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Domanda Siamo solo ologrammi in 2D?

  • Clara
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9 Anni 3 Mesi fa #36403 da Clara
Siamo solo ologrammi in 2D? è stato creato da Clara
:woohoo:

LA DOMANDA, del tutto lecita in ambito scientifico, è di quelle che danno le vertigini: e se tutti noi fossimo solo un ologramma in 2 dimensioni? Un esperimento in corso nei pressi di Chicago, negli Stati Uniti, al Fermi National Accelerator Laboratory, basato su interferometri laser, si propone di cercare la risposta, mettendo alla prova alcune fra le più affascinanti teorie contemporanee sull'universo, fra le quali appunto la congettura del "principio olografico". Lo evidenzia media Inaf, il notiziario online dell'istituto nazionale di astrofisica.

Il dato di partenza è la domanda che mette i brividi: chi ci assicura che la realtà nella quale siamo immersi, in apparenza così tangibile, non sia sotto sotto una proiezione a due dimensioni? E che l'impressione di vivere in un universo in 3D non sia frutto di un'illusione, dovuta magari all'altissima risoluzione e al fatto di esserci immersi dentro? Quasi, si interroga media Inaf, fossimo gli inconsapevoli protagonisti di un serial tv, che si aggirano in un mondo apparentemente tridimensionale quando in realtà altro non è che una piatta matrice di pixel sullo schermo del nostro televisore? Un tema di ricerca, questo, che non scaturisce dall'immaginazione di un manipolo di fanatici della fantascienza, bensì dagli studi di fisici teorici del calibro di Leonard Susskind o il premio Nobel Gerardus 'T Hooft, entrambi fra i proponenti del cosiddetto principio olografico": una congettura in base alla quale un mondo a n dimensioni può essere rappresentato dal mondo a n-1 dimensioni che ne segna i confini.

La risposta la cercano adesso nella campagna a ovest di Chicago, in particolare a Batavia, in Illinois, dove sorge il "cugino americano" del Cern: il Fermilab. Intitolato a Enrico Fermi, il laboratorio che fino a pochi anni fa ha ospitato il Tevatron (il rivale di Lhc) è ora teatro di uno fra i più ambiziosi esperimenti di fisica mai concepiti: "Vogliamo scoprire se anche lo spazio-tempo, così come la materia, è un sistema quantistico", dice Craig Hogan, direttore del centro per l'astrofisica particellare del Fermilab e padre della teoria del rumore olografico. "Se mai dovessimo vedere qualcosa, l'idea di spazio che ci ha accompagnato per migliaia di anni è destinata a cambiare completamente", aggiunge Hogan.

Per riuscirci, Hogan e colleghi hanno costruito un olometro, abbreviazione per "interferemotero olografico": un dispositivo formato da due interferometri, posti l'uno accanto all'altro, che emettono due fasci laser da un kilowatt ciascuno (una potenza equivalente a quella di 200mila puntatori laser) verso uno splitter e quindi giù lungo due bracci perpendicolari da 40 metri. La luce riflessa dei due fasci viene poi ricombinata, dando eventualmente luogo - se l'ipotesi dei ricercatori è corretta - a una figura d'interferenza: la firma del "rumore olografico", ovvero fluttuazioni quantistiche nella trama dello spaziotempo.

Ma perché mai lo spazio dovrebbe "fluttuare"? Perché dovrebbe mostrare quelle silhouette cangianti tipiche degli ologrammi, appunto, che danno sì l'impressione di tridimensionalità ma al tempo stesso di instabilità? Per rispondere, si torna alla metafora iniziale, quella delle immagini su uno schermo. Ci appaiono tridimensionali e continue, ma se ci avviciniamo possiamo vedere che in realtà sono tutte pixelate. Se la risoluzione è molto alta e lo schermo è molto compatto, però, come può essere quello di un tablet HD, distinguere i singoli pixel diventa praticamente impossibile. Ebbene, il "pixel size" dell'universo olografico, cioè la dimensione del singolo pixel, stando agli scienziati dovrebbe corrispondere alla scala di Planck: ogni pixel sarebbe cioè circa 10 trilioni di trilioni di volte più piccolo di un atomo. Pixel di dimensioni infinitesimali, dunque. Ma non nulle.

Ed è proprio su questo che si gioca l'intera congettura. Se lo spazio fosse davvero "pixelato", ciò implicherebbe un'incertezza intrinseca, nel senso che all'interno d'un singolo pixel il concetto stesso di posizione non avrebbe più significato alcuno. Detto altrimenti, esisterebbe un limite alla capacità dell'universo di memorizzare informazione: un determinato numero di bit, sicuramente elevatissimo, ma non infinito. Ed è proprio dall'indeterminatezza inevitabile dovuta alla natura digitale dello spazio (al suo campionamento, potremmo dire) che emergerebbero le fluttuazioni, il rumore di fondo olografico che gli scienziati del Fermilab vogliono misurare - ovviamente dopo aver filtrato tutte le possibili fonti di contaminazione, prime fra tutte il rumore di fondo dovuto alle apparecchiature elettroniche.

www.repubblica.it/scienze/2014/08/27/new...ammi_in_2d-94532843/

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9 Anni 3 Mesi fa #36421 da Midiclò
Risposta da Midiclò al topic Siamo solo ologrammi in 2D?
Mi è venuto un attacco di vertigini

:silly:

Devo sdraiarmi... :lol:
buonanotte !

Sto ancora e sempre imparando...

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9 Anni 3 Mesi fa #36437 da Clara
Risposta da Clara al topic Siamo solo ologrammi in 2D?
Come ti capisco...

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9 Anni 3 Mesi fa - 9 Anni 3 Mesi fa #36495 da Clara
Risposta da Clara al topic Siamo solo ologrammi in 2D?
Rilassati! L’Universo è Solo una Simulazione al Computer


"Nel 1973, Rainer Werner Fassbinder dirige Die Welt am Draht, un film di fantascienza per la televisione tedesca. Il film rimane per anni nascosto nei pacchetti di internet, finché nel 2010 non ne viene presentata una versione restaurata alla Berlinale. Il film di Fassbinder racconta una realtà alla Matrix, in cui uno scienziato, Fred Stiller, gestisce un supercomputer che simula la vita di una città di 9000 abitanti. Quando uno degli individui simulati tenta il suicidio, Fred Stiller entra nella realtà simulata e incontra Einstein, l’unità di contatto. Einstein conosce la verità sulla sua esistenza e l’unico scopo della sua vita fatta di chip e circuiti è quella di risalire verso la realtà superiore. Tramite Einstein, Fred Stiller scopre che anche la sua è una realtà simulata e fa suo il desiderio di Einstein, riuscendo a risalire alla realtà superiore. Rimane, però, incapace di rispondere alla domanda che lo tormenta: “È anche questa una realtà simulata”?
Nick Bostrom e la civiltà post umana

Sono molti i filosofi che hanno affrontato la questione della realtà come un’illusione. Cartesio è probabilmente il primo dei moderni pensatori che ha provato a fornire una teoria filosofica della mente e della percezione della realtà, culminata nel suo famoso cogito ergo sum. Secoli dopo, nel 2003, Nick Bostrom, filosofo alla Oxford University, pubblica un articolo dal titolo: Are you living in a computer simulation?

Nick Bostrom propone un’ipotesi intrigante, che vale la pena esaminare. Il filosofo assume che in un futuro non lontano sia possibile simulare un’intera realtà al computer. Non è affatto improbabile: la crescita esponenziale della capacità di calcolo odierna significa che in alcuni decenni potremmo essere in grado di realizzare una simulazione di una realtà complessa, con uomini, emozioni, pianeti, galassie e universi. Se questo è tecnologicamente plausibile, conclude Bostrom, allora è improbabile che la nostra non sia una realtà simulata all’interno di un computer gestito da scienziati post umani.
… E gli scienziati “dimostrano” l’esistenza di una realtà simulata

In un articolo pubblicato su arXiv nell’Ottobre 2012, Savage e il suo team afferma che esiste una forte evidenza statistica che il nostro universo sia in realtà una elegante simulazione al computer. Per capire come sia possibile dimostrarlo, riprendo un esempio di Mike Adams in un suo articolo su Nature.

Mentre leggi questo articolo, stai guardando un monitor la cui immagine è costituita da un numero finito di pixel (la risoluzione dello schermo), per esempio, 1920 x 1440. Cioè, ci sono 1920 pixels nella direzione orizzontale e 1440 in quella verticale. I pixels sono i punti più piccoli, indivisibili, del tuo schermo. Tutto ciò che esiste sul tuo schermo appare sulla griglia di pixels generata dal tuo computer. Cioè, il tuo monitor ha un limite di risoluzione che è una caratteristica intrinseca dell’hardware.

Lo studio di Savage e il suo team dimostra che anche la nostra realtà è… pixelata. No, no, non cercare i pixel guardando un tramonto! Non riuscirai a vederli perché la risoluzione del nostro universo è infinitamente più grande dello schermo di un computer. Per quanti piccoli siano questi punti indivisibili, se esistono è possibile scovarli, dimostrare che c’è un limite di risoluzione dell’hardware, e che, cioè, il nostro universo è una simulazione al computer.

Savage e il suo team hanno mostrato che i livelli di energia dei raggi cosmici si “sgranano” quando zoommiamo “troppo” la “immagine” dell’universo. In altre parole, le leggi che governano le radiazioni elettromagnetiche sono limitate dalla risoluzione della simulazione 3D che noi chiamiamo universo. Dai uno sguardo al video in cui Savage spiega i suoi studi – inglese
Se fosse proprio così?

Lo so, è difficile crederci. E poi, la verità scientifica è un concetto complesso e elusivo, una verità è tale fin quando non se ne dimostra il contrario. Ma supponiamo che gli studi di Savage siano confermati… Allora dovremmo chiederci: chi sono i creatori della realtà simulata? Perché hanno realizzato la simulazione? E poi: possiamo contattare gli altri livelli della realtà?

Beh, dopo aver visto Die Welt am Draht e Matrix, direi che il primo posto da provare sia una di quelle cabine telefoniche vecchio stile sparse per le strade di Londra… chissà che non si acceda a una realtà superiore."

Ecco lo studio:

High Energy Physics - Phenomenology
Constraints on the Universe as a Numerical Simulation
Silas R. Beane, Zohreh Davoudi, Martin J. Savage
(Submitted on 4 Oct 2012 (v1), last revised 9 Nov 2012 (this version, v2))

Observable consequences of the hypothesis that the observed universe is a numerical simulation performed on a cubic space-time lattice or grid are explored. The simulation scenario is first motivated by extrapolating current trends in computational resource requirements for lattice QCD into the future. Using the historical development of lattice gauge theory technology as a guide, we assume that our universe is an early numerical simulation with unimproved Wilson fermion discretization and investigate potentially-observable consequences. Among the observables that are considered are the muon g-2 and the current differences between determinations of alpha, but the most stringent bound on the inverse lattice spacing of the universe, b^(-1) >~ 10^(11) GeV, is derived from the high-energy cut off of the cosmic ray spectrum. The numerical simulation scenario could reveal itself in the distributions of the highest energy cosmic rays exhibiting a degree of rotational symmetry breaking that reflects the structure of the underlying lattice.

arxiv.org/abs/1210.1847
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9 Anni 3 Mesi fa - 9 Anni 3 Mesi fa #36532 da Clara
Risposta da Clara al topic Siamo solo ologrammi in 2D?
Se il cosmo è una caverna di Platone
Andrea Vaccaro
27 luglio 2014
Certe idee filosofiche non finiscono, fanno giri immensi e poi ritornano. Pensiamo all’intuizione platonica del 'mito della caverna' secondo cui il mondo nel quale viviamo è solo un’ombra, scialba e fallace, della vera realtà. L’idea, che è fondamentale nella cultura induista incentrata sul concetto di maya (illusione), ricompare nel dubbio iperbolico cartesiano, nel mondo come rappresentazione di Schopenhauer e in varie forme di fenomenismo e fenomenologia.

Alla metà degli anni Novanta, Karl Popper, con pungenti pamphlet, avvertì del pericolo incorso dalla nuova umanità di una più morbida caverna, dove le catene arrugginite erano sostituite da poltrone e sofà e l’oscuro muro riflettente dal rutilante schermo televisivo su cui scorre solo la parziale parvenza di ciò che realmente accade. Epoca che vai, tecnologia che trovi. Nel primo decennio del 2000, imbattendosi sempre più raramente in caverne e avendo il computer superato in pervasività la tv, ecco che l’idea si ripresenta con coloriture molto peculiari. Nel 2003, il poco più che quarantenne filosofo svedese Nick Bostrom, docente a Oxford, con Stai vivendo in una simulazione al computer?, pubblicato sul prestigioso 'Philosophical Quarterly ',
sfida il mondo a confutare il suo cosiddetto Simulation Argument
per cui l’umanità crede, sì, di vivere in una realtà effettiva mentre, in realtà (è proprio il caso di usare questa espressione), si muove solo in uno scenario simulato da qualche Programmatore nettamente 'più evoluto'. L’argomento, molto dibattuto e più volte aggiornato, poggia, empiricamente, su quelle straordinarie invenzioni che sono i programmi di simulazione cosmologica e sulla convinzione che molto presto sarà possibile, e neppure troppo arduo, simulare nel dettaglio la vita del nostro cosmo e di tutti i suoi abitanti. Raggiunto questo livello tecnologico, la programmazione di 'cosmi possibili' sarà letteralmente un gioco da ragazzi, non escludendo, infatti, che questo possa passare nell’ordine dei video-giochi. I cosmi virtuali prolifereranno enormemente. Allora, conclude la provocazione di Bostrom, è più probabile per il nostro mondo e per noi stessi pregiarsi di essere quella prima civiltà capace di 'costruire virtualmente' altri universi oppure rassegnarsi a essere gli abitanti di uno di quei mondi virtuali e programmati?

Considerato che il mondo originale è uno e quelli simulati sono milioni, lo scarno calcolo statistico, per noi, risulta praticamente impietoso. Finché si tratta di speculazioni filosofiche, tutto questo rimane tollerabile, perché, come si sa, i filosofi amano 'pensare strano', ma il problema è che, adesso, ci si mette anche la scienza. Infatti, più o meno influenzati dall’argomentazione di Bostrom, nonché da altri non trascurabili fattori (soprattutto quantistici), uno stuolo di fisici teorici (che qualcuno chiama 'i nuovi metafisici') ha studiato scientificamente l’ipotesi dell’Universo come simulazione, con esiti poco rassicuranti per il pensiero 'normale'.

L’autorevolezza non manca in questa singolare indagine. Il cosmologo John Barrow, docente a Cambridge e vincitore del premio Templeton, è intervenuto con un possibilista Vivere in un Universo simulato; il fisico teorico dell’Università di Vienna Karl Svozil si è presentato al Simposio su 'Fisica e simulazione' a Linz nel 2003 con l’intervento- domanda: «Supponi di essere Dio: come avresti fatto?» e l’inaspettata risposta «non guardare troppo lontano: la soluzione può essere nel tuo desktop»; il collega Bernard D’Espagnat, altro vincitore del Templeton Prize, recupera in pieno l’intuizione platonica e assume la formula 'realtà velata', percepibile solo nella misura in cui si è capaci di andare oltre ciò che appare. Intanto, il docente di 'tecnologia sociale' all’Università di Auckland, Nuova Zelanda, Brian Whitworth sta adottando tutte le tattiche persuasive per convincere a considerare
Il mondo fisico come una realtà virtuale.

L’elenco di simili attestazioni sfocia nella notizia piuttosto recente di uno studio internazionale (S. Beane, Università di Bonn, Z. Davoudi e M. Savage, Università di Washington) che ha trovato il modo di testare scientificamente l’idea. Ad alimentare il dibattito, poche settimane fa, il filosofo Eric Steinhart pubblica on line la sua riflessione Le implicazioni teologiche sull’Argomento della simulazione. Sì, perché, com’è facile intuire, l’ipotesi di vivere in una realtà apparente fa scattare la domanda intorno alla vera realtà e al necessario Autore della presunta simulazione. E, così, mentre Steinhart, sulla base dell’ipotesi di Bostrom, scomoda confronti con le classiche argomentazioni sull’esistenza di Dio di Agostino (i gradi di perfezione), Tommaso (le prove cosmologiche) e soprattutto Leibniz (Sull’origine radicale delle cose), ecco che uno stretto collaboratore dello stesso Bostrom, parimenti non-religioso, ovvero David Pearce, prende le distanze dalla tesi dell’amico proprio perché essa finisce per diventare, suo malgrado, «la prima interessante dimostrazione dell’esistenza di Dio in duemila anni di storia». Anche il divulgatore scientifico Matthew Francis, in un’intervista su Aeon Magazine (21.1.2014), confessa: «Viviamo in una simulazione? Il mio istinto dice no, proprio perché non voglio credere nell’esistenza di un’Intelligenza che programma un mondo per gli esseri umani e vi introduce intenzionalmente la sofferenza». Il suo articolo si intitola Questa vita è reale? Antichi e nuovi motivi si incontrano; filosofia, scienza e teologia continuano a richiamarsi vicendevolmente nel comune intento di comprendere il mistero della realtà. Più di duemila anni di ricerche hanno donato notevolissimi frutti, eppure rimane forte ancora, in molti sensi, il presentimento di vedere come in uno specchio (opaco) e per enigma.
www.avvenire.it/Cultura/Pagine/PLATONE.aspx
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9 Anni 3 Mesi fa #36547 da Clara
Risposta da Clara al topic Siamo solo ologrammi in 2D?
Spostamento della realtà‬


Spostamento della realtà è un'espressione utilizzata dai proponenti dei fenomeni anomali per descrivere ciò che essi pensano essere cambiamenti enigmatici nella realtà fisica, spaziale o temporale. Questo potrebbe includere cambiamenti fisici non responsabili della realtà percepita, l'apparizione o la sparizione non spiegabile di oggetti di qualsiasi dimensione, guarigioni spontanee e forme di sincronicità.
Le cause di queste ipotetiche anomalie sono frequentemente disputate sia dai proponenti che dai denigratori.
Il termine è usato marginalmente. Vi sono pochi casi pubblicati in cui un cambiamento della realtà improvviso è stato considerato oggettivamente reale, e anche quelli sono considerati controversi. In questi casi, termini più popolari sarebbero fenomeni anomali o paranormali.
In molti casi l'esperienza è considerata dagli scettici un'allucinazione soggettiva che ha origine da una distorsione mentale della realtà.
Teorie della realtà dinamica
I proponenti degli spostamenti di realtà credono in una realtà dinamica malleabile e soggetta ad alterazioni dinamiche rispetto al suo "stato normale".
Tra coloro i quali sostengono questa ipotesi c'è lo scienziato informatico statunitense Rudy Rucker, che ha attribuito gli spostamenti di realtà ad "una sequenza di universi possibili, simili alle bozze di un romanzo". Nel suo libro La scatola della vita, la conchiglia e l'anima ("The Lifebox, the Seashell")[1] paragona ogni "lenzuolo della realtà" rigorosamente deterministico con una enorme trama di "coinvolgimenti" sincronici le cui cause ed effetti fluttuano avanti ed indietro attraverso il tempo in modo che cambiando qualcosa si cambia tutto attorno ad esso, nel futuro e nel passato.
Similmente, Michael Talbot, che ha scritto su questo argomento in diversi libri tra cui L'universo olografico,[2] ha proposto l'ipotesi che la realtà sia flessibile e capace di una grande scala di alterazioni, così come l'apparizione e la sparizione di intere file di alberi.[3] In particolare ha utilizzato la frase spostamenti nella realtà ("shifts in reality") per descrivere le sue opinioni sugli spostamenti della realtà che considera alterazioni radicali nel mondo, e include nel libro presunti miracoli ed eventi psicocinetici come esempi.
Talbot basa la maggior parte delle sue idee sui lavori del fisico David Bohm e del neurofisiologo Karl Pribram, i quali hanno entrambi proposto teorie olografiche o modelli dell'universo. Talbot ha sostenuto che gli esempi paranormali della realtà "suggeriscono che la realtà, in un senso prettamente reale, è un ologramma, un'idea complessa (construct).[3]
Un esempio personale che Michael Talbot ha condiviso ne L'universo olografico fu l'esperienza in cui lui ed il suo professore furono testimoni del caso di una donna la quale gettò in terra ai loro piedi un ombrello che emise strani e sfrigolanti suoni e si trasformò in un ramo nodoso.[3]
Naturalmente la teoria di Talbot dell'universo proposta come essenza in forma olografica in natura è solo una spiegazione per come tali alterazioni radicali siano possibili. Altri proponenti dell'ipotesi hanno presentato opinioni differenti.
Nel 1993 il sociologo David Erlandson ed un suo collega hanno posto le basi per condurre una ricerca alternativa, con uso di tecniche di indagine naturalistiche, e con menzione del significato del ruolo che gli spostamenti di realtà possono assumere nella ricerca naturalistica.[4] Erlandson mette in evidenza che il ricercatore naturalistico crede che l'instabilità osservata possa essere attribuita non solo ad un errore di misura, ma anche a spostamenti di realtà.

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