiplicare i mg di α-TE per il coefficiente 0,8, come nell'es.:

4,0 mg di α-TE X 0,8 = 3,2 mg di α-tocoferolo.

L'α-tocoferolo degli alimenti è nella forma dell'isomero RRR-α-tocoferolo.

Per quanto invece attiene agli integratori di E, essi solitamente vanno da 100 IU a 1000 IU di α-tocoferolo.

Occorre tuttavia fare una distinzione tra i supplementi ricavati da risorse naturali e quelli di sintesi.

I primi sono totalmente costituiti da RRR-α-tocoferolo, detto anche d-α-tocoferolo, il quale è l'isomero maggiormente assimilabile di α-tocoferolo per il nostro organismo; i secondi, diversamente detti dl-α-tocoferolo, o meglio ancora all-rac-α-tocoferolo, ossia blend di tutti gli 8 isomeri dell'α-tocoferolo, dei quali alcuni non fruibili dal nostro corpo, sono biodisponibili solo, press'a poco, per metà.

Ecco, come effettuare il calcolo.

INTEGRATORE NATURALE (RRR-α-tocoferolo o d-α-tocoferolo):

UI X 0,67 = mg RRR-α-tocoferolo.

INTEGRATORE DI SINTESI (dl-α-tocoferolo o all-rac-a-tocoferolo):

UI X 0,45 = mg RRR-α-tocoferolo.

In quanto agli integratori di gamma tocoferolo e a quelli di tocoferoli misti in circolazione è fondamentale osservare attentamente l'etichetta per stabilire i valori di ciascun tocoferolo insito nella mistura.

A dosi quotidiane inferiori ai 2 g di α-tocoferolo, da RRR-α-tocoferolo o da all-rac-α-tocoferolo, non risultano che rari effètti collaterali.

Da certi studi, peraltro da proseguire, pare che una protratta integrazione di certe quantità di α-tocoferolo possa comportare un declassamento nella capacità di coagulazione del sangue, quindi un rischio superiore d'avere un'emorragia.

Per ovviare a ciò, il Food and Nutrition Board dell'Institute of Medicine ha stabilito un'integrazione quotidiana massima di 1000 mg al dì di α-tocoferolo, corrispondente a circa 1500 IU di RRR-α-tocoferolo o a 2220 IU di all-rac-α-tocoferolo, quantità consigliata anche dal Linus Pauling Institute.

In caso, per es., d'intervento chirurgico è opinabile sospendere una trentina di giorni prima la supplementazione di vitamina E.

I soggetti che assumono anticoagulanti o antipiastrinici come, per es., il dipiridamolo, oppure coloro che presentano deficit di vitamina K è preferibile che non prendano integratori di α-tocoferolo se non sotto lo stretto controllo d'un medico.

Tanto gli anticonvulsivanti** quanto gli ipolipemizzanti*** tendono a declassare i livelli di vitamina E, come già evidenziato nel post precedente per la vitamina D.

Le integrazioni di α-tocoferolo si assumono, per non renderne impossibile l'assimilazione, ai pasti.

NOTE

*Ultrasonografia.

**Anticonvulsivanti: Carbamazepina, Fenitoina, Fenobarbital.

***Ipolipemizzanti: Colestipolo, Colestiramina, Isoniazide, Olestra, Olio minerale, Orlistat, Sucralfato.

Raffaele

 

Della Tiamina o Aneurina (Vitamina B1).

vitamina b1

È una vitamina idrosolubile del complesso B che si trova nel nostro organismo sia come tiamina a sé stante sia come tiamina mono/tri/pirofosfato o difosfato (TMP/TTP/TPP).

L’ultima delle forme fosforilate menzionate, la tiamina piro o difosfato (TPP), è utile quale coenzima per alcuni enzimi piuttosto fondamentali e necessita per la sua sintesi da tiamina a TTP sia dell’adenosintrifosfato (ATP) sia del magnesio sia dell’enzima tiamina pirofosfochinasi.

Un deficit di questa vitamina ha ripercussioni sul sistema muscolare, su quello cardiovascolare, su quello nervoso oltre che sull’apparato gastroenterico.

Nel beriberi nervoso si connota una neuropatia periferica ch’esita nella “sindrome dei piedi brucianti” (patologia che investe estesamente e in maniera simmetrica i nervi periferici, indotta da altre malattie quali il diabete, la carenza di tiamina per l’appunto, l’anemia, il deficit renale, l’aids, il cancro e l’etilismo) e anche in un’anomalia dei riflessi, in una diminuzione della sensibilità e in una certa spossatezza degli arti inferiori e superiori, in indolenzimenti dei muscoli, rigonfiamenti, impedimento a sollevarsi da una postura a riposo.

C’è anche la possibilità che un importante deficit di tiamina induca degli attacchi epilettici.

In aggiunta ai disturbi riferiti per il beriberi nervoso, quello cardiaco presenta ripercussioni cardiovascolari (ipertrofia cardiaca, edema significativo, tachicardia, complicazioni respiratorie) fino all’insufficienza cardiaca congestizia (stato morboso in cui si osserva un’eccedenza di liquido a livello polmonare e/o in altri organi del corpo, perché la pompa del cuore non è in grado di accontentare i bisogni di tutto l’organismo).

Alcuni sintomi (irregolari spostamenti degli occhi, difetti posturali e deambulatori, disfunzioni cerebrali) ma anche il subentrare talvolta di una condizione confusionale apatica o di deficit della memoria (amnesia di Korsakoff) portano il beriberi cerebrale a esitare nell’encefalopatia detta di Wernicke (neurologo e psichiatra tedesco della seconda metà del XIX° sec.-inizi del XX° sec.) o nella psicosi di Korsakoff (neuropsichiatra russo della seconda metà del XIX° sec.).

C’è da aggiungere che la quasi totalità dei pazienti WKS (affètti dalla sindrome Wernicke-Korsakoff) siano etilisti oppure in stato di seria carenza nutrizionale (neoplasia gastrica/aids) e che essi recuperino velocemente le anomalie collegate ai disturbi oculari (ma non altrettanto manifestamente quelle del disturbo deambulatorio e del deficit della memoria*) iniettando loro della tiamina per via endovenosa.

Il deficit di questa vitamina può essere ricondotto a svariate situazioni:

- scarsa dose d’introduzione giornaliera;

- smodato calo o superiore esigenza da parte dell’organismo;

- introduzione di cibo declassante la tiamina o concause varie.

Il primo punto è, in ogni modo, nei luoghi di miseria e dove si deve stare molto attenti a gestire bene il denaro, il motivo primario dell’insufficienza di B 1: chi deve tutti i giorni “fare i conti col conto della spesa” predilige infatti l’acquisto di prodotti che abbondano per carboidrati ma che scarseggiano relativamente alla vitamina in questione (specialmente i carboidrati raffinati, dai quali sono rimossi sia le fibre sia la crusca e lasciati solo gli amidi, come nel caso del riso).

Da qui all’insorgenza del beriberi il passo è breve, particolarmente per i piccoli sventurati divezzati al seno di madri con un latte che risente di una dieta povera di B 1.

Anche nei paesi prosperi non c’è da stare molto allegri, per via del dilagante etilismo che, accomunato a una scarsa assunzione di B1 e di altre sostanze nutrizionali, conduce al declassamento della tiamina.

Stiano poi attenti gli “infaticabili”, le donne incinta o che allattano, coloro che si ammalano spesso e con stati febbrili, i ragazzi a controllare di non essere in carenza da B1.

Vi sono poi dei luoghi come quelli thailandesi della provincia di Trat, inclusa l’isola di Ko Chang, ma anche della provincia settentrionale di Kanchanaburi, in particolare il Thung Yai Naresuan National Park, le superfici boschive al confine con la Birmania (Myanmar), Cambogia e Laos e dei distretti di Phang Nga e Phuket, nei quali si osserva una significativa insufficienza di B1 nei soggetti colpiti da malaria piuttosto che in quelli sani.

Parimenti accade per le persone colpite dal virus dell'immunodeficienza umana (HIV), agente responsabile della sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS), le quali sono in serio pericolo di deficit di Tiamina, necessariamente da integrare.

Purtroppo, l’indigenza in cui versano alcuni luoghi della Terra e le fasce sociali che faticano ad arrivare a fine mese (vergogna dei governanti!), per il pessimo stile alimentare che possono permettersi, basato prevalentemente sui carboidrati, lamentano una carenza di tiamina, come del resto i neonati divezzati al seno da madri anch’esse in deficit di B1 che contraggono il beriberi.

Anche nelle zone a maggior sviluppo industriale, dove l’etilismo è sempre in crescita, si ha un discreto declassamento della tiamina come pure di altre sostanze nutrizionali.

L’allattamento, lo sviluppo dell’età adolescenziale, le attività sia ginniche sia lavorative piuttosto pesanti, gli stati febbrili necessitano di un maggiore apporto di B1, onde evitare il pericolo di contrarre un deficit significativo di tiamina.

I soggetti sottoposti a trattamento di dialisi per insufficienza renale sono in pericolo di deficit di B1 per un suo eccessivo calo.

Gli stessi diuretici sono in grado di prevenire la ri-assimilazione della tiamina nel flusso urinario e di promuovere l’eliminazione di B1 attraverso un maggior deflusso urinario.

Coloro che abusano di alcolici, introducendone massicce quantità, urinano molto e incorrono nella carenza di tiamina per eccessiva fuoriuscita.

Vi sono poi, sotto l’aspetto nutrizionale, dei cibi (sia di origine animale sia di origine vegetale) che contengono ATF (fattori antitiaminici), come per es., l’acido caffeico (estratto di caffè, cicoria, carciofo, piselli, fragole, propoli, …), l’acido tannico (caffè, the, frutta acerba, vino rosso, …), gli antiacidi gastrici e certi enzimi dei frutti di mare e del pesce crudo, ma anche pesci marini e di fiume (aringhe, carpe, crostacei, molluschi, salmone, …), i vegetali (cavolo, ciliegia, lamponi, more, ribes, …), … capaci, attraverso i loro fattori antinutrizionali, d’idrolizzare la tiamina, inattivandola mediante un processo di ossidoriduzione ch’esita nella demolizione e dissociazione molecolare della stessa vitamina.

Ma anche il semplice calore della cottura.

Vi sono riferimenti scientifici** che associano l’atassia nigeriana al deficit di tiamina dovuto al consumo di bachi da seta, un alimento discretamente ricco di proteine.

Nell’encefalo di soggetti defunti ch’erano affètti da Alzheimer si è osservato un declassamento sia dell’α-chetoglutarato deidrogenasi sia della transchetolasi, enzimi collegati al tiamin pirofosfato, anche se un’integrazione di tiamina in soggetti colpiti da Alzheimer non ha mostrato sostanziali involuzioni della malattia, pur somministrando 3g/die per 1 anno e in certi casi fino a 8 g/die.

Anche la somministrazione di tiamin-tetraidrofurfuril disolfuro a dosi di 1 g/die per 84 gg. non ha sortito che un lieve miglioramento.

Alcune evidenze scientifiche mostrarono come un significativo deficit di B1 possa esitare in una diminuita efficienza cardiaca quindi nella CHF (Congestive Heart Failure) ovvero nel deficit cardiaco congestizio, una forma di beriberi che investe per lo più le persone avanti negli anni.

Non solo: intervenendo sulla CHF, si notò che somministrando dei diuretici, tipo il Lasix, cresceva l’eliminazione della B1.

Nella valutazione dell’efficienza cardiaca, un parametro basilare, testato mediante un’ecocardiografia, è la frazione d’eiezione ventricolare sinistra (LVEF= Left Ventricular Ejection Fraction).

Bene: un trattamento effettuato su una trentina di soggetti con insufficienza cardiaca congestizia, che assumevano regolarmente il Lasix da non meno di 1 trimestre e ai quali furono iniettati per endovena 200 mg/die di B1 per una settimana, portò a un potenziamento della LVEF, con un ulteriore recupero del 22% (tutt’altro che trascurabile!), protraendo la somministrazione per bocca di 200 mg/die di B1 per altri 42 gg.

Le abnormi duplicazioni cellulari dei soggetti colpiti da neoplasia necessitano di molta tiamina.

Nel cancro, come si sa, c’è un ritmo superiore di reperimento degli acidi nucleici, partendo dall’enzima TTP-dipendente transchetolasi per ricavarne il ribosio-5-fosfato, utile nella sintesi dell’acido nucleico.

Ora, se da un lato pare auspicabile somministrare B1 agli affètti da neoplasia con deficit di tiamina, dall’altro alcune evidenze sconsigliano le eccessive dosi di essa, perché in grado di promuovere lo sviluppo, pensate un po’, di alcune stesse neoplasie.

A tal proposito, sarà dunque conveniente affidarsi al parere dell’oncologo presso cui si è in cura.

Una corretta alimentazione sarebbe idonea a garantirci il quotidiano fabbisogno di questa vitamina, tuttavia certi processi di lavorazione (farine bianche e quindi pasta e pane) e di raffinazione (riso bianco, …) declassano fortemente il contenuto dietetico di tiamina, al punto che possa risultare utile una sua giornaliera supplementazione, assieme ovviamente a tutto il complesso vitaminico B.

D’altronde, non vi è alcuna letteratura relativa alla tossicità della B1, sia dietetica sia da supplementazione, se si esclude la sua somministrazione a forti dosi per endovena, la quale procurò serie ripercussioni anafilattiche, tuttavia attribuibili, più che a “overdose” di B1, a un tipo di reazione allergica da parte di certi soggetti.

Coloro che fanno uso di antiepilettici (Fenitoina) faranno bene a controllarsi il valore della tiamina, perché potrebbe richiedere una maggiore supplementazione.

Anche l’uso di diuretici, in particolar modo del Lasix, alimenta il pericolo di un deficit di B1, mentre il 5 FU (5-fluorouracile), dispiegato nelle neoplasie, declassa la fosforilazione della tiamina in thiamin pyrophosphate (TPP) ossia nella sua forma attiva (oltre che procurare deficit di niacina e ridurre l’assorbimento del ferro).

Note

*La maggiore o minore ripresa sia dei disturbi deambulatori sia del deficit di memoria, dopo somministrazione di tiamina per endovena, è in stretta dipendenza con la comparsa dei sintomi stessi ossia se essi siano presenti da più o meno tempo.

**Thiamin is decomposed due to Anaphe spp. Entomophagy in seasonal ataxia patients in Nigeria-Nishimune T, Watanabe Y, Okazaki H, Akai H.

Raffaele

 

Della Niacina (Vitamina B3).

vitamina b3

Come sappiamo è una vitamina idrosolubile.

Il vocabolo riguarda sia la Nicotinamide sia l’Acido nicotinico, l’una e l’altro impiegati per generare gli enzimi NAD (Nicotinamide Adenina Dinucleotide) e NADP (Nicotinamide Adenina Dinucleotide Fosfato), implicati in tante reazioni di deidrogenazione all’interno delle nostre cellule.

Considerate, adesso, che tutti gli esseri viventi ricavano le loro energie dalle reazioni di ossido-riduzione, meccanismi d’azione che implicano la migrazione di elettroni, e che non meno di 200 enzimi necessitano dei coenzimi sopra detti per ricevere o cedere elettroni necessari alle reazioni di ossido–riduzione.

Così, avviene che il NAD operi principalmente a livello delle reazioni inerenti la degradazione lipidica, protidica, carboidratica e dell’alcool al fine di sviluppare energia, mentre il NADP partecipi a reazioni biosintetiche (sintesi del colesterolo e degli acidi grassi).

Il NAD è anche implicato, come reagente, in una fondamentale attività di non ossido-riduzione, relativa a due classi di enzimi che scindono la Niacina dal NAD+ e spostano l’ADP ribosio alle proteine (ADP ribosilazione).

Una pericolosa insufficienza di Niacina genera la Pellagra, patologia accomunata ai ceti meno abbienti, anche quelli del sud-America nei primi del 1900, la cui basilare risorsa nutrizionale erano i cereali, quali il granturco o il sorgo.

Tuttavia, negli stati mesoamericani la Pellagra non attecchì, pur essendo il granturco un alimento primario per le classi umili.

Sapete perché?

Il granturco ha una significativa dose di Niacina, ma in una formulazione non bioassimilabile dagli umani.

Diversamente, le tortillas di granturco richiedono l’affogamento in acqua di calce o, se preferite, in ossido di calcio, prima di essere cotte al fine di renderle mangiabili (come ben sapevano prima dei Messicani, gli Aztechi e i Maya) e ciò, ossia nutrirsi di granturco in soluzione basica, dà biodisponibilità di Niacina.

Le carenze di Niacina interessano la cute, l’apparato digerente e il sistema nervoso.

La pellagra era conosciuta come la malattia delle quattro D: dermatite, diarrea, demenza e death (morte in inglese).

Il termine proviene dal modo di dire italiano di “pelle agra”, cioè ruvida, grezza.

Sulla cute, nelle zone maggiormente esposte ai raggi del sole, compare un massiccio sfogo, scaglioso e di colore scuro, con sintomi di vomito, diarrea e lingua rosso-splendente per ciò che attiene l’apparto digerente, mentre mal di testa, torpore, fiacchezza, depressione, smarrimento e perdita della memoria, relativamente al settore neurologico.

Non curata, superfluo aggiungere che sia letale.

Anche L-Triptofàno può provvedere nell’organo epatico alla sintesi del NAD, in concomitanza con taluni enzimi che necessitano sia della B6 sia della Riboflavina (B2) sia dell’eme (ferro).

Assumendo 60 mg di L-Triptofàno si arriva ad assimilare 1 mg di Niacina; tuttavia, gli affètti da Pellagra del sud degli Stati Uniti, agli inizi del 1900, mostrarono che molti di essi possedevano nella dieta sufficienti equivalenti di Niacina, in grado di tutelare dalla Pellagra, fatto questo che riaccese il dubbio circa i 60 mg di L-Triptofàno alimentare, quali effettivamente equivalenti a 1mg di Niacina.

Nel merito di ciò, una ricerca concluse che il Triptofàno alimentare non sortisca alcuna ripercussione sul decremento della quantità di Niacina negli eritrociti che invece si osserva per l’insufficienza di Niacina alimentare.

L’insufficienza di Niacina può essere attribuibile a una non idonea introduzione di Niacina e/o di Triptofàno o anche a insufficienza di altri nutrienti.

Per es., gli affètti da un male assorbimento di Triptofàno (sindrome di Hartnup, patologia genetica contraddistinta da un calo di concentrazione degli aminoacidi nel flusso ematico, tra cui il Triptofàno, per via della troppa espulsione degli stessi nelle urine) svilupparono la Pellagra; come del resto anche uno stato di aumento della produzione di Serotonina e di altre catecolamine, a causa di tumori carcinoidi, arreca Pellagra, per via che il Triptofàno alimentare è maggiormente usato per sintetizzare la Serotonina piuttosto che la Niacina.

Parimenti, l’Isoniazide (il più importante antibiotico contro la Tubercolosi) declassa fortemente la Niacina.

Di fatto, per prevenire la sola Pellagra occorrono 11 mg di Niacina Equivalenti al giorno, mentre con 12-16 mg al dì si regolarizza la fuoriuscita urinaria degli scarti della Niacina stessa.

Alcune osservazioni su colture cellulari in vitro mostrano che il NAD incida sulla reazione delle cellule al deterioramento del DNA, fondamentale elemento di pericolo per le neoplasie.

Infatti, la Nicotinamide Adenin Dinucleotide è utilizzata nella sintesi dei polimeri dell’ADP-Ribosio ciclico (fondamentale metabolita secondario, implicato nei meccanismi di mobilizzazione del Calcio intracellulare), di particolare rilevanza nell’aggiustare i danni del DNA e nella prevenzione delle neoplasie.

Il contenuto del NAD agisce sui valori della proteina oncosoppressiva p53 nella mammella, nella cute e nelle cellule polmonari dell’uomo.

L’insufficienza di Niacina abbassa i valori del NAD del midollo osseo e del poli ADP-Ribosio, alzando così la probabilità d’insorgenza della Leucemia.

Per es., il rialzo dei valori del NAD nei linfociti ematici con un’integrazione di 100 mg al giorno di Acido nicotinico per 2 mesi circa contiene la lesione delle fibre del DNA nei linfociti alla mercé dei radicali liberi in provetta e ciò si evince confrontando questi dati con quelli di individui non sottoposti ad alcuna integrazione.

Anche se la stessa dose giornaliera di Acido nicotinico in soggetti fumatori, confrontata al placebo, non ha mostrato alcuna riduzione del guasto genetico prodotto dal fumo nei linfociti ematici.

Vi sono evidenze che mostrano come un rialzo di Niacina e di altre materie prime declassino le insorgenze di cancro orale, faringeo ed esofageo, sia in Svizzera sia nell’Italia del Nord: già con 6 mg in più di Niacina si registrò una riduzione del 40% dei cancri alla bocca, alla gola, all’esofago.

Alcune osservazioni in vitro mostrano che elevati valori di Nicotinamide custodiscano le cellule ß dai guasti che potrebbero derivar loro da fattori chimici nocivi, dai leucociti e dalle specie reattive all’ossigeno.

Nelle forme di Diabete mellìto insulino-dipendente dei bambini si registra un deterioramento autoimmune delle cellule ß che secernono l’insulina nel Pancreas.

Delle quantità di Nicotinamide fino a 3 g giornalieri si adoperano per tutelare le cellule ß dei malati affètti da IDDM (Diabete Mellìto Insulino Dipendente): dopo un anno, si osservò un incremento della funzionalità delle cellule ß, ma non un superiore controllo glicemico.

Da poco si è scoperto che elevate quantità di Nicotinamide riducono la sensibilità dell’Insulina nei familiari di coloro che sono affètti da IDDM, pertanto a elevato pericolo.

Molti approfondimenti su famigliari di malati affètti da IDDM, risultati positivi agli autoanticorpi specifici ICA (dall'inglese "Islet Cell Antibodies", che significa anticorpi anti beta cellula pancreatica: nel flusso ematico, si analizza l’esistenza di particolari anticorpi idonei per la diagnosi del diabete mellìto di tipo 1), hanno mostrato esiti discrepanti; mentre in un campionamento su bambini in età scolare si è registrato un influsso apprezzabilmente minore di IDDM tra coloro ch’erano stati curati con Nicotinamide.

Contrariamente alla Nicotinamide, l’Acido nicotinico non ha palesato evidenze benefiche in fatto di prevenzione del Diabete mellito insulino-dipendente.

Da oltre mezzo secolo sappiamo che l’Acido nicotinico (non la Nicotinamide) in certi dosaggi curativi diminuisce il colesterolo nel flusso ematico.

Esiste una ricerca del Coronary Drug Project che ha esaminato, per circa 6 anni, un campionamento di più di 8000 uomini affètti da un pregresso infarto miocardico, somministrando loro 3 g di Acido nicotinico al dì.

Questi pazienti, diversamente da altri sottoposti a effetto placebo, ridussero mediamente d’un 10% il colesterolo totale, d’un 26% i trigliceridi, del 27% gli infarti miocardici non letali, del 26% gli episodi cerebrovascolari, quali ictus, ischemie.

Si è anche appurato che l’impiego di Acido nicotinico determini un considerevole rialzo dei valori della lipoproteina ad alta densità del colesterolo HDL e una riduzione di accentramento della lipoproteina a nel siero, nonché un più ridotto transito da minuscole e consistenti particelle di lipoproteina a bassa densità LDL a particelle maggiori e in sospensione di LDL, varianti queste “ematico-lipidiche” ritenute cardio-protettive.

Ovviamente, serve cautela nella somministrazione di Acido nicotinico, le cui alte quantità possono determinare degli sgradevoli contraccolpi.

Per es., una mescolanza di 2-3 g al giorno di Acido nicotinico e di Simvastina (farmaco per trattare l’ipercolesterolemia), ovviamente sotto stretto controllo d’un medico preparato (in grado di ridurre al massimo gli effètti contrari e di promuovere quelli favorevoli) consegue i migliori giovamenti sia sui valori dell’HDL del siero sia in relazione a episodi del cardiovascolare, quali ictus e attacchi cardiaci.

Pare anche che nell’infezione con HIV, virus che produce l’AIDS (Acquired Immune Deficiency Syndrome), cresca il pericolo di deficit di Niacina.

L’IFN-γ (Interferone-gamma), è una proteina (citochina) dimerica, prodotta dai Linfociti T (cellule del Sistema Immunitario) per contrastare le infezioni.

I suoi valori nei soggetti contagiati da HIV sono altissimi e quanto più sono elevati tanto peggiore è la diagnosi.

Ora, sollecitando l’enzima Indoleamina 2,3 diossigenasi (IDO), l’Interferone-gamma riduce la concentrazione di Triptofàno, precorritore della Niacina, e ciò fa concludere che l’infezione da HIV declassi il valore della Niacina.

Vi sono in merito osservazioni su soggetti infètti da HIV, i quali trattati con 1000-1500 mg al giorno di Nicotinamide, per 60 gg., ebbero un rialzo dei valori plasmatici di Tripotofàno del 40%.

Non solo: in un altro studio, sempre su infetti da HIV, si notò che le maggiori assunzioni di Niacina si collegavano a un calo della rapidità d’avanzamento dell’AIDS e a una più qualitativa permanenza in vita.

I cereali, particolarmente quelli integrali, la carne (pollame, pesce come tonno e salmone), i legumi, il lievito, le verdure a foglia verde, i semi e il the sono ricchi di Niacina (ho volutamente tralasciato il latte e il caffè, alimenti molto deleteri per la buona salute).

Gli americani statunitensi assumono mediamente al giorno 30 (M) o 20 (F) mg di Niacina, a seconda del sesso.

Le integrazioni di Niacina si effettuano, ovviamente, da Nicotinamide o da Acido nicotinico: la prima è una forma caratteristica impiegata in campo dietetico, mentre il secondo (dietro prescrizione medica) si usa per ridurre i valori del colesterolo e può essere “a immediato, a lento rilascio o a rilascio a tempo”.

Il mio personale parere è che usando l’Acido nicotinico per ridurre il Colesterolo si faccia sempre riferimento a un buon medico.

Difatti, mentre la Niacina alimentare non produce alcun effetto collaterale, le preparazioni farmacologiche di Acido nicotinico (disponibile in forma galenica nelle farmacie dietro prescrizione medica) possono produrre vampate di calore, prurito, fastidi gastroenterici quali voltastomaco e conati di vomito, danni alle cellule epatiche, innalzamento degli enzimi del fegato e ittero, epatiti, sfoghi cutanei, pelle arida, ipotensione, mal di testa, diminuizione della adattabilità al glucosio, per una declassata sensibilità all’insulina (fatto questo che in soggetti pre-diabetici potrebbe favorire valori molto alti di glucosio nel flusso ematico e diabete clinico), innalzamento dei valori di acido urico nel sangue, con tanto di gotta in certi soggetti più sensibili, fastidi agli occhi, quali annebbiamento della vista (reversibili, in genere, se si sospende il trattamento).

Invece, la Nicotinamide è ben sopportata, anche se alla quantità di 3 g al giorno può causare voltastomaco, conati di vomito, ittero, enzimi del fegato molto alti e in soggetti a elevato pericolo di diabete insulino-dipendente un ribasso nella sensibilizzazione all’insulina anche a dosaggi di 2 g al giorno.

Associando l’Acido nicotinico con Lovastatina (statina specifica per l’ipercolesterolemia) in uno sparuto gruppo di pazienti si è osservata rabdomiolisi (guaio muscolare collegato alla rottura delle cellule del muscolo scheletrico per assunzione di statine, con cessione di enzimi ed elettroliti nel sangue), la quale può esitare in una grave insufficienza renale.

L’Acido nicotinico può anche contrastare gli effetti “uricosurici” o “uricoeliminatori” (espulsione da parte del rene dell'acido urico) del Sulfinpirazone, farmaco dispiegato per trattare la gotta.

Il Fluorouracile (agente 5-fluorouracile) usato nella chemioterapia per le neoplasie può, a lungo termine, provocare i prodromi della Pellagra: dunque, attenzione!

Nella terapia antitubercolare con Isoniazide è buona norma associare un’integrazione di Niacina, dato che il primo è un antagonista della seconda, per cui a lungo andare si potrebbero ravvisare anche in questo caso i sintomi della Pellagra.

Gli estrogeni, invece, insiti nei contraccettivi per bocca, accrescono l’efficacia della sintesi di Niacina dal Tripotofàno, per cui si ha meno bisogno di immettere questa vitamina con la dieta.

A conclusione di questo lungo post, posso osservare che non si sappia ancora quale debba essere l’ideale integrazione di Niacina al fine di conservare un buon stato di salute e di evitare malattie croniche di vario tipo.

Un’adeguata dieta dovrebbe essere sufficiente a prevenire un’eventuale insufficienza vitaminica; personalmente integro, attraverso 2 tavolette (1 prima di colazione e 1 prima di pranzo) del Multivitaminico-multiminerale Vm 2000 della Solgar irlandese, 100 mg di Niacina Equivalenti (NE).

Il Linus Pauling Institute consiglia un’integrazione di almeno 20 mg di Niacina al dì.

Considerate poi che l’assunzione alimentare di Niacina declassa tantissimo tra i 60 e i 90 anni d’età.

Note.

L’acido nicotinico “a rilascio immediato” (cristallino) è frequentemente impiegato in dosi maggiori, perché pare che sia meno dannoso per l’organo epatico (laboratorio chimico del nostro corpo) in confronto alle altre forme; di contro, si sono avute delle sonore intossicazioni del fegato allorquando si sia rimpiazzata la Niacina “a lento rilascio” con quella “a rilascio immediato” a dosi equivalenti.

Anche bassi dosaggi di acido nicotinico, minori di 30 mg al giorno, possono arrecare inizialmente vampate di calore sul viso, sugli arti superiori e sul petto, fatto questo che si riscontra molto raramente con la Nicotinamide.

Il Food and Nutrition Board ha stimato che il valore massimo per la Niacina, sia da Acido nicotinico sia da Niacinamide, sia di 35 mg al giorno, per escludere appunto gli effètti non desiderati, livello questo ovviamente surclassato nella terapia anticolesterolica con Acido nicotinico.

Raffaele

 

Della Biotina (Vitamina B8).

vitamina b8


Come del resto tutto il complesso vitaminico B, la B8 è una vitamina idrosolubile.

Essa è necessaria a tutti gli esseri viventi ed è prodotta esclusivamente da certe piante, dalle alghe, dai lieviti, dalle muffe, dai batteri.

La formulazione fisiologica attiva si collega a 4 enzimi, definiti “carbossilasi”.

Ecco le 4 importanti reazioni metaboliche della carbossilasi:

-Acetil-coenzima carbossilasi (CoA): indispensabile per la sintesi degli acidi grassi;

-Piruvato carbossilasi: enzima basilare per la gluconeogenesi, ossia per la produzione del glucosio non da carboidrati ma, per es., da grassi e aminoacidi;

-Metilcrotonil-CoA carbossilasi: utile per il metabolismo della Leucina, essenziale aminoacido;

-Propionil-CoA carbossilasi: necessaria per il metabolismo aminoacidico, del colesterolo e degli acidi grassi con una quantità dispari di atomi di carbonio.

L’aggregazione della Biotina a un’altra molecola (una proteina, per es.) è detta biotinilazione.

Si è da poco osservato che l’enzima biotinidasi catalizza la biotinilazione degli istoni*, per cui la logica conclusione è che questa vitamina sia determinante nella replicazione e trascrizione del DNA.

L’insufficienza di Biotina è un’infrequente evenienza, tuttavia, vi sono 2 circostanze che la richiedono necessariamente:

-protratta dieta parenterale priva d’integrazione di Biotina;

-mangiare il bianco dell’uovo crudo per un tempo che va da diverse settimane ad anni.

La motivazione è che l’Avidina, glicoproteina basica tetramerica, del bianco dell’uovo s’aggrega alla Biotina e ne blocca l’assimilazione.

Diversamente, facendo cuocere il bianco dell’uovo, l’Avidina risulta assorbibile e non in grado di ostacolare l’assimilazione di Biotina.

La caduta dei capelli, l’alterazione della cheratinizzazione dell’epidermide, gli arrossamenti intorno agli occhi, alla bocca, al naso e nell’area dei genitali denotano un evidente deficit di Biotina (faccia da carenza di Biotina, in gergo medico, se associata a un’anomala dislocazione del tessuto adiposo del viso).

Nelle persone mature compaiono anche stati depressivi, torpore, allucinazioni, dolenzìa e prurito alle estremità.

I soggetti affètti da difetti congeniti metabolici di questa vitamina palesano un declassamento del S.I. e una più spiccata propensione alle infezioni batteriche e fungine.

Il deficit di Biotina e quello di olocarbossilasi sintetasi, entrambi difetti congeniti del metabolismo della Biotina, portano a una superiore esigenza di Biotina.
L’assimilazione enterica si riduce perché un deficit di biotinidasi (enzima) provoca un’insufficienza nella cessione di Biotina da parte delle proteine alimentari.

Non solo: anche i reni eliminano quantità sempre maggiori di questa vitamina nelle urine, perché non associata alla biotinidasi.

In deficit di biotinidasi, occorrono integrazioni di Biotina per os da 5 a 10 mg ; invece, la carenza dell’enzima olocarbossilasi sintetasi richiede un apporto die di 40-50 mg di Biotina.

Diciamo, comunque, che entrambi i difetti esitano favorevolmente se curati già dall’infanzia e per tutto il corso della vita con supplementi di Biotina.

Esistono, poi, altre cicostanze che alimentano il pericolo d’una insufficienza di Biotina: una veloce scissione cellulare del feto in via di sviluppo, il quale ha bisogno di Biotina sia per la produzione della copia del DNA cellulare sia per la sintesi delle principali carbossilasi (molte gestanti maturano un deficit secondario o subclinico** di Biotina anche nel corso d’una regolare maternità); alcune malattie epatiche (cirrosi, …) le quali denotano un importante declassamento della biotinidasi; gli epilettici, per via degli anticonvulsivanti impiegati, che acuizzano il pericolo d’una carenza di Biotina.

Anche gli individui affètti da diabete mellìto non insulino-dipendenti presentano scarsi valori di Biotina nel flusso ematico: con un’integrazione di Biotina di 9 mg al giorno si osserva un declassamento medio a digiuno del 45% dei valori di glucosio.

Anche nei diabetici insulino-dipendenti si è osservato che con un’integrazione di 16 mg di Biotina la giorno, già dopo 7 gg., si registra un abbassamento dei valori di glucosio nel sangue.

La spiegazione consiste nel fatto che questa vitamina aumenta l’impiego di glucosio per la sintesi dei grassi, sollecita la glucochinasi (enzima epatico), dunque una superiore sintesi di glicogeno (forma di scorta del glucosio).

Credo che ancora molte “cosette” dovranno essere approfondite sulla Biotina.

Anche se in modeste quantità, la Biotina è presente in molti alimenti: fegato, lievito, tuorlo dell’uovo, crusca del grano integrale, avocado, pane integrale di grano, camembert, cavolfiore crudo, salmone cotto, pollo cotto, formaggio.

I nostri batteri della parte enterica del crasso hanno la capacità di sintetizzare la Biotina.

Anche con trattamenti per bocca fino a 200 mg al giorno di questa vitamina, per curare difetti congeniti del metabolismo della Biotina e per la sua stessa insufficienza, non si sono evidenziate intossicazioni.

Sia il Primidone sia la Carbamazepina, entrambi anticonvulsivanti, declassano l’assimilazione della Biotina nel tratto enterico del tenue, così come il Fenobarbital (o se preferite Luminal, barbiturico), la Fenitoina (antiepilettico), la Carbamezapina (tra i farmaci di maggior uso per l’epilessia) alimentano l’espulsione urinaria di Biotina.

Le lunghe terapie a base di sulfamidici o antibiotici sono in grado di diminuire la sintesi batterica di Biotina; pure l’acido pantotenico, per via delle sue strutture similari, può competere con la Biotina nell’assimilazione enterica e cellulare.

Dal punto di vista alimentare, il Linus Pauling Institute raccomanda 30 microgrammi/die di Biotina, tuttavia conviene associare anche un’integrazione con un multivitaminico-multiminerale, tipo il Vm 2000 della Solgar.

Note.

*Gli istoni sono delle proteine che si attaccano al DNA e lo avvolgono in solide ossature per creare i cromosomi.

**Un deficit subclinico di Biotina può arrecare malformazioni alla nascita in varie specie animali, anche se ciò non è assodato per la specie umana.

Le future mamme tengano comunque ciò nella dovuta considerazione.

D’altronde, così come si suggerisce alle gestanti (prima del concepimento e durante le prime 3 settimane di gravidanza) d’integrare acido folico per cautelare il nascituro dai difetti del tubo neurale, quali la schiena bifida, l’anencefalia (scatola cranica e cervello solo parzialmente formati) e l’encefalocele (incompleta saldatura della scatola cranica), parimenti si potrebbero fare integrare almeno 30 microgrammi al dì di Biotina attraverso un multivitaminico che includa almeno 400 microgrammi al dì di acido folico.

Raffaele

 

Dell’Acido folico (Vitamina B9).

vitamina b9

Questa idrosolubile vitamina si connota con 2 differenti vocaboli: Acido folico e folato.

Il primo dei due è la forma maggiormente stabile, ma compare infrequentemente negli alimenti o all’interno del nostro corpo.

Esso risulta la forma per lo più impiegata negli integratori vitaminici e negli alimenti fortificati (procedimento tecnologico mediante il quale i nutrienti non energetici, quali, per es., le vitamine e/o i sali minerali, sono addizionati ai cibi usuali, come i cereali da colazione, i biscotti, le fette biscottate, i succhi di frutta, al fine di accrescere l'assunzione di queste sostanze nutrizionali nella gente).

I folati, che sono presenti negli alimenti e in certe forme attive del nostro ricambio, si comportano, come tetraidrofolati, da donatori e accettori di unità monocarboniose per la sintesi degli acidi nucleici e degli aminoacidi e in collaborazione con la metil-cobalamina si occupano della S-adenosilmetionina (SAM, gruppo metilico impiegato in svariati processi biologici di metilazione, pure nel DNA, direi essenziale per la prevenzione del cancro).

Volendo ampliare, la sintesi della metionina dall’omocisteina necessita d’un cofattore del folato e d’un enzima collegato alla Vitamina B12, per cui un’insufficienza di folato può produrre una riduzione nella sintesi di metionina e un rialzo dell’omocisteina, elemento di pericolo per le patologie cardiovascolari e per altre malattie inguaribili.

I soggetti in salute impiegano due differenti meccanismi per assimilare l’omocisteina:

-rimetilizzazione dell’omocisteina per creare metionina, mediante un processo collegato sia a un enzima vitamina B12-dipendente sia a un folato nella forma di 5-metil tetraidrofolato;

-trasformazione dell’omocisteina in cisteina, attraverso 2 enzimi vitamina B6-dipendenti.

Si evince, pertanto, come il valore di omocisteina nel sangue dipenda quantomeno da 3 vitamine: la B6, la B9, la B12.

Un’alimentazione insufficiente e un declassamento dell’assimilazione, come nell’etilismo, riducono i folati; lo stesso la gestazione* e le neoplasie, che necessitano d’una superiore immissione di folati nel corpo.

Molti sono poi i farmaci che depauperano i folati.

Quando si presentano le prime avvisaglie dovute a insufficienza di folati, pur non mostrando evidenti manifestazioni, è possibile osservare un rialzo dei valori relativamente all’omocisteina nel flusso ematico.

Tanto maggiore è la velocità di replicazione cellulare, quanto più si riscontrano delle ripercussioni relative al deficit di folati: gli approvigionamenti di folato risultano insufficienti per le cellule del midollo osseo in rapida duplicazione, per cui la riproduzione cellulare nel flusso ematico si fa difettosa e gli eritrociti risultano maggiori per dimensioni e minori per numero (anemia megaloblastica** o macrocitica).

Ovviamente, occorrono diversi mesi prima che un deficit di folati generi la predetta anemia, la quale conduce a un ribasso della capacità ematica di veicolare ossigeno, che esita nella fiacchezza e nel respiro corto.
La conservazione dei giusti valori di omocisteina nel flusso ematico è esclusivamente un rilevamento in più per confermare un’immissione idonea di folati.

Il Food and Nutrition Board dell’Institute of Medicine ha creato una nuova unità per il folato: la DFE.

Così:

1 microgrammo di folato alimentare1 microgrammo di DFE;

1 microgrammo di Acido folico da integrazione ai pasti o da cibo fortificato1,7 microgrammi di DFE;

1 microgrammo di Acido folico a digiuno2 microgrammi di DFE.

Si evince, dunque, che i supplementi di Acido folico di sintesi o da cibi fortificati siano più assimilabili di quelli da folati che si trovano spontaneamente nell’alimentazione.

Infatti:

50 microgrammi di folato50mcg di DFE;

50 microgrammi di Acido folico da cibo fortificato1,7X60=120 microgrammi di DFE;

50 microgrammi di Acido folico a stomaco vuoto100 microgrammi di DFE.

Le future madri sanno che l’accrescimento del feto si contraddistingue per un’estesa proliferazione cellulare, dato ch’esso necessita d’una sufficiente immissione di folato, che ha un preciso compito nella sintesi del DNA e dell’RNA.

I Difetti del Tubo Neurale (NTD) sono causa di sconquassanti e spesso letali anomalie che compaiono tra il 21° e il 27° giorno dopo il concepimento, lasso questo di tempo in cui un bel po’ di future madri non sanno d’essere incinta.

Ci sono delle evidenze che declassano dal 60 al 100% il rischio di NTD che negli USA, ancor prima che i cibi fossero fortificati con Acido folico, era dell’1‰, semplicemente integrando Acido folico nella dieta, da 30 gg. prima a 30 gg. dopo il concepimento.

Dunque, tutte le donne in età fertile sono avvisate: 400 microgrammi al dì per prevenire i Difetti del Tubo Neurale.

Credo che meno della metà delle donne tengano ciò nella giusta considerazione.

Ma c’è di più: i giusti livelli di folato consentono di evitare anomalie cardiache, degli arti, di ridurre il pericolo d’un parto prematuro, di mettere alla luce un neonato sottopeso.

Pure l’aborto spontaneo può essere messo in relazione con alti livelli di omocisteina nel flusso ematico che, per come già espresso, rilevano un’insufficienza di folato nell’organismo, anche associato, sempre in gravidanza, a pre-eclampsia (gestosi) e a distacco placentare.

Se i valori dell’omocisteina totale risultano elevati, sono a rischio i soggetti con storie personali e familiari di patologie cardiovascolari, di malnutrizione o cattiva assimilazione, d’insufficienza renale, d’ipotiroidismo, … o che fanno uso di certi medicinali quali l’Acido nicotinico, la L-Dopa, la Teofillina, …

Se si hanno elevati livelli di omocisteina occorrono integrazioni da 400 microgrammi di Acido folico, 6 microgrammi di B12, 2 mg di B6 al giorno.

Le neoplasie (vi consiglio di seguire attentamente il thread su questo argomento) si ritiene possano insorgere da danni al DNA o da un’errata manifestazione di quei geni (oncogene e oncosoppressori) che giocano un ruolo decisivo in merito.

Bene, un consumo abbondante e regolare di frutta e di verdura, che abbondano di folati, riducono sensibilmente il rischio per il cancro, in quanto i folati presiedono alla sintesi e alla metilazione sia del DNA sia dell’RNA, propiziandone il ripristino e la manifestazione genica.

Si sa, per es., che la scarsità di folato si può mettere in relazione col cancro del seno, della cervìce, del pancreas, del colon.

Una forte assunzione d’alcool e una povera immissione di folati accrescono il rischio di neoplasia colorettale.

L’alcool declassa tantissimo il folato e ciò può favorire l’insorgenza d’una neoplasia, come mostrano le evidenze sui soggetti col genotipo T/T.

Anche il buon funzionamento cerebrale, particolarmente quello del livello conoscitivo degli anziani (demenza, difetti della memoria a breve termine), risente della scarsità di folato, per via ch’esso interviene nella sintesi dell’acido nucleico e nei processi di metilazione.

Nel morbo di Halzeimer e nelle demenze che hanno come causa un deficit emodinamico si rilevano, infatti, valori più alti di omocisteina associati a un calo sia di folato sia di B12.

Le verdure a foglie larghe verdi, gli agrumi, i legumi e i cereali fortificati costituiscono delle ottime riserve di folato.

Eccovi un elenco degli alimenti maggiormente fortificati che possono apportare un surplus di folato, mediamente di 100 microgrammi al dì:

-cereali fortificati per la prima colazione200-400*** microgrammi di DFE (1 tazza);

-riso bianco, cotto222*** microgrammi di DFE (1 tazza);

-lenticchie, cotte179 microgrammi di DFE (½ tazza);

-ceci, cotti141 microgrammi di DFE (½ tazza);

-pasta bianca, cotta141*** microgrammi di DFE (1 tazza);

-asparagi, cotti131 microgrammi di DFE (½ tazza, circa 6 germogli);

-spinaci, cotti131 microgrammi di DFE (½ tazza);

-succo d’arancia concentrato82 microgrammi di DFE (6 once=180 ml);

-fagioli di Lima, cotti78 microgrammi di DFE (1/2 tazza);

-pane bianco34*** microgrammi (1 fetta).

Non si riscontrano controindicazioni nell’assumere una superiore quantità di folato da cibo, mentre occorre una maggiore precauzione per l’acido folico sintetico.

Grandi quantità di Acido folico somministrate a soggetti con deficit di B12 (particolarmente, gli anziani) possono far rientrare sì un’anemia megaloplastica (non riconoscibile da quella da insufficienza di folato), ma non rettificare la carenza di B12, con serio pericolo per lo sventurato di turno di contrarre guai neurologici irreparabili.

Il Food and Nutrition Board dell’Institute of Medicine consiglia di non superare i 1000 microgrammi/dì di Acido folico.

D’altronde, anche nelle donne fertili, è un’evenienza piuttosto remota l’insufficienza di B12 e la dose di 1000 microgrammi non fa certo correre dei rischi nel senso prima esposto.

Relativamente all’interazione coi farmaci, per es., l’aspirina o l’ibuprofene (farmaci antinfiammatori non steroidei, impiegati per curare forti artriti) in dosi rilevanti possono declassare il folato, come del resto gli antiepilettici e gli anticonvulsivanti quali la fenitoina, il fenobarbital e il primidone che ostacolano l’assimilazione enterica del folato.

Anche taluni farmaci usati nelle iperlipidemie per ridurre il colesterolo ostacolano l’assimilazione dell’Acido folico, come pure il metotrexato impiegato per curare una grande varietà di patologie, compresi i casi di cancro, l’artrite reumatoide, le malattie della pelle.

Parimenti antagonisti (attività anti-folato), risultano gli antibiotici trimetropin e sulfasalazina (per trattamento colite ulcerosa), l’antimalarico pirimetamina e il triamterene, diuretico risparmiatore di potassio per l’ipertensione.

I ricercatori del Linus Pauling Institute consigliano per le persone mature, soprattutto per gli ultrasessantacinquenni, dato che con il trascorrere degli anni salgono i valori di omocisteina, un’integrazione di 400 microgrammi di Acido folico/dì, in associazione al folato e all’Acido folico provenienti dall’alimentazione.

Tale utilità riduce, per come dettagliato precedentemente, il pericolo delle patologie cardiovascolari, di talune forme di neoplasia, dell’Alzheimer, dei Disturbi del Tubo Neurale e di altri rischi che si corrono nelle gestazioni.

NOTE

*Le donne in gestazione abbisognano d’una quantità di folati notevolmente più elevata delle donne non incinta, per il motivo che nelle prime c’è una forte crescita della duplicazione cellulare e di altri meccanismi del ricambio che necessitano di coenzimi dei folati.

*L’anemia megaloplastica da carenza di folato è simile a quella da insufficienza di B12, per cui servono specifici accertamenti per determinare la reale motivazione.

***Fortificato con 1,4 microgrammi di Acido folico/Kg.

Naturalmente, non si tiene conto della profilassi delle anomalie del tubo neurale nel momento in cui si fa la stima della RDA per le donne incinta.

Per le donne che possono restare incinta si consigliano 400 microgrammi al giorno di Acido folico da integrazione o da cibi fortificati da addizionare alle normali immissioni dietetiche.

****Dosi da 1 microgrammo o più di Acido folico da integrazione necessitano della prescrizione medica.

Raffaele

 

Dell’Acido pantotenico (Vitamina B5).

vitamina b5

La Vitamina B5, diversamente detta Acido pantotenico, è un costituente del CoA (Coenzima A) e della proteina carrier di gruppi acili (ACP, polipeptide che compare nel complesso multienzimatico acido grasso sintetasi, che lega covalentemente i substrati nelle reazioni di biosintesi degli acidi grassi), basilare in ogni organismo vivente per la sintesi degli acidi grassi.

Come CoA, infatti, attiva innumerevoli processi chimici necessari per la sopravvivenza: produce energia nella forma di ATP (Adenosintrifosfato) dai lipidi, dai carboidrati, dai protidi, sintetizza i grassi essenziali, quali il colesterolo con tutti gli ormoni steroidei da esso derivanti, i neurotrasmettitori come l’acetilcolina e l’ormone melatonina.

Anche un costituente dell’emoglobina, l’eme, necessita di CoA, come pure un certo tipo di medicinali e di sostanze nocive dell’organo epatico.

È un gruppo acetato del CoA a variare per lo più le proteine acetilate che modificano la stessa funzione proteica.

Inoltre, l’acetilazione proteica condiziona pure l’espressione genica (meccanismo mediante il quale l'informazione che si trova in un gene, fatta di DNA, è trasformata in una macromolecola funzionale, propriamente una proteina), agevolando la duplicazione dell’RNA messaggero.

Nell’acetilazione proteica c’è anche una serie di proteine ch’è trasformata dal legame con una lunga catena di acidi grassi ceduta dal CoA.

La vitamina B5, sotto forma di 4’-fosfopanteteina, è indispensabile per l’attività enzimatica della proteina trasportatrice di acili, che col CoA presiede alla biosintesi degli acidi grassi come, per es., gli sfingolipidi (classe di lipidi complessi che hanno la sfingosina, un amminoalcol a lunga catena, al cui amminogruppo è unito, attraverso un legame ammidico, un acido grasso saturo per lo più costituito da 22 atomi di carbonio), che formano le guaine mieliniche necessarie ai neuroni per la trasmissione, e i fosfolipidi delle membrane citoplasmatiche.

È piuttosto infrequente, se non si è in serio stato di denutrizione, il deficit di questa Vitamina.

Vi sono osservazioni relative a una sperimentazione, attraverso la quale si nutrirono dei soggetti con un’alimentazione deficitaria di Acido pantotenico e addirittura si somministrò loro un antagonista della B5.

Gli esiti furono: mal di testa, debolezza, perdita del sonno, fastidi enterici, torpore e prurito alle estremità sia superiori sia inferiori.

Si sa che l’omopantotenato sia un antagonista dell’Acido pantotenico con ripercussioni colinergiche sull’organismo.

Lo si impiegò, in passato, per potenziare l’efficienza cognitiva, particolarmente nell’Alzheimer.

Ma un contraccolpo negativo fu l’insorgenza di un’encefalopatia epatica, ossia una situazione di disfunzione cerebrale attribuibile all’impossibilità dell’organo epatico di espellere le sostanze tossiche.

Riequilibrando il paziente con l’Acido pantotenico, l’encefalopatia regredì.

Comunque, la stragrande maggioranza di nozioni inerenti la B5 ci provengono da evidenze sperimentali su animali: nei ratti, il deficit di B5 arreca un guasto alle capsule surrenali; nelle scimmie, crea un declassamento nella sintesi d’un costituente dell’emoglobina (eme) con tanto di anemia; nei cani, valori del glucosio nel flusso ematico al di sotto della norma, tachicardia, convulsioni, veloce respirazione; nei polli, si sono riscontrate anomalie alle penne, eritema, problemi al nervo spinale, con tanto di usura della guaina mielinica; nei topi, si è notato un decremento del glucosio, sotto forma di glucogeno, nell’apparato muscolare e nell’organo epatico, come pure eritema e ingrigimento del pelo.

Non credo che vi sia un’informazione scientifica tale da poter suffragare l’assunzione di B5 per prevenire patologie in genere, diversamente da un grave deficit della stessa, peraltro piuttosto infrequente.

Per gli adulti, sia maschi sia femmine, non in gravidanza (6 mg) o allattamento (7 mg), un’adeguata assunzione è di 5 mg al giorno.

Per trattare le ferite, si è riscontrato che l’assunzione per bocca di B5 e il cospargimento sulla cute d’un unguento al pantotenolo velocizzi negli animali la cicatrizzazione sia a livello epidermico sia su quello tissutale e che un’integrazione di Calcio-D-pantotenato alle cellule umane della cute in coltura, sulle quali s’è inferta una lacerazione, ha accresciuto la quantità di cellule migratorie dell’epidermide e la loro velocità di migrazione, con la ripercussione di accelerare il risanamento della ferita stessa.

Vi sono evidenze, tuttavia, su individui trattati con 1 g di Acido levo-ascorbico e 0,2 g di Acido pantotenico per la rimozione di tatuaggi con interventi chirurgici, che non hanno sortito effètti sostanziali, in relazione al processo di risanamento della cute.

Alcuni studi connotano in un derivato dell’Acido pantotenico, la pantetina (o solfuro di panteteina), l’utilità di ribassare i valori del colesterolo: la pantetina* è infatti costituita da 2 molecole di panteteina unite da un legame tra 2 molecole di solfuro e rappresenta la parte attiva del CoA e delle proteine di trasporto del gruppo acile.

Bene: molte evidenze hanno concluso che una quantità di 0,3 g X 3 volte/dì di pantetina siano utili a diminuire sia il colesterolo totale sia i trigliceridi nel flusso ematico tanto nei diabetici (anche in emodialisi) che nei non diabetici.

La vitamina B5 si trova abbondantemente nel fegato, nei reni, nel pollo, nel pesce, nei crostacei, nel rosso dell’uovo, nel latte, nello yogurt, nei legumi, nei funghi, nei broccoli, nelle patate dolci, nel lievito, nell’avocado.

La raffinazione del frumento declassa dal 35 al 75% il valore della B5, come pure il surgelamento e l’inscatolamento.

Gli integratori sono per lo più a base di pantotenolo, alcool corrispondente all'acido pantotenico piu stabile, prontamente tramutato dal corpo umano in Acido pantotenico.

Ma sono efficaci anche il Calcio e il Sodio D-pantotenato, nonché i Sali di Calcio e di Sodio dell’Acido pantotenico.

Non si ravvisa alcuna tossicità per l’Acido pantotenico, se non la diarrea, con dosaggi elevati dai 10 ai 20 g al giorno di calcio D-pantotenato.

Quantità fino a 1,2 g/dì risultano ben accettate dal corpo umano, ma si possono verificare in certi soggetti ripercussioni gastroenteriche, quali voltastomaco e bruciori di stomaco.

L’uso di anticoncezionali per bocca, che possiedono estrogeni e progesterone richiedono un maggior fabbisogno di Acido pantotenico; la pantetina, con gli inibitori dell’HMG-CoA reduttasi, conosciuti anche come statine, o assieme all’Acido nicotinico, può sortire una superiore reazione sui grassi del sangue.

NOTE.

*La pantetina può essere prescritta, sia in Europa sia in Giappone, per ridurre il colesterolo e i trigliceridi; negli USA la si trova come integratore dietetico.

I batteri enterici, che popolano solitamente l’intestino crasso possono fabbricare il proprio Acido pantotenico, assorbibile, assieme alla biotina, dall’organismo umano.

 

 

Della Riboflavina (Vitamina B2).

vitamina b2

Nel nostro corpo, questa vitamina idrosolubile costituisce essenzialmente i coenzimi FAD (Flavin Adenin Dinucleotidi) e FMN (Flavin Mononucleotide), detti pure flavine, mentre gli enzimi che si servono d’un Flavin coenzima sono classificati come flavoproteine.

Sappiamo che gli esseri viventi per lo più traggono energia dalle reazioni di ossidoriduzione (redox), meccanismi che richiedono una “migrazione” d’elettroni.

Generalmente, le Flavine sono indispensabili per il metabolismo dei carboidrati, dei lipidi e dei protidi: il FAD attiene alla catena di trasporto dell’elettrone, la cosiddetta “catena respiratoria”, da cui dipende la fabbricazione energetica.

Con gli enzimi P450 del citocromo, le Flavine collaborano anche nel metabolismo dei medicinali e delle sostanze tossiche.

Sempre dal FAD, dipende l’enzima Glutatione reduttasi, che interviene nel ciclo redox del Glutatione, il quale custodisce gli esseri viventi dalle specie reattive dell’ossigeno, quali per l’appunto gli idroperossidi, che richiedono, attraverso la Glutatione perossidasi (enzima che ha il Selenio), 2 molecole di Glutatione ridotto per essere spezzati.

A sua volta, la Glutatione reduttasi necessita dei FAD per ripristinare 2 molecole di Glutatione ridotto da quello ossidato.

Il deficit di Riboflavina è in correlazione con la crescita dello stress ossidativo.

La xantina ossidasi (enzima dipendente dai FAD) stimola l’ossidazione dell’ipoxantina e della xantina in acido urico, valido antiossidante idrosolubile del flusso ematico, estremamente declassato dall’insufficienza di vitamina B2.

Un grave deficit di Riboflavina può interessare i più disparati sistemi enzimatici, perché le flavoproteine interagiscono col ricambio vitaminico sia della B6 sia della Niacina sia dell’Acido folico.

Soprattutto nei soggetti omozigoti (a causa del polimorfismo C6777 del gene MTHFR) e in quelli che avevano scarsa immissione di folati i più elevati valori di Riboflavina plasmatici erano riconducibili a un declassamento dei valori di omocisteina plasmatici.

Un’insufficienza di B2 danneggia il ricambio del ferro, riducendone l’assimilazione negli animali, anche a livello enterico, frenando addirittura il suo uso per la sintesi dell’emoglobina.

Negli esseri umani, se si hanno valori adeguati di B2, si registra un rialzo dei valori di emoglobina nel flusso ematico e si ottengono risultati più significativi nella somministrazione del ferro per curare l’anemia da carenza del ferro stesso.

"Ariboflavinosi", ecco il vocabolo che designa il deficit clinico di Riboflavina, spesso associato all’insufficienza di altre vitamine idrosolubili e a una sintomatologia che esita in lesioni alla gola, rossore e ingrossamento della mucosa buccale, cheilite (taglietti e ulcerazioni alle labbra, esternamente), stomatite angolare (patologia infiammatoria che colpisce i due angoli della bocca), dermatite seborroica (infiammazione della cute che appare grassa e squamosa), vascolarizzazione della cornea (composizione di capillari nell’occhio), anemia normocromica normocitica (decremento degli eritrociti con adeguati valori di emoglobina e regolare dimensione).

Anche una ridotta trasformazione di B6 in Piridossàl-5-Fosfato e del Triptofàno in Niacina dipendono dalla significativa mancanza di Riboflavina.

Alcuni elementi sono pericolosi ai fini d’un deficit di B2:

-ittero nei neonati, perché potenzia il declassamento della B2;

-alcoolici, perché determinano una riduzione e una difficoltà nell’assunzione, nell’assimilazione, nell’uso della B2;

-anoressia, perché i soggetti che ne sono affètti difficilmente hanno dei livelli normali di B2;

-intolleranza al lattosio e derivati la cui non assunzione (buon per Noi!-ndr) può dare deficit di B2;

-ipotiroidismo e insufficienza surrenalica, perché diminuiscono la trasformazione in FAD e FMN della B2;

-soggetti molto operativi (atleti, manovali, …), perché necessitano di un surplus di B2.

La lesione ossidativa delle proteine del cristallino causata dalla luce può condurre all’insorgenza delle catarratte da invecchiamento, che esitano in disturbi importanti della vista.

Alcune sperimentazioni hanno osservato che la percentuale di rischio con assunzioni dietetiche di B2 declassa tantissimo (33%), fino anche a dimezzarsi (51%).

Dato che la B2 agisce da precorritore degli enzimi FAD e FMN voluti dalle flavoproteine della catena di trasporto mitocondriale degli elettroni, il cui metabolismo se declassato incide sull’ossigenazione del cervello, una sua integrazione potrebbe rivestire una certa influenza nel trattamento delle emicranie.

Vi sono evidenze su pazienti trattati con 400 mg di B2 al dì, per 90 giorni, attraverso le quali si osservava una diminuizione sia della frequenza sia del numero di cefalee giornalmente ricorrenti (per bocca, faccio comunque notare, possono essere assorbiti solo 25 mg di Riboflavina per dose).

La Riboflavina, ribadisco, agisce sul deficit della riserva di energia mitocondriale del cervello e quindi risulta utile nella prevenzione dell’emicrania.

Quasi tutti gli alimenti di origine sia animale sia vegetale possiedono quantomeno modeste quantità di B2.

La luce declassa la Riboflavina: per es., la B2 del latte in bottiglia di vetro chiaro si dimezza dopo 2 sole ore di esposizione alla luce solare.

Per quanto attiene la tossicità di questa vitamina, non si sono connotate evidenze tali anche ad alti dosaggi.

Esperienze su cellule in coltura hanno mostrato che un surplus di Riboflavina accresce il pericolo della frattura del filamento del DNA al cospetto del cromo CrO2 (ossido di cromo, impiegato anche per fabbricare nastri magnetici e noto carcinogeno), per cui facciano attenzione gli operai che lavorano con questo elemento chimico.

Tutti noi che assumiamo integratori a dosaggi Ortomolecolari, conosciamo poi il termine flavinuria, ossia quel colore giallo chiaro che assume l’urina dopo l’assunzione della B2, effetto questo assolutamente privo di tossicità.

Per quanto attiene l’interazione della B2 coi farmaci, occorre dire che dosaggi elevati nell’uso di anticoncezionali per bocca arrecano un calo di Riboflavina, peraltro ammortizzabile con l’uso degli integratori, tipo la Formula Vm 2000 della Solgar.ie.

I farmaci discendenti dalla Fenotiazina (neurolettico della classe degli antipsicotici), quali la Clorpromazina (impiegato nella schizofrenia) e gli antidepressivi triciclici (Dotiepina, l'Imipramina l'Amitriptilina, impiegati negli stati depressivi) bloccano l’incameramento della B2 nei FAD e FMN, come pure la Quinacrina (antimalarico) e l’Adriamicina (chemioterapico).

Il Fenobarbital (antiepilettico) assunto per un tempo prolungato accresce il pericolo di deficit di B2, per via che gli enzimi epatici la distruggono.

Raffaele

 

Sulla Vitamina B12.

vitamina b12

La B12 può essere considerata, oltre che la maggiore e la più complessa, anche la più singolare tra tutte le vitamine, dato ch’essa possiede un atomo di cobalto (ione metallo).

Col vocabolo “cobalamine” si designano tutti i composti che svolgono un’azione di tipo B12.

Il nostro corpo utilizza la B12 sotto forma di metilcobalamina e di 5-deossiadenosilcobalamina.

Essa è presente in noi sia come derivato dall’alimentazione (incluse le supplementazioni) sia come prodotto della funzione della flora batterica nel livello enterico.

La B12 assunta, per es., mangiando del fegato (pessimo alimento, ndr), che ne contiene molta, si unisce nel livello gastrico a una specifica proteina, il protide 0 (zero), fabbricato dalla mucosa dello stomaco, la quale proteina custodisce la vitamina da possibili danneggiamenti che l’acidità del succo gastrico potrebbe arrecarle e la veicola al lume enterico.

Nell’intestino, essa cede il posto a una glicoproteina, definita fattore intrinseco di Castle, fabbricata anch’essa dalla membrana dello stomaco, la quale sfugge agli attacchi sia della pepsina sia del succo gastrico, perviene al livello enterico e si lega, per una forte affinità, alla B12, rimpiazzando il protide 0.

Il nuovo complesso IF*-B12 è intercettato e identificato da un recettore ubicato sulla membrana citoplasmatica degli enterociti (cellule epiteliali prismatiche o cilindriche che formano l'epitelio di rivestimento dei villi intestinali): il fattore di Castle è fermato nell’intestino, mentre la B12 perviene, veicolata dagli enterociti, all’organo epatico, per essere poi decentrata nei vari distretti tissutali periferici da specifiche proteine di trasporto (trans-cobalamine, nelle isoforme I, II, III).

Sui tessuti c’è un recettore cellulare che le consente di oltrepassare il livello citoplasmatico e di accedere all’intra-cellulare, dove finalmente sarà mutata nel cofattore B12, con la collaborazione sia dell’adenosina trifosfato sia del NADP (nicotinammide adenina dinucleotide fosfato) sia del glutatione ridotti.

Negli integratori s’impiega per lo più la cianocobalamina, la quale è rapidamente permutata in metilcobalamina e in 5 deossiadenosilcobalamina.

L’enzima folato-dipendente metionina sintetasi per funzionare regolarmente necessita della metilcobalamina, in modo da poter sintetizzare la metionina dall’omocisteina.

La disfunzione di questo enzima condurrebbe, infatti, a un deposito di omocisteina, con tanto di contraccolpi sul sistema cardio-circolatorio, come vedremo in seguito.

A sua volta, la metionina promuove la sintesi dell’S-adenosilmetionina, un donatore di gruppo metilico impiegato in molteplici processi biologici, quali la metilazione d’una serie di siti sia nel DNA (dove si rivela utile nella prevenzione dalle neoplasie) sia nell‘RNA.

Per quanto attiene invece la 5-deossiadenosilcobalamina, essa serve all’enzima che stimola la trasformazione di L-metilmalonil-CoA in succinil CoA, un processo biochimico direi fondamentale per la fabbricazione d’energia sia dai grassi sia dalle proteine.

Inoltre, il succinil CoA serve anche per la sintesi dell’emoglobina, responsabile della veicolazione dell’ossigeno negli eritrociti.

Secondo alcune stime, un buon 10-15% dei soggetti che hanno superato i 60 anni d’età sono in deficit di ferro.

L’assimilazione della vitamina B12 necessita d’una regolare funzionalità sia a livello gastrico sia a livello enterico (tenue) sia a livello pancreatico.

Sono gli acidi grassi del tratto gastrico e gli enzimi a “liberare la B12 dagli alimenti e a consentirle d’unirsi alle proteine R, che nell’habitat alcalino del livello enterico (tenue) sono demolite dagli enzimi del pancreas e rilasciano la vit. B12 che s’associa così all’IF (Intrinsic Factor), una proteina prodotta da specializzate cellule del livello gastrico.

Bene, solo con la compartecipazione indispensabile del calcio, provvisto dal pancreas, il legante IF-B12 è “imprigionato” dai recettori superficiali del livello enterico (tenue).

Tra le motivazioni più ricorrenti di deficit di B12 figurano sia l’irregolare assimilazione vitaminica dagli alimenti sia l’anemia perniciosa.

Si ritiene che un 2% circa dei soggetti che abbiano oltrepassato la sessantina siano affètti da Anemia perniciosa.

Si crea praticamente una situazione d’infiammazione autoimmune a livello gastrico, che causa l’annientamento delle cellule del rivestimento interno dello stomaco a causa dei propri stessi anticorpi, e quindi un calo nella produzione di acidi e di enzimi necessari per la cessione della vitamina B12, vincolata agli alimenti, e la mancanza del fattore intrinseco (IF) di Castle .

Purtroppo, gli anticorpi non consentono il connubio IF-B12, con tanto di declassamento nell’assimilazione della vitamina in questione.

Ovviamente, trovandosi in uno stato d’anemia perniciosa, potrebbero occorrere degli anni prima d’incorrere nei sintomi da carenza di ferro.

A tale patologia s’associa anche una certa predisposizione genetica: circa un 2% dei famigliari di soggetti con anemia perniciosa contrae anch’esso la malattia, la quale per essere curata necessita d’iniezioni di B12, il cui assorbimento non passa per il livello enterico oppure di significative quantità per bocca.

Infatti, se assumessimo 1 mg (1000 mcg/microgrammi) di B12 per os, avremmo mediamente un’assimilazione di essa per diffusione passiva** di 10 mcg, ossia l’1%.

Nelle persone d’una certa età, la non efficiente assimilazione della B12 alimentare è primariamente riconducibile alla gastrite atrofica, osssia a una cronica infiammazione della parete interna dello stomaco, che causa il declassamento delle ghiandole e degli acidi grassi.

Inoltre, una minore sintesi di acido gastrico, necessario per la cessione della B12 da parte delle proteine alimentari, esita anche in una maggiore moltiplicazione di batteri anaerobici nel livello gastrico, per ovvi motivi, fattore questo d’ulteriore intralcio all’assimilazione della vitamina in questione.

I soggetti con una ridotta assimilazione della B12 alimentare, non devono, come solitamente fanno, aumentare le quantità di cibo che hanno questa vitamina, ma piuttosto assumerla da integratori.

Considerate che la gastrite “atrofica” può riguardare fino a circa 1/3 degli uomini al di sopra della sessantina, spesso consociata all’Helicobacter pylori, che determina una cronica infiammazione gastrica in grado di determinare l’ulcera peptica, la gastrite atrofica e, purtroppo, il cancro in alcuni soggetti.

Altri fattori di deficienza relativa alla B12 sono da ascriversi alle asportazioni chirurgiche sul livello gastrico o sui tratti enterici del tenue, quelli che ospitano i recettori del complesso IF-B12, ma anche alla celiachia che determina una sidrome da ridotta assimilazione della B12 o addirittura a un’insufficienza pancreatica***.

Anche un’alimentazione vegana ha determinato situazioni d’insufficienza della B12, come del resto l’alcolismo, che riduce l’assimilazione e alimenta al contempo l’espulsione vitaminica, oppure i soggetti con l’AIDS, forse per via della loro disfunzione a carico dello specifico recettore per la congiunzione IF-B12.

Pure l’uso prolungato di antiacidi è riconducibile all’insufficienza di B12.

L’insufficienza della vitamina B12 produce senz’altro un deterioramento delle funzioni enzimatiche che le necessitano.

Per es., una diminuita funzione della metionina sintetasi può esitare in valori molto alti di omocisteina, mentre un calo della metilmalonil-CoA, si traduce nella fabbricazione di quantità superiori del metabolita L-metilmalonil-CoA, detto anche acido metilmalonico.

Questo acido si deposita così nelle urine, generando la metil-malonico-aciduria: le urine inacidiscono e prendono il loro tipico odore, con conseguenze piuttosto preoccupanti.

Nell’insufficienza da B12, una ridotta funzione da parte della metionina sintetasi blocca il rinnovamento del tetraidrofolato (anione dell'acido tetraidrofolico, derivato dell’acido folico ossia della vitamina B9) e arresta il folato in una forma non biodisponibile per il corpo, al punto che si manifestano gli effètti da deficit di folato pur con normali valori di esso.

Tanto nell’isufficienza di B12 quanto in quella di folato, questi (il folato) non può intervenire nella sintesi del DNA, con un deterioramento che va a ripercuotersi sulle cellule del midollo osseo, le quali, dividendosi più velocemente delle altre, determinano la fabbricazione di grandi, prematuri eritrociti, con scarsa quantità d’emoglobina.

Si tratta se non lo avete già capito dell’anemia megaloblastica, la quale non la si dovrebbe curare con acido folico, prima di averne accertato la causa, perché s’è pur vero che l’integrazione di acido folico fornirebbe una quantità adeguata di folato, in grado di riequilibrare la composizione degli eritrociti, ciononostante, con la risoluzione dell’anemia non verrebbe risolto il deficit di B12.

Si elencano, qui di seguito, le ripercussioni neurologiche prodotte dal deficit di B12:

-insensibilità e formicolio degli arti inferiori e superiori;

-difficoltà di movimento;

-calo di memoria;

-confusione mentale;

demenza accompagnata o meno da variabilià dell’umore.

Ma anche:

-lingua lesionata;

-inappetenza;

-stipsi.

Attenzione, però, questi sintomi non sono necessariamente curabili ripristinando i valori della B12, soprattutto se avvertiti da molto tempo.

Considerate che per il 25% circa degli individui, tali effetti sono il solo disturbo clinico da deficit di B12, non sempre consociato all’anemia megaloblastica, insufficienza che determina il deterioramento della guaina mielinica, che riveste i nostri nervi sia cranici sia spinali sia periferici, del quale (deficit) vanno ulteriormente indagati i meccanismi biochimici che ne sono la causa.

Nelle affezioni inerenti al cardiovascolare, ovvero in patologie quali, per es., quelle cardiache, nell’ictus cerebri, nella malattia vascolare periferica, un alto valore di omocisteina nel flusso sanguigno costituisce senz’altro una seria minaccia per la nostra salute.

Il livello di omocisteina nel circolo sanguigno è perlomeno regimentato da 3 vitamine: la B9 (vedi acido folico su questo thread), la B6 e la B12.

Ci sono delle evidenze scientifiche che concludono sul calo dei valori dell’omocisteina somministrando un’integrazione tra 0,5 e 5 mg al giorno di acido folico (25%) e di 0,5 mg al dì di b12 (ulteriore 7%)****

Ci sono poi delle ricerche che hanno mostrato valori alti di omocisteina in soggetti con un’età superiore alla sessantina, denotando quindi un’insufficienza di B12 (per come si evince dall’analisi dell’acido metilmalonico, MMA, notevolmente rialzato) oppure di B12 e di B9 insieme.

Il consiglio, prima di attuare l’idonea terapia atta a ridurre il livello di omocisteina, è di controllare i valori della B12 e se vi sia una ridotta funzionalità renale.

Un deficit della vitamina B12 blocca il folato in una forma non biodisponibile per la sintesi del DNA, i cui filamenti risultano più sensibili all’usura.

Sto affermando che l’insufficienza di B12 possa cagionare seri danni al DNA e ridurre le funzioni delle reazioni di metilazione (importanti processi di modificazione del DNA), determinando un maggior pericolo per l’organismo d’esposizione alla neoplasia.

Ci sono delle ricerche che testimoniano che valori più alti di omocisteina e più bassi di B12 nel flusso ematico siano relazionabili col marker biologico di lesione del cromosoma nei globuli bianchi.

Infatti, i valori dello stesso marcatore declassano se si somministrano in giovani adulti 700 mcg di acido folico e 7 mcg di B12 attraverso dei cereali.

Occorrerà approfondire, poi, se vi possa essere una certa correlazione tra la B12 e il cancro mammario, per come mostrano certe determinate esperienze in merito.

Sapete cosa sono i difetti NTD (del tubo neurale)?

Essi sono in grado di condurre all’anencefalia o alla spina bifida*****, con ripercussioni così devastanti, che il solo scrivere di loro mi mette i brividi addosso e mi dà il voltastomaco.

Insorgono, solitamente, tra la 3^ e la 4^ settimana dopo la fecondazione, lasso di tempo in cui molte donne non sanno ancora di essere incinta.

Certuni studi hanno concluso che vi sarebbe un netto tracollo di casi (60-100%) se, nei 30 giorni prima e dopo il concepimento, le donne integrassero l’acido folico a potenziamento d’una sana, variegata dieta, e solo perché il folato ridurrebbe i valori di omocisteina, la quale tenderebbe ad ammassarsi nel flusso ematico, nel caso non vi fosse una sufficiente quantità di folato e/o di B12.

Ridotti livelli di B12 nel circolo sanguigno e nel liquido amniotico sono stati messi in correlazione con un superiore pericolo dei difetti del tubo neurale (NTD).

Dunque, donne incinta, siete avvisate: B12 + Folato, prima e dopo il concepimento, secondo quanto precedentemente detto.

Gli affètti da morbo di Alzheimer possiedono frequentemente valori bassi di B12 nel liquido cerebrospinale.

Il deficit di B12, come quello di folato, può ridurre la sintesi di metionina e di S-adenosilmetionina, con sfavorevoli ripercussioni sui processi di metilazione indispensabili per il ricambio dei costituenti della guaina mielinica dei neuroni e pure dei neurotrasmettitori.

Valori maggiori di omocisteina e minori di B12 e di folato sono riscontrabili nella malattia di Alzheimer e nella demenza vascolare, così per come mostrano taluni studi ma ancha certe analisi sul generale stato nutrizionale dei pazienti esaminati.

Anche nei casi di stati depressivi si riscontrano indici bassi di B12.

Tanto la B12 quanto il folato servono, infatti, per la sintesi di S-adenosilmetionina (donatore di gruppi metilici), fondamentale per il ricambio dei neurotrasmettitori, la cui scarsa biodisponibilità esita in forme depressive.

La sintesi della B12 può avvenire esclusivamente a opera di batteri.

Essa è contenuta nelle carni, intendendo per tali anche il pesce (crostacei inclusi) e in dosi minori nel latte, ma non figura solitamente nei vegetali.

Tanto i vegetariani/vegani che gli individui al di sopra dei 50 anni****** faranno bene a ricorrere alle supplementazioni e/o agli alimenti fortificati.

Sia la cianocobalamina sia la metilcobalamina sono le forme di B12 impiegate negli integratori.

Nell’anemia perniciosa, è possibile beneficiare della prescrizione medica di cianocobalamina per endovena o intramuscolo o come gel nasale.

Negli individui in salute, non si sono riscontrati sintomi d’intossicazione anche con quantità elevate di B12, sia alimentare sia da integratore.

Sempre in pazienti con anemia perniciosa, dei quantitativi di B12 da 1 mg (1000 mcg)/dì per dei mesi o 1 mg al mese per intramuscolo non hanno sortito alcun effètto tossico.

Del resto, per quanto attiene all’assunzione per os di B12, solamente minime percentuali d’essa sono assimilate.

In campo farmacologico, molti prodotti inibiscono l’assimilazione di B12.

Per es., gli inibitori della pompa protonica, quali Omoprazolo e Lansoprazolo, spesso impiegati per il reflusso gastro-esofageo e per la sindrome di Zollinger-Ellison******* riducono l’assorbimento di B12, anche se dopo un uso prolungato di almeno 3 anni.

Parimenti altri bloccanti della produzione d’acido gastrico, ovvero gli antagonisti del recettore H2, quali Pepsid, Tagamet, Zantac, adoperati per l’ulcera peptica, potrebbero declassare la B12.

Vi sono poi tutta una serie di farmaci che influenzano negativamente l’assimilazione di B12 alimentare, tra i quali la Colestiramina (colesterolo alto), il Cloramfenicolo e la Neomicina (antibiotici), la Colchicina (antigotta), la Metformina (Diabete di tipo 2).

S’è pur vero che una variegata alimentazione apporti quantità adeguate di B12, coloro che hanno superato il cinquantesimo anno d’età, gli individui vegetariani/vegani e le donne gravide opteranno, secondo il loro buon senso, per un’integrazione multivitaminica/multiminerale giornaliera o assumeranno a colazione cereali fortificati, che garantiscano un contributo/dì dai 6 ai 30 mcg (microgrammi) di B12, in una delle forme più biodisponibili.

Oltre i 65 anni d’età, allorquando siano soventi gli episodi di “cattiva” assimilazione e deficit di B12, sarà buona regola l’assunzione da integratori di 100-140 mcg/dì della vitamina in questione.

Invece, solo in caso di anemia perniciosa sarà indispensabile somministrare iniezioni di B12.

Note

*IF=Fattore Intrinseco di Castle.

**L’assimilazione della Vitamina B12 per diffusione passiva non è un meccanismo molto valido, perché permette l’assobimento esclusivamente dell’1% della dose vitaminica.

Baik HW, Russell RM. Vitamin B12 deficiency in the elderly. Annu Rev Nutr. 1999; 79:357-377.

***Il Pancreas fornisce i vitali enzimi e il calcio, utili per l’assimilazione della B12.

****Homocysteine Lowering Trialists’ Collaboration. Lowering blood homocysteine with folic acid based supplements; meta-analysis of randomized trials.
Homocysteine Lowering Trialists’ Collaboration.

BMJ 1998; 316 (7135): 894-898.

*****Anencefalia =grave malformazione congenita, nella quale i bambini vengono alla luce già morti o sopravvivono per poco tempo (da qualche ora a 3-4 gg., raramente fino a 10); essi sono senza o quasi la volta cranica e privi dei centri nervosi in essa contenuti.
*****Spina bifida=malformazione o difetto neonatale in cui, nelle peggiori circostanze, il midollo spinale sporge dal rachide per alcuni centimetri, con tanto di danno sia del midollo spinale sia delle terminazioni nervose che a esso si congiungono.

I neonati nel tempo di 1-2 gg, subiscono un trattamento chirurgico.

******Le persone che hanno superato la cinquantina hanno una più elevata possibilità d’una imperfetta assimilazione della B12 alimentare.

*******Affezione dovuta a una difettosa produzione di gastrina (ormone), quale effètto d’un tumore chiamato “gastrinoma” ai danni del pancreas o infrequentemente del duodeno.

È caratterizzata da ulcera peptica non trattabile.

 

 

Sulla vitamina B6

vitamina b6

Di questa idrosolubile vitamina vi sono ben 6 varianti:

- piridossina-5’-fosfato;

- piridossale (PL);

- piridossina;

- piridossàl-5’-fosfato PLP);

- piridossamina-5’-fosfato;

- piridossamina coi suoi derivati.

Il piridossàl-5’-fosfato è la formulazione di coenzima attivo, basilare per il nostro metabolismo.

Dato che il nostro corpo non può sintetizzare la vitamina B6, occorre immetterla con l’alimentazione.

Ricordiamoci che il piridossàl-5’-fosfato è un coenzima di primaria importanza per l’efficienza di un centinaio di enzimi che svolgono determinanti processi biochimici quali la gluconeogenesi (processo chimico che ricava glucosio dagli aminoacidi) o la fosforilasi (glicogeno fosforilasi), enzima che consente la cessione del glucosio muscolare sotto forma di glicogeno.

L’estrazione stessa del neurotrasmettitore serotonina dall’aminoacido triptofàno richiede un enzima subordinato al piridossàl-5’-fosfato, come del resto pure altri neurotrasmettitori quali il GABA (acido gamma-aminobutirrico), la noradrenalina, la dopamina la cui sintesi necessita di enzimi subordinati al pridossàl-5’-fosfato.

Tanto la piridossina-5’-fosfato quanto il piridossàl-5’-fosfato si associano alla emoglobina degli eritrociti, determinandone la sua maggiore disposizione a imprigionare e cedere ossigeno.

Sappiamo poi che la biodisponibilità della vitamina B3 (Niacina) può essere resa esatta sia attraverso il cibo sia mediante la trasformazione del triptofàno alimentare in B3.

Bene: il piridossal-5’-fosfato interviene come coenzima nella sintesi di B3 da triptofàno, riducendo così il fabbisogno di niacina alimentare ed è in grado di associarsi ai recettori steroidei che, sedando gli effetti degli ormoni steroidei (estrogeno, progesterone, testosterone), evitano la trascrizione genica.

Sia il cancro prostatico sia quello al seno potrebbero ricollegarsi a un declassamento della B6 e pertanto ai recettori degli ormoni steroidei, in grado di apportare variazioni nella trascrizione genica.

Il deficit di B6 incide anche sul sistema immunitario, dato che il coenzima agisce, insieme al folato e alla vitamina B12, sul metabolismo dell’unità monocarboniosa.

Sono i soggetti che assumono molti alcolici a deficitare della B6, per via di una scarsa assunzione e di una declassata produzione di questa vitamina.

I deficit significativi della B6 includono irascibilità, stato depressivo e confusionale, flogosi della lingua, lesioni e ulcerazioni della cavità buccale, anche agli angoli, mentre nei bambini si riscontra l’insorgenza di convulsioni.

Nelle diete con un maggior apporto proteico si registra un rialzo nel consumo di vitamina B6, dato ch’essa, quale coenzima, è indispensabile per i vari enzimi preposti a metabolizzare gli aminoacidi.

I “malati di cuore” e gli affètti da ictus, ancor prima di contrarre tali tipi di affezioni, mostrano valori declassati di omocisteina, composto intermedio del metabolismo della metionina.

I soggetti in salute possiedono una duplice possibilità per metabolizzare l’omocisteina:

- trasformare l’omocisteina in metionina attraverso l’impiego di B12 e acido folico;

- permutare l’omocisteina in cisteina attraverso l’impiego di un paio di enzimi del piridossàl-5’-fosfato.

Conclusione: nel flusso ematico, l’omocisteina è modulata da almeno un trio vitaminico (B6-B12-acido folico).

Vi sono innumerevoli ricerche in grado di testimoniare l’interconnessione tra la scarsità di B6 e i valori eccessivi di omocisteina nel circolo sanguigno con un conseguente pericolo di contrarre patologie cardiovascolari.

Inoltre, al di là dei livelli di omocisteina, mantenere i valori plasmatici del piridossàl al di sopra del valore normale significa ridurre il pericolo di contrarre affezioni di tipo cardiaco e vascolare.

L’integrazione poi di B6, dopo assunzione per bocca di metionina, declassa i valori di omocisteina.

La diminuita fabbricazione linfocitaria e della preziosa proteina immunologica (interleuchina-2) regrediscono se viene somministrata nei soggetti in deficit una supplementazione di B6, peraltro, frequentemente carente negli anziani.

Si è potuto anche constatare negli individui anziani un certo rapporto tra Alzheimer e deficit di B6-B12-acido folico nonché rialzo dei valori di omocisteina.

Vi sono esperienze che attestano che un’integrazione di 100 mg di B6 declassi i valori di ossalato nelle urine che, come sappiamo, incide nella composizione dei calcoli renali, per l’appunto da ossalato di calcio.

La vitamina B6 è essenziale per la metabolizzazione di l-triptofàno.

Gli anticoncezionali per bocca abbassano la vitamina B6.

Dunque, facendo uso di contraccettivi e versando in uno stato ansioso e depressivo, è forse auspicabile assumere fino a 150 mg al giorno di B6, per vedere di alleviare quei sintomi che si presentano, quali capogiri, irascibilità, voltastomaco, impedimento nello svuotamento della vescica, depressione.

Parimenti, nella sindrome premestruale, la cui specifica sintomatologia è quella di spossatezza, di tensione e turgore mammario, di trattenimento delle urine, di malumore, tristezza, di nervosismo, possono risultare utili 100 mg/die di vitamina B6.

E’ probabile che certi neurotrasmettitori, quali la serotonina e la norepinefrina, siano subordinati al piridossàl-5’-fosfato, ipotesi questa che fa concludere che un suo deficit possa esitare in uno stato ansioso e depressivo.

Un trattamento con 50-100 mg di B6 può risultare utile in gestazione per osteggiare il voltastomaco tipico del periodo.

In pratica, per ovviare alle nausee mattutine, può servire un’assunzione di 25 mg di B6 (piridossina) per 3 volte nelle ventiquattr'ore.

Nella sindrome del tunnel carpale, che procura sofferenza, parestesia, debolezza della mano e delle dita per via dello schiacciamento del nervo mediano sul carpo, sindrome le cui cause sono da ricercare nei sistematici danneggiamenti sul carpo o nei gonfiori dei tessuti molli (spesso presenti nella gestazione e nell’ipotiroidismo), s'ipotizza un deficit della B6 e la conclusione che una integrazione della stessa tra i 100 e i 200 mg al giorno per parecchi mesi possa risultare efficace.

Inversamente, scarsi valori di piridossàl-5’-fosfato si accompagnano a formicolii e sofferenze con tanto d'interruzione notturna del sonno.

In tal senso, saranno necessari ulteriori approfondimenti.

Coloro che seguono un’alimentazione vegetariana o vegana faranno bene ad avere una supplementazione di questa vitamina da piridossina cloridrato.

Relativamente alla tossicità della vitamina B6 da piridossina, il Food and Nutrition Board dell’Institute of Medicine ha stabilito di non assumere più di 100 mg al giorno di piridossina.

Si sono infatti verificati, anche alla dose di 500 mg al giorno di B6, neuropatie sensoriali associate a sofferenze e parestesie degli arti e addirittura problemi nell’incedere.

Dosaggi di B6 sotto i 200 mg/die sono comunque sicuri.

La B6 ha una buona sinergia con l'acido folico e la B12, coi quali contribuisce a declassare i livelli di omocisteina.

Il deficit di B2 riduce la conversione della B6 nella sua forma di coenzima.

A dosaggi elevati, la B6 può ridurre l'effetto degli anticonvulsivanti (fenitoina e fenobarbitolo).

La cicloserina, l'isoniazide, la levodopa, la penicillamina possono declassare la B6, andando a costituire con essa complessi non attivi.

 

 

Sulla vitamina K

vitamina k
Innumerevoli proteine, preposte alla funzionale coagulazione del sangue, necessitano di questa basilare vitamina liposolubile.

In lingua tedesca, infatti, “K” sta per “Koagulation”.

Ora, la vitamina di origine vegetale è il fillochinone (K1, 2-metil-3-fitil-1,4-naftochinone) mentre quella di origine batterica è il menachinone-n (con n che connota il numero di unità isoprenoidi legate in posizione 3), la cui sigla è MK-n o semplicemente K2.

Si può osservare che siano gli animali (più che i batteri), fra cui anche l'uomo, a sintetizzare, attraverso l'organo epatico e altri organi, la MK-4 in quantità molto superiori a quelle del fillochinone (K1).

L'importanza di questa “vitamina-coenzima” è quella di catalizzare la carbossilazione dell'acido glutammico (aminoacido), trasformandolo in Gla ossia in γ-acido carbossiglutammico.

E sebbene tale carbossilazione sia esercitata su ben determinate porzioni dell'aminoacido predetto, presente in una esigua quantità di proteine, essa risulta vitale per le mansioni di “liganti” che queste proteine hanno nei confronti degli ioni di Ca2+, necessari a innescare i 7 fattori nella cascata di coagulazione ossia una successione di accadimenti tra loro interdipendenti che vanno, in ultima analisi, a raggrumare il sangue con grumi che ne arrestano la fuoriuscita.

Del resto, senza i sistemi di sorveglianza, insiti nella cascata di coagulazione, si potrebbero determinare sia un'abnorme coagulazione sia un'emorragia, situazioni estremamente dannose per la stessa esistenza in vita dell'uomo.

La sintesi dei fattori di coagulazione subordinati alla vitamina K avviene nel livello epatico che, se seriamente compromesso, conduce a un declassamento dei fattori di coagulazione e quindi al potenziamento del pericolo di una emorragia, mentre certi soggetti corrono il rischi dell'insorgenza di grumi, in grado di ostruire la circolazione ematica all'interno delle arterie cardiache, polmonari, cerebrali e di esitare in un attacco di cuore, in un'embolia polmonare o in multinfarti cerebrali.

Ovviamente, forti dosi di vitamina K, sia da cibo sia da integrazione, possono ridurre l'effètto anticoagulante della Warfarina oltre che, se presa nel periodo di gestazione, condurre a deficit neonatale di vitamina K, con associato il rischio d'incontrollato sanguinamento.

Quantunque la K sia una vitamina liposolubile, l'assorbimento somatico è ridottissimo, per cui occorre introdurla sistematicamente attraverso il cibo per non esaurire le sue scorte che sono smaltite in tempi celeri.

E questo potrebbe essere il motivo per cui esiste il “ciclo della vitamina K” ossia un meccanismo di ri-utilizzo della stessa vitamina per diverse volte nella γ-carbossilazione delle proteine, riducendo ciò la domanda alimentare.

I farmaci come la Warfarina non consentono il ri-utilizzo della vitamina K perché bloccano un paio di basilari reazioni, determinandone una carenza funzionale.

I soggetti che assumono anticoagulanti prestino attenzione all'uso dietetico della vitamina K (90-120 mcg/die), sì da non surclassare i benefìci degli anticoagulanti”anti-K” come, per es., la Warfarina.

Nel nostro endoscheletro figurano 3 proteine subordinate alla vitamina K:

- osteocalcina, prodotta dalle cellule che costituiscono le ossa (osteoblasti) e modulata da 1,25(OH)2D3 (calcitriolo, una forma attiva della vitamina D), che necessita della γ-carbossilazione vitamina K-dipendente, inerente alcune eccedenze di acido glutammico;

- Gla (proteina matrice), costituita da fibre collagene, insita nell'endoscheletro sia nell'osso maturo sia in quello in via di composizione, anche nel livello cartilagineo e nel tessuto molle, inclusi le arterie, le vene, i capillari, in grado di evitare il deposito di sali di calcio nel tessuto molle e nella cartilagine e di promuovere la regolare formazione delle ossa;

- proteina S anticoagulante naturale, subordinata alla vitamina K, generata dagli osteoblasti e con lo specifico compito di preservare il flusso ematico da un'eccessiva coagulazione: per es., i bambini che presentano una carenza congenita di questa proteina sono soggetti a un maggior rialzo della coagulazione ematica e a una riduzione della compattezza ossea.

Vi è poi anche la Gas 6, una proteina presente al nostro interno (cuore, polmoni, reni, stomaco, tessuto cartilagineo), che si collega alla vitamina K: essa sembra essere un fattore di modulazione dell'accrescimento cellulare, determinante anche nella maturazione e nella senilità del sistema nervoso.

Un marcato deficit di vitamina K determina un declassamento della coagulazione del sangue, così per come si evince dalle specifiche prove di laboratorio (tempo di protrombina o tempo di Quick per determinare la tendenza alla coagulazione del sangue) e per come evidenziano certi episodi quali la presenza di sangue nelle urine e nelle feci, che risultano nerastre, il rilevante sanguinamento nel flusso mestruale, la perdita di sangue dal naso e dalle gengive, i frequenti traumi, l'emorragia intracerebrale neonatale (per rottura o perdita di un vaso sanguigno all'interno del cranio) piuttosto rischiosa per il mantenimento in vita del piccolo.

Nei soggetti maturi in buona salute è infrequente un deficit di vitamina K, dato che essa la si trova negli alimenti, che il ciclo della K preservi se stessa e che i microrganismi presenti all'interno del crasso producano menachinone (K2).

Ovviamente, coloro che assumono anticoagulanti antagonisti della vitamina K (per es., warfarina) o quelli che sono affètti da epatopatia o da disturbi epatici possono presentare un deficit di vitamina K.

Le future mamme, che alimentano solamente al seno il proprio nascituro (peraltro, ottima pratica: il latte materno è un alimento d'eccellenza!!!), considerino l'evenienza di un deficit di vitamina K per le motivazioni che sono a scrivere:

- il latte materno contiene una quantità di vitamina K non del tutto adeguata;

- il tratto enterico dei nascituri non è insediato da una sufficiente proliferazione batterica, in grado di produrre menachinone e attivare pienamente il ciclo della vitamina K, particolarmente nei nati prematuramente.

Anche le neo-mamme che assumono in gestazione degli antiepilettici a scopo preventivo possono causare un deficit di vitamina K nel nascituro, determinandone la cosiddetta “malattia emorragica neonatale”, estremamente rischiosa per la stessa sopravvivenza in vita del piccolo.

Per ovviare a questa delicata circostanza, l'Accademia Americana di Pediatria, ma anche altre istituzioni, caldeggia un'iniezione di K1 (fillochinone) a tutti i nascituri.

Pratica questa osteggiata da un paio di ricerche che invece concludono su una probabile correlazione tra le iniezioni di K1 e l'insorgenza di leucemia e altre forme di cancro nei neonati stessi.

Altri studi, su campionamenti piuttosto vasti, mostrano invece esiti totalmente dissonanti e non connotano alcuna correlazione tra le iniezioni di K1 alla nascita e il cancro (leucemia infantile) neonatale.

Dunque, nessuna dimostrazione che iniezioni di K1 esitino in forme cancerogene, mentre l'HDN (malattia emorragica del nascituro) è estremamente rovinosa.

Alcune ricerche epidemiologiche evidenziano un'interconnessione tra l'osteoporosi e la vitamina K che, se al quintile più basso, aumenta di oltre 1/3 il pericolo delle fratture dell'anca nelle donne nei confronti di quelle che hanno invece i valori della vitamina K al più elevato dei quattro quintili.

Evidenze queste confermate poi da un'altra ricerca postuma su un congruo campionamento di donne e di uomini.

Dal punto di vista dietetico, le più importanti assunzioni di questa vitamina avvengono attraverso le verdure a foglia larga verde e la frutta.

La vitamina K serve per la carbossilazione dell'osteocalcina, una proteina associata all'osso e presente nel flusso ematico.

Bene: una “ipo-carbossilazione” dell'osteocalcina ne declassa la sua efficacia circa la possibilità di associarsi al minerale osseo.

Sono stati infatti riscontrati dei valori ematici superiori di ucOC (osteocalcina sottocarbossilata) nelle donne dopo la menopausa nei confronti di quelle ancora fertili.

Valori che risultano addirittura molto elevati nelle ultrasettantenni, con un pericolo di frattura dell'anca sestuplo nei confronti di quelle che presentano alti valori di osteocalcina sottocarbossilata.

Naturalmente, i livelli di ucOC oltre che dalla vitamina K sono influenzati anche dalla vitamina D: una sua carenza è direttamente proporzionale a dei valori più alti di osteocalcina sottocarbossilata.

Vi sono esiti contrastanti circa un uso prolungato di warfarina (anticoagulante orale) e certi tipi di frattura ossea, particolarmente quelle sul rachide e sulla gabbia toracica, o talune riduzioni della compattezza ossea del polso ma non dell'anca.

Alcune ricerche sulla supplementazione della vitamina K mostrano che 1000 mcg, ossia 1 mg, di vitamina K1 (fillochinone) per 14 gg. promuove un declassamento dei valori di osteocalcina sottocarbossilata (ucOC) nelle donne già in menopausa.

In Giappone, sono stati somministrati a donne affètte da osteoporosi dosi massicce di MK-4* (menatetranone), ossia 45 mg al giorno, con risultati soddisfacenti, relativamente alla diminuzione mineralica ossea.

Vi sono evidenze che scarse dosi alimentari di vitamina K siano in correlazione con una promozione del pericolo di calcificazione a livello dell'aorta**.

La vitamina K può favorire la ri-mineralizzazione ossea e al contempo bloccare la calcificazione a carico delle condutture vascolari, con un meccanismo probabilmente collegato sia all'osteocalcina sia all'MGP: nel primo stadio embrionale, l'MGP blocca la calcificazione cartilaginea e ossea nella fase di sviluppo osseo.

Sotto l'aspetto nutrizionale, la vitamina K1 (fillochinone) è la forma principale ed è contenuta soprattutto nelle verdure a foglia larga verde e in certi oli vegetali (oliva, soia, ...).

A livello enterico, nel crasso, i batteri sintetizzano la vitamina K2 (menachinone) ch'è una forma attiva.

Sia la K1. sia la K2 non presentano tossicità, neanche a dosi massicce, anche se potrebbero scatenare un reazione allergica.

Diversamente, la K3 (menadione) e tutti i ricavati da essa possono arrecare danno ossidativo alle membrane cellulari del glutatione, potente antiossidante del nostro corpo.

Addirittura, somministrata in punture, essa è risultata dannosa nel livello epatico e ha generato l'ittero e l'anemia emolitica nei bambini, per via della rottura degli eritrociti.

Dosi massicce di vitamina K, sia alimentari sia da supplementazione, possono declassare il beneficio anticoagulante, per es., della warfarina.

Chi assume warfarina tenga la vitamina K tra i 90 e i 120 mcg, possibilmente senza sbalzi nei valori, per evitare una negativa interazione con l'anticoagulante.

Dosi massicce di vitamina A e di vitamina E da tocoferolo chinone possono declassare l'assimilazione della vitamina K.

Tanto l'isoniazide (antibiotico antitubercolare, con attività battericida; esplica anche un'azione inibitoria sul metabolismo epatico a livello del citocromo P450) quanto la rifampicina (antibiotico battericida), prese nel periodo della gestazione, possono causare deficit neonatale di vitamina K, come del resto gli antiepilettici, la warfarina, gli antibiotici in genere (per declassamento della flora batterica enterica).

NOTE

* L'MK-4 non è presente con valori importanti nel cibo ma può essere prodotto in modeste dosi dall'organismo iniziando dal fillochinone.

** Nella patologia cardiovascolare si notano le placche aterosclerotiche lungo le pareti arteriose, le cui calcificazioni conferiscono una diminuita elasticità vasale e un rialzo del pericolo che si generino grumi in grado di scatenare un attacco cardiaco o un ictus cerebri.

 

 

Sul Ferro.

ferro

È tra i micronutrienti quello con più letteratura e risulta un fondamentale componente sia delle proteine sia degli enzimi.

Tanto l’emoglobina quanto la mioglobina sono proteine che possiedono eme, ossia un composto con il ferro contenuto all’interno di molecole di alto valore biologico, che presiedono alla veicolazione e all’approvvigionamento dell’ossigeno.

L’emoglobina degli eritrociti (globuli rossi o emazie) costituisce il 66% del ferro del nostro organismo.

La sua funzione vitale è quella di veicolare l’ossigeno dei polmoni a tutti gli altri distretti corporei, perché essa può incorporare celermente ossigeno nella breve permanenza a livello polmonare per poi liberarlo nei tessuti, in relazione al fabbisogno cellulare.

La mioglobina fa invece da carrier (trasportatore) e da rifornitore d’ossigeno a breve termine alle cellule dei tessuti muscolari.

Se il rifornimento d’ossigeno risultasse non idoneo (ipossia), come nel caso di chi abita a elevate altitudini o di chi ha patologie polmonari croniche, s’instaurerebbe da parte dell’organismo, come dire, un tipo di reazione compensatoria, che andrebbe a esitare in una superiore produzione di RBC (Red Blood Cells=Globuli Rossi), nell’angiogenesi (iper-accrescimento dei vasi sanguigni), in una più grande fabbricazione d’enzimi, usati nel ricambio anaerobico.

Infatti, in uno stato d’ipossia, i fattori di trascrizione, ossia quelli che propinano ipossia (HIF= Hypoxia Inducible Factor), s’uniscono ai fattori di risposta nei geni che codificano diverse proteine implicate nelle reazioni compensatorie dell’ipossia e ne accrescono la sintesi.

L’enzima propil idrossilasi, subordinato al ferro, esercita una funzione nevralgica nella regimentazione di HIF e dunque delle risposte fisiologiche all’ipossia.

Ora, se la tensione cellulare dell’ossigeno è commisurata, le nuove subunità sintetizzate HIFalpha saranno variate dall’enzima propil idrossilasi in un meccanismo vincolato al ferro, mirante a declassare celermente le HIFalpha, ma se la tensione superficiale dell’ossigeno scendesse al di sotto del livello di criticità, ecco che la propil idrossilasi non potrebbe degradare gli HIFalpha e ciò permetterebbe agli HIFalpha di unirsi agli HIFbeta e creerebbe un fattore di trascrizione attivo, capace d’introdursi nel nucleo e d’associarsi a particolari fattori di reazione sui geni, generando così ipossia.

Bene: sapete cosa sono i citocromi?

Sono dei composti che contengono eme, di vitale importanza per la fabbricazione d’energia cellulare, dunque per l’esistenza in vita, mediante le loro mansioni nella veicolazione mitocondriale degli eletroni.

Essi agiscono come carrier d’elettroni nella sintesi dell’ATP (adenositrifosfato), il maggior composto di deposito d’energia a livello endocellulare.

Pure gli enzimi non-eme che racchiudono ferro, per es. la NADH e la succinato deidrogenasi, sono decisivi per il ricambio dell’energia.

Il citocroma P450 corrisponde a una famiglia d’enzimi che intervengono nel ricambio d’una sequela di fondamentali molecole biologiche, nella detossificazione e nel metabolismo di farmaci e d’agenti inquinanti.

Tanto la catalasi quanto la perossidasi, enzimi con eme, ci tutelano dall’immagazzinamento del perossido d’idrogeno, specie reattiva dell’ossigeno, facente parte dei ROS (radicali liberi a maggior diffusione), molto nociva, tramutandolo in acqua e ossigeno.

Invece la ribonucleotide reduttasi è un enzima, subordinato al ferro, necessario per la sintesi del DNA.

Il ferro è dunque indispensabile per tutta una sequenza di operazioni basilari, inclusi lo sviluppo, la procreazione, il risanamento dalla malattia, l’efficienza immunitaria.

Vi sono evidenze che dimostrano che un deficit di Vitamina A può aggravare l’Anemia da insufficienza di ferro.

Infatti, tanto nei bambini quanto nelle donne incinta, s’è potuto promuovere la produzione di ferro somministrando la A in combinazione col ferro stesso.

Pure il rame s’è rivelato utile per il regolare ricambio del ferro e per la composizione degli eritrociti.

Testimonianze sugli animali riferiscono che il ferro si depositi nel loro organo epatico se essi sono carenti di rame e che questi sia necessario sia per veicolare il ferro nel midollo osseo sia per la costituzione degli eritrociti.

Le somministrazioni di cospicue dosi di ferro a digiuno con lo zinco bloccano l’assimilazione dello zinco stesso, evidenza questa che non si verifica se le assunzioni vengono fatte con gli alimenti: i cibi arricchiti in ferro non hanno negativi contraccolpi sull’assimilazione dello zinco.

Inversamente il calcio, se assunto nello stesso pasto col ferro, ne declassa l’asimilazione.

Nelle insufficienze di ferro, tra le più frequenti al mondo, si possono connotare 3 differenti stadi:

-diminuizione delle scorte di ferro: esse sono “prosciugate”, ma l’approvvigionamento funzionale di ferro non subisce alcuna riduzione;

-deficit funzionale iniziale di ferro: l’approvvigionamento funzionale di ferro è abbastanza insufficiente da ripercuotersi in negativo sulla composizione degli eritrociti ma non a tal punto da esitare in un’anemia quantificabile;

-anemia da deficit di ferro: la quantità di ferro è così consistente da non poter consentire la regolare composizione degli eritrociti e tale da generare anemia.

L’anemia da deficit di ferro, macrocitica e ipocromica, è caratterizzata da eritrociti con dimensioni più ridotte rispetto al normotipo e con una quantità minore d’emoglobina, con dei sintomi quali un’impropria dislocazione dell’ossigeno nei vari distretti corporei e un non regolare comportamento degli enzimi subordinati al ferro.

Ovviamente, serve ribadire che il deficit di ferro non sia la sola motivazione dell’Anemia: in quella megaloplastica o macrocitica, per es., per come precedentemente espresso, collegabile a un deficit di Acido folico (B9) nel midollo osseo, c’è un’irregolare scissione cellulare a livello ematico, con gli eritrociti di maggior dimensione ma di minor numero; analogamente, nella carenza da B12, la quale esita nell’Anemia perniciosa, come vedremo poi parlando della vitamina B12 su questo thread.

Il battito cardiaco accelerato, il cardiopalmo (batticuore), il respiro corto sotto sforzo, la fiacchezza sono la sintomatologia tipica del deficit di ferro, ossia dell’Anemia.

Anche le prestazioni fisiche nel lavoro e nello sport declassano col deficit di ferro, perché lo scarso livello d’emoglobina degli eritrociti comporta una riduzione della dislocazione dell’ossigeno nei tessuti attivi.

Non solo: un ribasso di mioglobina nelle cellule muscolari riduce il livello d’ossigeno da destinare ai mitocondri per il ricambio ossidativo.

La mancanza di ferro diminuisce pure la capacità ossidativa muscolare, evidenziando un declassamento mitocondriale nei citocromi e di certi enzimi subordinati al ferro, necessari per veicolare gli elettroni e per la sintesi dell’ATP (Adenositrifosfato).

Si registra una deplezione di ferro anche nel caso d’una generazione d’acido lattico.

La carenza di ferro connota un’alterazione dell’omeostasi per esposizione al freddo e nelle preoccupanti Anemie si registrano unghie “a cucchiaio” piuttosto deboli, lesioni ai bordi della bocca, indebolimento del gusto e lingua rovinata.

Ci sono poi certe Anemie, già a un livello evoluto, che presentano complicazioni nell’ingestione, perché si formano dei noduli, associabili anche a una tendenza ereditaria, sia in gola sia sull’esofago (sindrome di Plummer-Vinson).

Anche la pica (dall’omonimo uccello che mette in bocca tutto ciò che reperisce) è uno specifico problema comportamentale, ch’è al contempo un posibile sintomo ma anche una probabile causa del deficit di ferro.

Tra i soggetti più esposti al pericolo d’un deficit di ferro figurano:

-neonati e bambini (6 mesi-4 anni): per via del loro veloce ruolino di marcia nell’accrescimento, mentre le loro eventuali scorte possono bastare al massimo per 6 mesi;

-adolescenti: anch’essi in veloce evoluzione; poi, nelle ragazze il ciclo mestruale determina una superiore domanda di ferro;

-donne incinta: feto in accrescimento, placenta e crescita del volume del flusso ematico attivano una considerevole esigenza di ferro;

-soggetti con croniche deplezioni ematiche: se si considera che 1 ml di sangue ha una concentrazione di 15 g/l di emoglobina e che contiene 0,5 mg di ferro, si capisce come mai le deplezioni croniche anche di modeste quantità ematiche possano generare deficit di ferro (infezioni parassitarie enteriche, donatori di sangue, donne mestruate, perché ogni 500 ml di sangue donato o perso ha tra i 200 e i 250 mg di ferro);

-soggetti affètti da Helicobacter pylori, soprattutto i bambini, anche senza alcuna evidenza di perdita ematica a livello gastroenterico;

-soggetti coinvolti in una sistematica e faticosa attività motoria: dato che l’intenso esercizio fisico potrebbe determinare in questi soggetti microperdite ematiche del tratto gastroenterico o una superiore fragilità e spaccatura degli eritrociti, è auspicabile una giornaliera assunzione d’un 30% in più di ferro;

-vegetariani: il ferro d’origine vegetale è assimilato con minor intensità rispetto a quello di provenienza animale (una dieta esclusivamente vegetariana ha un assorbimento del ferro del 10%, mentre una dieta variata, del 18% circa).

A chi fosse completamente vegetariano, ecco le giuste quantità di ferro:

-maschi adulti e femmine già in menopausa: 14 mg al giorno;

-femmine non in menopausa e adolescenti: 26 mg al giorno.

Tantissime ricerche hanno concluso sullo stretto legame tra l’Anemia da deficit di ferro nei bambini e un loro inadeguato sviluppo nell’apprendimento, con tanto d’inappropriato profitto scolastico e di disturbi comportamentali.

Infatti, pare che i bambini affètti da Anemia propendano verso una minore “scoperta” del mondo a loro circostante rispetto ai loro coetani non anemici.

Anche la conduzione al cervello da parte dei nervi ottico e uditivo risulta negli anemici più rallentata, probabilmente perché subentrano delle varianti nella rimielinizzazione dei nervi, come si osserva negli animali con insufficienza di ferro.

Finanche i neurotrasmettitori sono influenzati dalla carenza di ferro.

Il deficit di ferro può alimentare il pericolo nei bambini d’una tossicità da piombo, i cui valori risultano più rialzati.

Il ferro basso alimenta, poi, l’assimilazione enterica del piombo.

Molte evidenze scientifiche connotano una marcata correlazione tra deficit in donne incinta e nascita di bambini sottopeso, oppure parti anticipati o addirittura decessi della madre.

Inversamente, un alto valore dell’emoglobina in gravidanza può essere messo in relazione con talune complicanze, ma non in tal senso predisponenti, quali l’ipertensione o la pre-eclampsia* (patologia della gravidanza), che può subentrare dopo la 20^ settimana di gestazione e fino a 6 settimane dopo la nascita, che causa alta pressione, proteine nel flusso urinario, gonfiore.

Il ferro serve per innumerevoli processi immunitari, incluse la diversificazione e la riproduzione dei Linfociti T, la creazione dei ROS dagli enzimi subordinati al ferro, impiegati per abbattere i germi patogeni.

Vi sono evidenze scientifiche che mostrano in colture di cellule e su animali che l’esistenza in vita dei microrganismi patogeni, quelli, per intendersi, che vivono nelle cellule ospiti quali, per es., i plasmodi della malaria, ma anche i micobatteri della tubercolosi, può essere prolungata dalla somministrazione di ferro.

Nelle patologie infettive, infatti, come l’HIV, acronimo dall'inglese Human Immunodeficiency Virus, Virus da imunodeficienza umana, la tubercolosi e la febbre tifoidea, il ferro, al cospetto del perossido d’idrogeno (acqua ossigenata), genera il radicale idrossilico OH-, il più potente radicale libero endogeno, per cui integrare ferro, in relazione a bassa sideremia in particolari processi infiammatori, può sortire l’effetto d’alimentare lo stato infiammatorio e d’arrecare conseguenze negative a carico di vari organi.

Conoscete la RSL (acronimo di Restless Legs Syndrome, Sindrome delle gambe senza riposo), ossia un difetto neurologico della deambulazione, collegato frequentemente a problemi di sonno?

Nelle persone affètte da tale patologia c’è un irrefrenabile desiderio di muovere le gambe, percezione più che altro avvertita a riposo e interagente col sonno, ma anche un deficit, per cui esse ricavano giovamento da un’integrazione di ferro.

Si connota una particolare situazione in cui i valori della Ferritina risultano minori, mentre quelli della Transferrina nel liquido cerebrospinale maggiori.

Pare anche, da esami strumentali quale la RM (Risonanza Magnetica), che pazienti affètti da deficit di ferro in talune aree cerebrali siano collegabili a persone con RLS, situazione probabilmente riconducibile al fatto che il lavoro d’un enzima subordinato al ferro, la tirosin idrossilasi (TH), riduca la sintesi del neurotrasmettitore Dopamina.

Sono 2 i fattori che incidono sull’assimilazione del ferro sia alimentare sia da integrazione:

-lo stato nutrizionale del ferro nell’individuo;

-se il ferro è “eme” o “non-eme”.

Per es., i soggetti anemici o in deficit di ferro assimilano una maggiore percentuale di ferro nei confronti dei non anemici (soprattutto il ferro non-eme) e possiedono abbastanza scorte di ferro.

Cerchiamo di chiarire meglio il concetto di ferro “eme “ e “non-eme”.

Il ferro “eme” proviene dall’emoglobina e dalla mioglobina, in senso generale dalla carne, intendendo per tale anche il pesce, e quantunque costituisca al massimo un 15% del ferro dietetico, esso può rappresentare fino al 33% del ferro dietetico complessivo.

Il ferro “non-eme”, oltre che dalla carne, deriva dalle verdure, dai latticini, dai sali di ferro integrati negli alimenti.

La sua assimilazione risente tantissimo dei “facilitatori” e degli “inibitori” che si trovano nello stesso posto.

Tra i facilitatori dell’assimilazione del ferro “non-eme” c’è la Vitamina C, la quale trasforma il ferro ferrico dietetico, Fe+++, in ferro ferroso, Fe++, e genera un’associazione assimilabile “ferro-acido l-ascorbico”.

Anche gli acidi, citrico, malico, tartarico, lattico migliorano l’assorbimento del ferro non-eme, come del resto fanno la carne, il pesce, il pollame, che dispensano con una certa abbondanza anche il ferro non-eme.

Diversamente, tra gli inibitori del ferro non-eme figura l’acido fitico dei legumi, del riso, del grano: esigue quantità tra i 5 e i 10 mg declassano l’assimilazione del ferro non-eme.

L’assimilazione, poi, del ferro dei legumi (soia, lenticchie, fagioli neri e verdi, piselli, …) è, press’a poco, del 2%.

Anche i polifenoli (frutta, verdura, caffè, the, vino, spezie) declassano significativamente l’assimilazione del ferro non-eme, effètto che può essere attenuato dall’assunzione di C, come del resto fanno le proteine della soia (tofu), a prescindere dalla maggiore o minore presenza di Acido fitico.

Alcune ricerche di livello nazionale, effettuate negli Stati Uniti, fissano l’assunzione alimentare del ferro, mediamente, tra i 16 e i 18 mg al giorno per gli uomini, 12 mg al giorno per le donne in pre e post-menopausa e 15 mg per le donne incinta.

Le integrazioni di ferro sono necessarie a scopo preventivo e per curare le insufficienze di ferro.

I soggetti come gli uomini adulti e le donne in post-menopausa non necessitano di integrazioni di ferro, se non dopo attenta valutazione medica sul loro eventuale deficit.

In tal senso è conveniente precisare:

-il solfato ferroso (eptaidrato) è ferro essenziale per il 22%;

-il solfato ferroso (monoidrato) è ferro essenziale al 33%;

-il gluconato ferroso è ferro essenziale al 12%;

-il fumarato ferroso è ferro essenziale al 33%.

Il sovraccarico di ferro può collegarsi a vari difetti genetici: l’emocromatosi ereditaria fa accumulare il ferro anche se lo si assume regolarmente, quella africana sahariana comporta sia una predisposizione genetica sia un’elevata assunzione di ferro.

Per meglio approfondire, l’emocromatosi ereditaria (HH), che riguarda 1 soggetto su 200 tra i successori nord-europei, comporta un accumulo di ferro nell’organo epatico e in altri tessuti, a seguito d’una esigua assimilazione in più di ferro per diversi anni, evento questo che, se non trattato, può esitare nella Cirrosi epatica, nel diabete, nelle cardiomiopatie, nell’artrite.

Come dire, un disturbo genetico inerente l’assimilazione enterica del ferro per diversi anni, codificata dal gene HFE.

Il surplus di ferro nell’emocromatosi ereditaria è curato mediante flebotomia, ovvero con il prelievo di 500 ml di sangue per volta, secondo intervalli collegati alla pericolosità dell’accumulo di ferro.

Ai soggetti affètti da tale patologia si sconsiglia qualsiasi integrazione di ferro, senza proibire, in generale, quello dietetico.

Anche l’uso di bevande alcoliche è grandemente osteggiato, per non alimentare il pericolo di cirrosi epatica.

I soggetti con familiari affètti da emocromatosi dovrebbero sottoporsi al test genetico mediante un prelievo ematico.

Nell’emocromatosi africana sub-sahariana, il surplus di ferro riguardante i neri del Sud-Africa è collegato ad atavici regimi alimentari ricchi di ferro, proveniente soprattutto dalle pentole per cuocere e dai contenitori in acciaio inox, impiegati per lo stoccaggio della birra, e incide massimamente sui soggetti adulti che consumano così tanta birra al punto che l’assorbimento del ferro può straforare anche i 100 mg al giorno.

Anche in questo caso, si possono manifestare diabete e cirrosi epatica.

Diversamente da quella ereditaria, l’emocromatosi africana sub-sahariana necessita d’una elevata assunzione di ferro insieme a un fattore genetico non ancora del tutto noto.

Nelle significative anemie ereditarie, non generate da deficit di ferro, può crearsi un eccesso di ferro, per via d’una esagerata assimilazione di ferro alimentare, quale soddisfacimento a un costante impegno del corpo di creare eritrociti.

I soggetti anemici in pericolo di sovraccarico di ferro includono gli affètti da anemia sideroblastica, quelli da talassiemia maggiore, se sottoposti a troppe trasfusioni e i deficitari di piruvato chinasi eritrocitaria (enzima che conduce all’alterazione della membrana e alla morte del globulo rosso).

Diversamente, i soggetti con sferocitosi e talassiemia minore non incombono per lo più in sovraccarico di ferro, tranne che non siano vittime di errata diagnosi e siano state loro somministrate elevate quantità di ferro per lunghi anni, in quanto erroneamente ritenuti d’essere in carenza di ferro.

Le persone in salute e non soggette a predisposizione genetica che si sottopongono a integrazione di ferro difficilmente incombono in sovraccarico e ciò denota come l’organismo tenga sotto stretta sorveglianza il minerale in questione nel livello enterico.

I soggetti che non hanno un deficit di ferro non dovrebbero comunque ricorrere a integrazioni per non rischiare magari d’incorrere nell’emocromatosi ereditaria o in un persistente surplus da supplementazione di ferro.

Nei bambini non ancora in età scolare, un eccesso di ferro è la sola motivazione d’una intossicazione letale di ferro.

E quantunque il quantitativo mortale di ferro per os sia pressappoco tra i 200 e i 250 mg/Kg di peso corporeo, si sono registrati ugualmente decessi anche con quantità decisamente più ridotte.

Già, infatti, dosaggi tra i 20 e i 60 mg/Kg di peso corporeo hanno mostrato segni di tossicità acuta, per come segue:

-entro la 6^ ora dall’assunzione: nausea, vomito, sofferenza ventrale, feci catramose, stato di torpore, battito rapido ma fievole, ipotensione, ipertermia, problemi respiratori, coma;

-entro la 48^ ora: gravi ripercussioni sul cardiovascolare, sull’organo epatico, a livello renale, sul S.N.C. (Sistema Nervoso Centrale);

-entro la 6^ settimana: deterioramento del S.N.C., cirrosi epatica, seri problemi a livello gastrico.

In caso di carenza, le supplementazioni di ferro apportano infiammazioni allo stomaco e all’intestino, voltastomaco, conati di vomito, dissenteria o stipsi.

Occorre, inoltre, per scongiurare il rischio di “sporcare” i denti, diluire le supplementazioni di ferro per bocca e assumerlo col cibo per tamponare gli eventuali contraccolpi a livello gastroenterico.

Un’alimentazione variegata sarebbe utile a fornire un adeguato contenuto di ferro, ma tantissimi individui non ne consumano abbastanza da evitarne la carenza.

Un integratore multivitaminico-multiminerale che fornisse il 100% dell RDA dovrebbe contenere 18 mg di ferro essenziale, dose ideale per le donne in pre-menopausa ma eccessiva sia pei maschi sia per le femmine in post-menopausa, i quali, se non sono in pericolo d’insufficienza di ferro, dovrebbero preferire integratori privi di ferro o con modeste quantità.

Gli anziani, tra i 65 e oltre anni d’età, non dovrebbero in linea di massima usare integratori con ferro, se non siano state accertate le loro insufficienze per questo minerale, determinandone precisamente la causa.

Nota

*Nell’eclampsia, ai sintomi della pre-eclampsia si assommano gli attacchi convulsivi.

La preeclampsia è un tipico stato d’elevazione dei valori pressori, come ben conoscono, mi auguro senza mai averlo provato, le donne nel III° mese di gestazione, che può associarsi a gonfiore (edema) e fastidi renali (troppe proteine nelle urine).

Se non trattata (5% circa di tutte le gravidanze), essa sfocia nell’eclampsia che può rappresentare un serio rischio per l’icolumità sia della madre sia del nascituro.

 

 

Del potassio

potassio


Preziosissimo elettrolita, capace in soluzione di scindersi in ioni e di veicolare elettricità, il potassio è un sale vitale per il nostro organismo che, per carburare al meglio, deve assicurarsi i giusti rapporti di esso tanto nell’endo-cellulare quanto nell’extra-cellulare (rapporto 30:1).

Le concentrazioni di sodio nell’endo-cellulare sono invece in rapporto di 1:10 nei confronti di quelle esterne.

Il rapporto sodio/potassio passa sotto il nome di potenziale di membrana cellulare, assicurato dalle pompe ioniche (Na+, K+, ATPasi), le quali si avvalgono dell’ATP (adenosintrifosfato) per espellere il sodio (Na+) dall’interno della cellula e immettervi il potassio (K+), un lavoro che, pensate un po’, in un soggetto normotipo in relax produce un dispendio energetico da un minimo del 20% fino a un massimo del 40%, facendoci intuire quanto questo processo sia vitale per il nostro organismo, sia a livello cardiaco sia a livello muscolare sia a livello nervoso.

In prima persona ho potuto verificare i rischi e i benefici dello squilibrio/riequilibrio della pompa sodio/potassio.

L’azione del potassio è richiesta anche a livello enzimatico, per es., per aiutare la reazione della piruvato chinasi, indispensabile nel ricambio carboidratico.

I soggetti che usano diuretici tiazidici (clortiazide, idroclortiazide, clortalidone, metolazone, chinetazone) o la furosemide (lasix) in quanto consumano potassio, gli affètti da sindrome metabolica o da insufficienza cardiaca congestizia o da carenza di magnesio o da protratto vomito e diarrea, coloro che hanno particolari disturbi delle ghiandole surrenali (nella sindrome di Cushing, per es., le ghiandole surrenali forniscono un eccesso di aldosterone, un ormone che stimola i reni a produrre grandi quantità di potassio), gli alcolisti, quelli che fanno uso smodato di purgativi, gli anoressici e i bulimici, raramente gli individui che mostrano carenze dietetiche di questo sale, dato ch’esso è contenuto nei più disparati alimenti, rischiano la pericolosa condizione d’ipokalemia ossia una insufficiente presenza di potassio nel siero.

Nella ipokalemia si hanno deleterie modificazioni metaboliche a livello cellulare come anche del potenziale di membrana, con malanni di vario tipo, quali spossatezza, fiacchezza, contrazioni muscolari, blocchi enterici con gonfiore e mal di pancia, stitichezza.

Nei casi più critici si arriva alla perdita della funzione muscolare o anche a mortali aritmie cardiache.

Attenzione anche alla liquirizia: assunta in eccesso, dato che essa include l’acido glicirrizico, può incrementare l’espulsione urinaria del potassio, inducendo ipokalemia.

I ridotti apporti dietetici di potassio sebbene non determinino di solito ipokalemia, ciononostante i deficit alimentari di questo minerale ampliano il pericolo di contrarre tutta una sfilza di patologie croniche.

Secondo le valutazioni dell’FNB (Food and Nutrition Board-Institute of Medicine) l’esigenza di potassio negli uomini non deve scendere al di sotto dei 2 g/die.

Ma soprattutto coloro che hanno la pressione alta faranno bene, personale esperienza, ad attestare tale valore intorno ai 3,5-4 grammi/die mangiando tanta frutta e verdura e azzerando il consumo di sale, del quale, alle nostre latitudini, se ne fa un grande abuso.

Alcune ricerche, relative allo studio delle condizioni e dei fattori che determinano la insorgenza delle malattie, osservano una ben precisa correlazione tra una superiore immissione di potassio (4,3 g/die in rapporto a una media di 2,4 g/die) e una diminuzione del pericolo di contrarre un ictus cerebri.

Dunque, ribadisco, specialmente gli ipertesi ma anche coloro che hanno scarsi introiti quotidiani di potassio alimentare incrementino le assunzioni giornaliere di frutta e di verdura, alimenti ricchi di potassio, proprio per diminuire in maniera rilevante il pericolo di essere colpiti da un ictus.

Vi sono poi altri studi che connotano che assunzioni dietetiche di potassio tra 3-3,4 g e 6 g/die, soprattutto con immissioni di frutta e di verdura, esitano in una importante preservazione nel tempo della BMD (densità minerale ossea).

Infatti, gli alimenti che abbondano di potassio (frutta e verdura) possiedono anche gli antesignani degli ioni del bicarbonato, utili per contrastare gli acidi del corpo.

Gli uomini, alle nostre latitudini, sono in un costante stato di acidosi, dato che prediligono un’alimentazione con carne, pesce, formaggi, …, fortemente acida, piuttosto che una dieta alcalinizzante a base di frutta e di verdura.

Per effetto di ciò, una volta che l’organismo ha esaurito gli ioni bicarbonato ecco che (la minaccia è serissima), per tamponare l’acidosi, esso ricorre ai sali alcalinizzanti di calcio, depletandoli alle ossa, al fine di preservare nella norma il pH urinario, con la ferale ripercussione della osteoporosi, specialmente nelle donne in post-menopausa, alle quali una integrazione di bicarbonato di potassio, unitamente a delle maggiori porzioni di frutta e di verdura, ridusse l’espulsione di calcio, promuovendo i marcatori biologici della rigenerazione ossea e declassando quelli del prosciugamento osseo (Sebastian A, Harris ST, Ottaway JH, Todd KM, Morris RC, Jr. Improved mineral balance and skeletal metabolism in postmenopausal women treated with potassium bicarbonate. N Engl J Med 1994;330(25): 1776-1781).

Vi è anche un più recente e vasto studio di stampo tedesco che avvalora il legame tra il calcio osseo e l’acidità: con la TC (tomografia computerizzata) è stato possibile osservare che i soggetti che mangiavano cibo maggiormente acido presentavano una più esigua quantità di minerali nell’osso (Lemann J, Jr.,Pleuss JA, Gray RW. Potassium causes calcium retention in healthy adults. J Nutr 1993; 129(9): 1623-1626///Morris RC, Jr., Schmidlin O, Tanaka M, Forman A, Frassetto L, Sebastian A. Differing effects of supplemental KCl and KHCO3: pathophysiological and clinical implications. Semin Nephrol 1999; 19(5): 487-493).

Non solo: certe osservazioni mostrarono come i soggetti maschi che immettevano mediamente una quantità di potassio (quasi esclusivamente dietetico da frutta e da verdura) di poco al di sopra dei 4 g/die dimezzavano il rischio di contrarre calcoli ai reni se confrontati con quelli che assumevano mediamente una quantità di potassio leggermente al di sotto di 2,9 g/die; parimenti, accadeva per i soggetti femminili che consumavano mediamente 3,5 g/die di potassio (quasi del tutto da frutta e da verdura) nei confronti di quelle che ne consumavano mediamente 2,7 g/die.

Anche i valori pressori risentono tantissimo delle più sostanziose immissioni di potassio alimentare, come si è potuto osservare nel raffronto tra una dieta con 8,5 porzioni di frutta e di verdura e 4,1 g/die di potassio e un’altra comprensiva di soli 3,5 porzioni di frutta e di verdura e di 1,7 g/die di potassio: i valori si sono ridotti significativamente, soprattutto nei soggetti ipertesi.

I valori declassavano ancor più se s’incrementava di 0,8 g/die l’immissione alimentare del calcio.

I soggetti che consumano porzioni molto abbondanti di frutta e di verdura hanno una immissione media di potassio da 8 a 11 g/die (National Research Council, Food and Nutrition Board. Recommended Dietary Allowances, 10th ed. Washington, D.C.: National Academy Press; 1989).

Tra i cibi più ricchi di potassio figurano le patate, cotte con la buccia, le prugne secche e il succo di prugna, i fagioli di Lima, le banane, i carciofi, gli spinaci, i pomodori e il succo di pomodoro, le arance e il succo di arancia, le mandorle, le noci, ...

Pur non potendo fissare una dose ideale di potassio per mantenersi sani, è tuttavia indiscutibile che un'alimentazione che faccia assumere più di 4 g/die di questo minerale, soprattutto da frutta e da verdura (e noci), riduca significativamente il pericolo di contrarre ipertensione, ictus, osteoporosi, calcoli ai reni, malattie croniche.

Facciano attenzione gli anziani, oltre il sessantacinquesimo anno di età, i quali, oltre che ad assumere meno di 5 porzioni/die di frutta e di verdura fanno spesso uso di medicine che declassano il potassio.

Per il resto, se non a scopo cautelativo e per fronteggiare i casi di deficit e di ipokalemia, conviene sempre prestare molta attenzione nella supplementazione di grosse dosi giornaliere di questo minerale che andrebbero comunque sempre concordate con un medico, tenendo sotto osservazione le concentrazioni plasmatiche, per via dei potenziali e pericolosi effetti collaterali sull'organismo.

Negli USA, gli integratori multivitaminici-multiminerali, le cui formulazioni vanno dal cloruro di potassio, allo aspartato, al bicarbonato, al citrato, al gluconato, all'orotato, hanno infatti delle quantità di potassio non superiori a 99 mg per dose.

La tossicità del potassio esita nell'iperkalemia (eccesso di potassio nel flusso ematico), una pericolosa condizione in cui i reni non ce la fanno a eliminare il sale.

L'iperkalemia può comunque dipendere da svariati e spesso concomitanti fattori:

- insufficienza renale (sia acuta sia cronica);

- inadeguata produzione di aldosterone;

- diuretici che depletano l'escrezione di potassio nelle urine;

- migrazione nel flusso ematico del potassio intracellulare per emolisi (rottura della membrana eritrocitica);

- deterioramento dei tessuti per forte contusione o ustione molto seria;

- massiccia assunzione per bocca di potassio, superiore ai 18 g, in un'unica soluzione, da parte di soggetti non avvezzi a farne uso, anche se con reni sani.

Le manifestazioni da iperkalemia includono debolezza e momentanea perdita del movimento muscolare, bruciore agli arti sia superiori sia inferiori, aritmia cardiaca fino allo arresto.

Generalmente, le assunzioni di potassio possono esitare in disturbi gastroenterici (voltastomaco, malessere ventrale, dissenteria).

Per es., le pastiglie gastroresistenti di cloruro di potassio hanno talvolta prodotto lesioni enteriche, pertanto meglio confinare le eventuali assunzioni di potassio (non l'ascorbato di potassio di Pantellini) ai pasti e in microcapsule proprio per limitarne eventuali negative ripercussioni.

Superfluo ribadire che, se si hanno problemi a carico dei reni o se si stanno assumendo medicinali che risparmiano il potassio, serva essere monitorati da un medico.

Questi farmaci espongono a un maggior rischio di iperkalemia:

- digitalici (digitalis);

- diuretici inibenti l'escrezione di potassio nelle urine (amiloride, spironolactone, triamterene);

- FANS ossia antinfiammatori non steroidei (dexketoprofene, dicoflenac (ha un'allerta di sicurezza), etodolac, fenoprofene, flurbiprofene, ibuprofene, indometacina, ketoprofene, ketorolac, loxoprofene, nabumetone, naproxene, oxaprozina, sulindac, ...);

-farmaci ACE (Angiotensin Converting Enzyme) inibitori dell'Enzima di Conversione dell'Angiotensina (benazepril, captopril, cilazapril, delapril, enalapril, fosinopril, lisinopril, perindopril, quinapril, ramipril, spirapril, trandolapril, zofenopril, ...);

- antifungini (ketoconazolo, fluconazolo, itraconazolo);

- farmaci antinfettivi (pentamidina, trimetoprin-sulfametossazolo, ...);

- fluidificanti del sangue (eparina);

- farmaci che alterano il passaggio transmembrana del potassio (beta-bloccanti).


Questi farmaci espongono a un maggior rischio di ipokalemia:

- agenti tocolitici (nylidrin, ritodrina);

- agonisti dei recettori alfa e beta adrenergici (adrenalina o epinefrina);

- broncodilatatori (albuterolo, efedrina, isoproterenolo, metaproterenolo, pirbuterolo, teofilina, terbutalina);

- corticosteroidi (fludrocortisone) e sostanze ad azione corticosteroide (carbenoxolone, gossipolo, liquirizia);

- diuretici (acetazolamide, acido etacrinico, bumetanide, clortalidone, furosemide, indapamide, metolazone, quinethazone, tiazidici, torsemide);

- glucocorticoidi (prednisone, prednisolone deltasone) e antibiotici (carbenicillina, nafcillina, penicillina) a dosaggi massicci;

- vasocostrittori simpaticomimetici ad azione decongestionante (fenilpropanolamina, pseudoefedrina);

- sostanze varie (caffeina, fenolftaleina, polistirene sulfonato di sodio).