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Domanda Sulla chemioterapia

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7 Anni 7 Mesi fa - 7 Anni 7 Mesi fa #49242 da yagoo40
Risposta da yagoo40 al topic Sulla chemioterapia
Le autopsie rivelano che i tumori...

Luigi De Marchi, psicologo clinico e sociale, autore di numerosi saggi conosciuti a livello internazionale, parlando con un amico anatomo-patologo del Veneto sui dubbi dell’utilità delle diagnosi e delle terapie anti-tumorali, si sentì rispondere: «Sì, anch’io ho molti dubbi. Sapessi quante volte, nelle autopsie sui cadaveri di vecchi contadini delle nostre valli più sperdute ho trovato tumori regrediti e neutralizzati naturalmente dall’organismo: era tutta gente che era guarita da sola del suo tumore ed era poi morta per altre cause, del tutto indipendenti dalla patologia tumorale»[1].
«Se la tanto conclamata diffusione delle patologie cancerose negli ultimi decenni - si chiese Luigi De Marchi - in tutto l’Occidente avanzato fosse solo un’illusione ottica, prodotta dalla diffusione delle diagnosi precoci di tumori che un tempo passavano inosservati e regredivano naturalmente? E se il tanto conclamato incremento della mortalità da cancro fosse solo il risultato sia dell’angoscia di morte prodotta dalle diagnosi precoci e dal clima terrorizzante degli ospedali, sia della debilitazione e intossicazione del paziente prodotte dalle terapie invasive, traumatizzanti e tossiche della Medicina ufficiale. Insomma, se fosse il risultato del blocco che l’angoscia della diagnosi e i danni delle terapie impongono ai processi naturali di regressione e guarigione dei tumori?”.[2]

Con quanto detto da Luigi De Marchi - confermato anche da autopsie eseguite in Svizzera su cadaveri di persone morte non per malattia - si arriva alla sconvolgente conclusione che moltissime persone hanno (o avevano) uno o più tumori, ma non sanno (o sapevano) di averli.
In questa specifica indagine autoptica (autopsie) fatta in Svizzera, ed eseguita su migliaia di persone morte in incidenti stradali (quindi non per malattia), è risultato qualcosa di sconvolgente:

- Il 38% delle donne (tra i 40 e 50 anni) presentavano un tumore (in situ) al seno;
- Il 48% degli uomini sopra i 50 anni presentavano un tumore (in situ) alla prostata;
- Il 100% delle donne e uomini sopra i 50 anni presentavano un tumore (in situ) alla tiroide.[3]

Con tumore in situ s’intende un tumore chiuso, chiuso nella sua capsula, non invasivo che può rimanere in questo stadio per molto tempo e anche regredire.
Nel corso della vita è infatti "normale" sviluppare tumori, e non a caso la stessa Medicina sa bene che sono migliaia le cellule tumorali prodotte ogni giorno dall’organismo.
Queste, poi, vengono distrutte e/o fagocitate dal Sistema Immunitario, se l’organismo funziona correttamente.
Molti tumori regrediscono o rimangono incistati per lungo tempo quando la Vis Medicratix Naturae (la forza risanatrice che ogni essere vivente possiede) è libera di agire.
Secondo la Medicina Omeopatica , la “Legge di Guarigione descrive il modo con cui tale forza vitale di ogni organismo reagisce alla malattia e ripristina la salute”.[4]
Cosa succede alla Legge di Guarigione, al meccanismo vitale di autoguarigione, se dopo una diagnosi di cancro la vita viene letteralmente sconvolta dalla notizia del male?
E cosa succede all’organismo (e al Sistema Immunitario) quando viene fortemente debilitato dai farmaci?

Ulteriori dati poco conosciuti

Poco nota al grande pubblico è la vasta ricerca condotta per 23 anni dal prof. Hardin B. Jones, fisiologo dell’Università della California, e presentata nel 1975 al Congresso di cancerologia presso l’Università di Berkeley. Oltre a denunciare l’uso di statistiche falsate, egli prova che i malati di tumore che NON si sottopongono alle tre terapie canoniche (chemio, radio e chirurgia) sopravvivono più a lungo o almeno quanto coloro che ricevono queste terapie. [5]
Il prof. Jones dimostra che le donne malate di cancro alla mammella che hanno rifiutato le terapie convenzionali mostrano una sopravvivenza media di 12 anni e mezzo, quattro volte superiore a quella di 3 anni raggiunta da coloro che si sono invece sottoposte alle cure complete.[6]

Un'altra ricerca pubblicata su The Lancet del 13/12/1975 (che riguarda 188 pazienti affetti da carcinoma inoperabile ai bronchi), dimostra che la vita media di quelli trattati con chemioterapia è stata di 75 giorni, mentre quelli che non ricevettero alcun trattamento ebbero una sopravvivenza media di 120 giorni.[7]
Se queste ricerche sono veritiere, una persona malata di tumore ha statisticamente una percentuale maggiore di sopravvivenza se non segue i protocolli terapeutici ufficiali.
Con questo non si vuole assolutamente spingere le persone a non farsi gli esami, gli screening e i trattamenti oncologici ufficiali, ma si vogliono fornire semplicemente, delle informazioni che normalmente vengono oscurate, censurate e che possono, proprio per questo, aiutare la scelta terapeutica di una persona.
Ma ricordo che la scelta è sempre e solo individuale: ogni persona sana o malata che sia, deve assumersi la propria responsabilità, deve prendere in mano la propria vita. Dobbiamo smetterla di delegare il medico, lo specialista, il mago, il santone che sia, per questo o quel problema.
Dobbiamo essere gli unici artefici della nostra salute e nessun altro deve poter decidere al posto nostro.
Possiamo accettare dei consigli, quelli sì, ma niente più.

I pericoli della chemioterapia
Il principio terapeutico della chemioterapia è semplice: si usano sostanze chimiche altamente tossiche per uccidere le cellule cancerose.
Il concetto che sta alla base di questo ragionamento limitato e assolutamente materialista è che alcune cellule, a causa di fattori ambientali, genetici o virali, impazziscono iniziando a riprodursi caoticamente creando delle masse (neoplasie).
La Medicina perciò tenta di annientare queste cellule con farmaci citotossici (cioè tossici per le cellule). Tuttavia, questa feroce azione mortale, non essendo in grado di distinguere le cellule sane da quelle neoplastiche (impazzite), cioè i tessuti tumorali da quelli sani, colpisce e distrugge l’intero organismo vivente.
Ci hanno sempre insegnato che l’unica cura efficace per i tumori è proprio la chemioterapia, ma si sono dimenticati di dirci che queste sostanze di sintesi sono dei veri e propri veleni. Solo chi ha provato sulla propria pelle le famose iniezioni sa cosa voglio dire.

«Il fluido altamente tossico veniva iniettato nelle mie vene. L’infermiera che svolgeva tale mansione indossava guanti protettivi perché se soltanto una gocciolina del liquido fosse venuta a contatto con la sua pelle l’avrebbe bruciata. Non potei fare a meno di chiedermi: ‘Se precauzioni di questo genere sono richieste all’esterno, che diamine sta avvenendo nel mio organismo?’. Dalle 19 di quella sera vomitai alla grande per due giorni e mezzo. Durante la cura persi manciate di capelli, l’appetito, la colorazione della pelle, il gusto per la vita. Ero una morta che camminava».
[ Testimonianza di una malata di cancro al seno ]

Un malato di tumore viene certamente avvertito che la chemio gli provocherà (forse) nausea, (forse) vomito, che cadranno i capelli, ecc.
Ma siccome è l’unica cura ufficiale riconosciuta, si devono stringere i denti e firmare il consenso informato, cioè si sgrava l’Azienda Ospedaliera o la Clinica Privata da qualsiasi problema e responsabilità.
Le precauzioni del personale infermieristico che manipolano le sostanze chemioterapiche appena lette nella testimonianza, non sono una invenzione. L’Istituto Superiore di Sanità italiano ha fatto stampare un fascicolo dal titolo “Esposizione professionale a chemioterapici antiblastici” per tutti gli addetti ai lavori, cioè per coloro che maneggiano fisicamente le fiale per la chemio (di solito infermieri professionali e/o medici). Fiale che andranno poi iniettate ai malati.

Alla voce Antraciclinici (uno dei chemioterapici usati) c’è scritto che dopo la sua assunzione può causare: “Stomatite, alopecia e disturbi gastrointestinali sono comuni ma reversibili. La cardiomiopatia, un effetto collaterale caratteristico di questa classe di chemioterapici, può essere acuta (raramente grave) o cronica (mortalità del 50% dei casi). Tutti gli antraciclinici sono potenzialmente mutageni e cancerogeni”.[8]

Alla voce Procarbazina (un altro dei chemioterapici usati) c’è scritto che dopo la sua assunzione può causare: “E’ cancerogena, mutagena e teratogena (malformazione nei feti) e il suo impiego è associato a un rischio del 5-10% di leucemia acuta, che aumenta per i soggetti trattati anche con terapia radiante”.

In un altro documento, sempre del Ministero della Sanità (Dipartimento della Prevenzione – Commissione Oncologica Nazionale) dal titolo “Linee-guida per la sicurezza e la salute dei lavoratori esposti a chemioterapici antiblastici in ambiente sanitario” (documento pubblicato dalle Regioni e Province Autonome di Trento e Bolzano) c’è scritto: “Uno dei rischi rilevati nel settore sanitario è quello derivante dall’esposizione ai chemioterapici antiblastici. Tale rischio è riferibile sia agli operatori sanitari, che ai pazienti”.
Qui si parla espressamente dei rischi per operatori e pazienti.

Il documento continua dicendo: “Nonostante numerosi chemioterapici antiblastici siano stati riconosciuti dalla IARC (International Agency for Research on Cancer) e da altre autorevoli Agenzie internazionali come sostanze sicuramente cancerogene o probabilmente cancerogene per l’uomo, a queste sostanze non si applicano le norme del Titolo VII del D.lgs n. 626/94 ‘Protezione da agenti cancerogeni’. Infatti, trattandosi di farmaci, non sono sottoposti alle disposizioni previste dalla Direttiva 67/548/CEE e quindi non è loro attribuibile la menzione di R45 ‘Può provocare il cancro’ o la menzione R49 ‘Può provocare il cancro per inalazione’”.

Quindi queste sostanze, nonostante provochino il cancro, non possono essere etichettate come cancerogene (R45 e R49) semplicemente perché sono considerate “farmaci”.
Questa informazione è molto interessante.
Andiamo avanti: “Nella tabella 1 [vedi sotto, ndA] è riportato un elenco, non esaustivo, dei chemioterapici antiblastici che sono stati classificati dalla IARC nel gruppo ‘cancerogeni certi per l’uomo’ e nel gruppo ‘cancerogeni probabili per l’uomo’. L’Agenzia è arrivata a queste definizioni prevalentemente attraverso la valutazione del rischio ‘secondo tumore’ che nei pazienti trattati con chemioterapici antiblastici può aumentare con l’aumento della sopravvivenza. Infatti, nei pazienti trattati per neoplasia è stato documentato lo sviluppo di tumori secondari non correlati con la patologia primitiva”.

Tabella 1
Cancerogeni per l’uomo: Butanediolo dimetansulfonato (Myleran) - Ciclofosfamide - Clorambucil - 1(2-Cloretil)-3(4-metilcicloesil)-1-nitrosurea (Metil-CCNU) - Melphalan - MOPP (ed altre miscele contenenti alchilanti) - N,N-Bis-(2-cloroetil)-2-naftilamina (Clornafazina) - Tris(1-aziridinil)fosfinsolfuro (Tiotepa)

Probabilmente cancerogeni per l’uomo: Adriamicina - Aracitidina - 1(2-Cloroetil)-3-cicloesil-1nitrosurea (CCNU) - Mostarde azotate - Procarbarzina

Certamente si tratta di un elenco incompleto perché, sfogliando una trentina di bugiardini di chemioterapici, mancano diverse molecole cancerogene per ammissione stessa dei produttori.
In conclusione, il documento sulle “linee guida” riporta alla voce “Smaltimento”: “Tutti i materiali residui dalle operazioni di manipolazione dei chemioterapici antiblastici (mezzi protettivi, telini assorbenti, bacinelle, garze, cotone, fiale, flaconi, siringhe, deflussori, raccordi) devono essere considerati rifiuti speciali ospedalieri. Quasi tutti i chemioterapici antiblastici sono sensibili al processo di termossidazione (incenerimento), per temperature intorno ai 1000-c La termossidazione, pur distruggendo la molecola principale della sostanza, può comunque dare origine a derivati di combustione che conservano attività mutagena. È pertanto preferibile effettuare un trattamento di inattivazione chimica (ipoclorito di sodio) prima di inviare il prodotto ad incenerimento. Le urine dei pazienti sottoposti ad instillazioni endovescicali dovrebbero essere inattivate prima dello smaltimento, in quanto contengono elevate concentrazioni di principio attivo”.

Queste sostanze, che vengono sistematicamente iniettate nei malati, anche se incenerite a 1000°C “conservano attività mutagena”.
Ma che razza di sostanze chimiche sono mai queste?
La spiegazione tra poche righe.

L’amara conclusione, che si evince dall’Istituto Superiore di Sanità, è che l’oncologia moderna per curare il cancro utilizza delle sostanze chimiche che sono cancerogene (provocano il cancro), mutagene (provocano mutazioni genetiche) e teratogene (provocano malformazioni nei discendenti).
C’è qualcosa che non torna: perché ad una persona sofferente dal punto di vista fisico, psichico e morale, debilitata e sconvolta dalla malattia, vengono iniettate sostanze così tossiche?
Questo apparente controsenso - se non si abbraccia l’idea che qualcuno ci sta coscientemente avvelenando - si spiega nella visione riduzionista e totalmente materialista che ha la Medicina , ma questo è un argomento che affronteremo più avanti.

In Appendice sono stati pubblicati alcuni degli effetti collaterali (scritti nei bugiardini dalle lobby chimico-farmaceutiche che li producono) di circa trenta farmaci chemioterapici.
Uno per tutti: l’antineoplastico denominato Alkeran® (50 mg/10 ml: polvere e solvente per soluzione iniettabile che contiene come eccipiente: “acido cloridrico”) della GlaxoSmithKline. “Un alchilante analogo alla mostarda azotata”. Alchilante è un farmaco capace di combinarsi con gli elementi costitutivi della cellula provocandone la sua alterazione.[9]
Dal bugiardino si evince che questa sostanza chimica (usata nei malati tumorali), oltre a provocare la leucemia acuta (“è leucemogeno nell’uomo”), causa difetti congeniti nella prole dei pazienti trattati.
Alla voce “Eliminazione”, viene confermato quanto riportato sopra: “L’eliminazione di oggetti taglienti, quali aghi, siringhe, set di somministrazione e flaconi deve avvenire in contenitori rigidi etichettati con sigilli appropriati per il rischio.
Il personale coinvolto nell’eliminazione (dell’Alkeran) deve adottare le precauzioni necessarie ed il materiale deve essere distrutto, se necessario, mediante incenerimento”.
Incenerimento, come abbiamo letto prima, alla temperatura di 1000-1200 gradi!

La spiegazione è che queste sostanze sono analoghe alle “mostarde azotate”.
Il sito del Ministero della Salute italiano, alla voce “Emergenze Sanitarie”, si esprime così: “Le mostarde azotate furono prodotte per la prima volta negli anni ’20 e ’30 come potenziali armi chimiche. Si tratta di agenti vescicatori simili alle mostarde solforate che si presentano in diverse forme e possono emanare un odore di pesce, sapone o frutta. Sono note anche con la rispettiva designazione militare HN-1, HN-2 e HN-3. Le mostarde azotate sono fortemente irritanti per pelle, occhi e apparato respiratorio. Sono in grado di penetrare nelle cellule in modo molto rapido e di causare danni al sistema immunitario e al midollo osseo (…) che si manifestano già dopo 3-5 giorni dall’esposizione, che causano anche anemia, emorragie e un maggiore rischio di infezioni. Quando questi effetti si presentano in forma grave, possono condurre alla morte”.[10]

Per “curare” il tumore oggi vengono utilizzati degli ‘agenti vescicanti’: prodotti militari usati nelle guerre chimiche.
Anche se la ”guerra al cancro” viene portata avanti con ogni mezzo dall’establishment, ritengo che ci sia un limite a tutto.

Mi asterrò dal recar danno e offesa.
Non somministrerò ad alcuno,
neppure se richiesto, un farmaco mortale.
[ Giuramento di Ippocrate ]


www.disinformazione.it/chemioterapia2.htm
Ultima Modifica 7 Anni 7 Mesi fa da yagoo40.
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7 Anni 7 Mesi fa #49391 da yagoo40
Risposta da yagoo40 al topic Sulla chemioterapia
Intervista a Paolo Franceschetti - a cura di Lavinia Pallotta

1) Quando e perché hai cominciato a interessarti alle cure applicate al cancro?

L’argomento mi ha sempre interessato, perché il cancro è una delle prima cause di morte nel mondo e per l’interesse che ho sempre avuto per il rapporto tra malattie del corpo e dell’anima. Avevo letto i libri di Dalke, Claudia Rainville, Hamer e molti altri. Una vera e propria svolta però c’è stata quando si è ammalata di tumore la mia ex compagna, Mariapaola, morta poi ad aprile del 2014.

Si è trattato di un percorso particolare, perché da una parte lei è stata sempre informatissima non solo sulle cure alternative, ma anche sui progressi della sua malattia, che ha tenuto costantamente sotto controllo (a differenza di quello che fa la maggior parte dei pazienti che non si interessano attivamente alla cura e spesso neanche sanno qual è la loro reale condizione).

Ma la vera particolarità di questa esperienza è stata che Mariapaola ha scelto le cure tradizionali non per curarsi, ma per morire; non avendo mai avuto la forza di suicidarsi, ha scelto di uccidersi affidandosi alle terapie convenzionali, sapendo che, per il suo tipo di tumore, le terapie convenzionali non prevedevano possibilità di guarigione. Ha scelto le terapie convenzionali dicendo “so che in questo modo mi ammazzeranno”. Il suo tumore era infatti un cosiddetto “triplo negativo”, che statisticamente per la medicina ufficiale nell’80 per cento dei casi porta alla morte entro 2 anni.

Con altre cure aveva molte più probabilità anche in termini statistici, di sopravvivere, ... ... ma ha volontariamente scelto la strada peggiore per farla finita in breve tempo.

Fin dall’inizio quindi mi ha chiesto se la accompagnavo a morire, pur cercando (sia da parte sua che da parte mia) una strada per trovare la forza di vivere che le facesse cambiare atteggiamento. Strada che, purtroppo, non ha mai trovato. E io non sono mai riuscito ad aiutarla in questo.

2) Qual è la prassi medica ufficiale in caso di trattamento del tumore e quali sono i suoi effetti collaterali?

La cure convenzionali prevedono sempre gli stessi step, per quasi tutti i tumori. Chemioterapia, chirurgia, e radioterapia; in alcuni casi vengono prescritte terapie ormonali e terapie con farmaci a bersaglio molecolare specifico.

3) La chemioterapia ha mai guarito dal cancro?

Una recente statistica ha dimostrato che solo il sessanta per cento dei pazienti sopravvive nei 5 anni; le statistiche a dieci anni ed oltre sono quasi impossibili da trovare, ma una recente studio parla del 2 per cento di sopravvivenza dopo di dieci anni. In altre parole la chemioterapia e le terapie convenzionali non guariscono ma portano alla morte certa.

Occorre poi fare una precisazione importante. La chemioterapia, la radioterapia, come la chirurgia, non sono “cure” in senso stretto. Una cura, per essere veramente tale, deve produrre la guarigione, il che significa la scomparsa della causa della malattia, e non semplicemente puntare ad eliminare i sintomi. Ecco, le terapie convenzionali non hanno come effetto quello di eliminare le cause ma solo quello di eliminare i sintomi (peraltro facendone comparire altri talvolta molto gravi) e aumentare la sopravvivenza. Si può parlare di “guarigione” solo nel caso di scomparsa della causa del tumore, o nel caso di una sopravvivenza piena dell’individuo.

Non rimuovendo la causa, con le terapie convenzionali il tumore prima o poi insorge nuovamente. E per giunta in molti casi le strade convenzionali non riescono neanche nei loro obiettivi dichiarati. Ad esempio Mariapaola dal momento della diagnosi è sopravvissuta dieci mesi; mi domando quando sarebbe sopravvissuta senza chemioterapia, e preferisco non conoscere la risposta.

4) Quali sono le principali cure cosiddette alternative utilizzate nel trattamento del tumore?

Le cure sono molte. Abbiamo innanzitutto la terapia Di Bella, la medicina antroposofica, poi il metodo Pantellini, il metodo Abramo, il metodo Gerson, e le varie terapie naturali a base di piante (Graviola, Artemisia Annua, Aloe, formula di Renè Caisse, ecc.), il metodo Simoncini. Anche le varie tradizioni mediche, come la medicina ayurvedica e quella cinese, hanno delle loro terapie specifiche, che possono affiancare o in alcuni casi sostituire le terapie convenzionali.

5) Hai prove della loro efficacia?

In alcuni casi si, in altri no, perlomeno non se si intende come prova una sperimentazione scientifica vera e propria. La terapia Di Bella ha dalla sua parte migliaia di casi documentati in modo scientifico. Personalmente poi ho conosciuto e conosco molte persone curate con la questo metodo con risultati non semplicemente buoni, ma eccezionali. Una discreta documentazione esiste anche per il metodo Pantellini e il metodo Abramo. E migliaia di casi documentati esistono per la terapia antroposofica a base di Iskador. Della cura a base di Aloe abbiamo studi effettuati in varie parti del mondo da gruppi di ricercatori isolati; in Italia uno studio recente è stato condotto dal professor Lissoni del San Gerardo di Monza. Abbiamo poi le ricerche effettuate da padre Romano Zago per i quali non può parlarsi di veri e propri studi scientifici in senso stretto, ma è comunque un’esperienza con cui sono stati osservati migliaia di casi.

Di altri metodi purtroppo abbiamo minore documentazione, anche perché gli studi effettuati vengono spesso nascosti, alterati, o boicottati. Sulla Graviola ad esempio sono stati effettuati degli studi, ma non tutti riguardavano il tumore e soprattutto non tutti i tipi di tumore.

Diciamo che esistono delle terapie che hanno dalla loro parte un buona documentazione. In alcuni casi, poi, ricorrendo al buonsenso, si arriva comunque a dei risultati notevoli. Ti farò due esempi. Vi sono pochi studi che mettano in correlazione le guarigioni da diversi tipi di tumore con alte dosi di betacarotene, acido ascorbico e ribosio. Se però scopro che oltre agli studi in Italia di Pantellini, nella medicina ayurvedica per combattere il tumore si consiglia di assumere alte dosi di vitamina C e betacarotene, e che la stessa cosa la fa la medicina cinese, facendo due più due direi che posso raggiungere una conclusione importante, e cioè che l’assunzione di acido ascorbico in grosse quantità favorisce l’arresto del tumore. E questo anche in assenza di studi che abbiano l’approvazione ministeriale e il consenso della classe medica ufficiale per quello specifico tipo di tumore.

Nessuno ha mai potuto testare, per ovvi motivi, che differenza passa nella sopravvivenza di una persona che si cura il tumore con la chemio e una che non si curasse per niente. Viene però il sospetto che a volte, se la persona non si fosse curata affatto, avrebbe miglior fortuna rispetto al fare una cura a base di chemio. Da una parte abbiamo Hamer che ha dimostrato con argomenti abbastanza convincenti che le cause delle metastasi originano proprio nelle cure convenzionali; fin qui potrei non fidarmi e potrebbe non bastarmi come dato. Vengo però a sapere che uno studio effettuato su centinaia di cadaveri ha dimostrato che molte persone convivevano con un tumore maligno da anni, senza avere conseguenze. A quel punto è confermata la teoria di Hamer. Ma non basta. Vengo a sapere di numerosi casi che, senza conoscere Hamer, venuti a sapere che avevano un tumore, non si sono curati affatto perché erano dati per spacciati e sono vivi e vegeti. Una persona a Napoli dopo la diagnosi ha cambiato vita ed è andato a fare il pescatore a Procida per finire così gli ultimi mesi che gli restavano ed oggi è ancora vivo contro tutte le aspettative; il direttore della rivista Delitti e Misteri, Francesco Mura, ha avuto una diagnosi di cancro ai reni con tre mesi di vita di prognosi, e senza cure oggi è vivo dopo oltre quindici anni.

A Tiziano Terzani dettero pochi mesi di vita se non faceva una chemio per le sue metastasi, e visse oltre sei anni decidendo di non curarsi affatto. Viene da domandarsi: ma queste persone senza chemio sarebbero sopravvissute lo stesso? Il dubbio è forte.

E poi c’è Mariapaola. Un tumore al seno di tre centimetri si è trasformato in un tumore metastatizzato ed è morta in dieci mesi. Senza chemio quanto sarebbe durata? Se avesse seguito altre terapie oggi sarebbe ancora viva, di questo ne sono certo. Ne era certa anche lei, tanto è vero che, come ho detto, ha scelto di fare la chemioterapia proprio per uccidersi – come diceva lei – “in modo condiviso dalla società e dai parenti”.

Insomma, dove non arriva la statistica e la scienza ufficiale possono arrivare il buonsenso e la logica. Di recente comunque c’è una diffusissima tendenza a confondere le terapie per cui esistono “studi scientifici” con quelle per cui esiste “l’approvazione del ministero della salute”. Si tratta di una confusione generata appositamente da organi di disinformazione.

Per la Terapia Di Bella, l’Aloe, e altri metodi esistono studi scientifici seri; il problema è che non hanno l’approvazione del Ministero della salute e non sono riconosciute in Italia.

Ma basta pensare che in altri stati, ad esempio in Germania, molte cure naturali sono passate dallo stato; e in Svizzera alcune cliniche sono convenzionate con i sistemi nazionali di altri paesi, e rimborsano qualsiasi tipo di terapia, dalla Di Bella all’omeopatia, per capire che il concetto di “cura non riconosciuta dal SSNN” non è sinonimo di “cura non valida, o scientificamente non riconosciuta”.

Tra l’altro l’Italia è l’unico paese dove esiste una guerra dichiarata contro certe cure naturali o alternative; basti pensare che le cure per malati oncologici passate da alcune cliniche svizzere sono rimborsate dalla maggior parte degli Stati europei, ma non dall’Italia, per cui risulta difficile far ricoverare in convenzione un paziente italiano.

6) Dove vengono somministrate tali cure alternative e a chi si deve rivolgere un paziente eventualmente interessato?

Dipende dalla cura scelta, e da molti altri fattori, come il luogo di residenza, e il reddito individuale. Una cura Di Bella ad esempio costa mediamente oltre 1000 euro al mese, fino a 1600 e anche più; una somma che non tutti possono permettersi. Come non tutti possono permettersi le somme per curarsi in una delle cliniche antroposofiche sparse nel mondo. Il metodo Abramo unito ad una cura a base di Aloe costa invece poche decine di euro al mese e può essere affrontato da chiunque, specie se il paziente sta già sottoponendosi ad una terapia tradizionale.

7) Vi sono anche ospedali o cliniche “ufficiali” che le utilizzano?

Le cliniche e gli ospedali in cui si praticano tecniche alternative, perlomeno in Italia, sono inesistenti. Nella Lukas Klinik in Svizzera su richiesta del paziente si pratica qualsiasi altro tipo di cura e così anche in altre cliniche antroposofiche.

Personalmente ho potuto constatare che all’hospice Nicola Falde, dove Mariapaola è morta, su richiesta praticavano qualsiasi tipo di cura, ma purtroppo lì la situazione è particolare. Trattandosi infatti di un hospice per malati terminali, a quel punto il paziente viene lasciato libero di curarsi, tanto è dato per spacciato; la loro responsabilità giuridica è quindi diversa. Proprio per la condizione medico e giuridica particolare di questa struttura, sono venuto a conoscenza di pazienti a cui avevano dato pochi giorni di vita e che invece dopo un anno sono ancora in vita e relativamente in buona salute; un risultato impossibile da conseguire in un ospedale tradizionale; di recente ho saputo che hanno dimesso un paziente che era stato dato per spacciato al momento dell’arrivo e che invece è vissuto un anno e oggi è tornato a casa; io stesso ho conosciuto una paziente data per spacciata, Giusi, a cui avevano dato pochi giorni di vita, affetta da tumore metastatico e elefantiasi; anche lei ora è in vita dopo oltre un anno, cammina, sia pure con difficoltà e ha raggiunto un certo grado di serenità, compatibilmente con la sua condizione.

In Italia il problema è una legislazione dissennata, unita ad una giurisprudenza spesso demenziale, per la quale il medico che segue i protocolli ufficiali non rischia nulla, anche se il paziente muore.

Se invece segue un protocollo diverso lo fa a suo rischio e pericolo e in alcuni casi il medico passa dei guai; e questo anche se fa un tentativo in extremis e il paziente era destinato comunque alla morte. Il caso di Simoncini insegna. Ha avuto problemi con la legge italiana per aver curato una persona che era comunque spacciata applicando i protocolli ufficiali, ed è stato perseguito legalmente per aver seguito un diverso protocollo. Una follia, possibile solo in un sistema giuridico al servizio delle multinazionali del farmaco.

8 Queste cure alternative vengono mai proposte al paziente dai medici standard? Se sì in quali circostanze?

Quasi nessun ospedale utilizza cure alternative. In alcuni casi però singoli medici consigliano come supporto e rinforzo diete specifiche, o integratori a base di Aloe, ecc., ma si tratta di iniziative individuali di singoli medici.

Il medico ospedaliero infatti deve seguire per legge il protocollo, che non prevede tutto questo. Il risultato di questa sistema giuridico e medico, è che i pazienti vengono lasciati in ospedale a fare chemioterapia e radioterapia, e si permette loro di mangiare dolci, carne, farine bianche, latticini, ecc. Non esistono diete specifiche per malati oncologici. Quando Mariapaola era ricoverata con la metastasi al fegato c’era un equipe di sei medici (sei!!!) e nessuno si era premurato di seguirne la dieta o fargli assumere integratori, accanto a lei c’erano malati con metastasi a intestino, fegato, colon, ecc., e mangiavano di tutto, dai fritti ai dolci. Questa è l’assurdità di un sistema iperspecialistico dove il medico conosce a memoria i tipi di chemioterapico da somministrare per i singoli tumori, ma poi non ha la minima idea degli effetti dell’acido ascorbico sul paziente oncologico; ma soprattutto dà l’esatta misura del disinteresse reale che c’è per il paziente da parte dei medici operanti nelle strutture ospedaliere.

D'altronde questo è anche il risultato di un'università impostata male e con corsi di studi totalmente insufficienti; basti pensare che la laurea in medicina non prevede come esame obbligatorio la scienza dell'alimentazione, il che significa che i medici sono completamente all'oscuro di ogni cognizione dietetica, a meno che non decidano di informarsi autonomamente.

Il paradosso di questo stato di cose poi si traduce in casi ove alcuni medici consigliano diete specifiche, Aloe, melatonina ed altre sostanze naturali, e poi il paziente risulta “guarito” grazie alla chemio, e viene inserito statisticamente come un successo della medicina convenzionale.

9) Sebbene siano immaginabili, puoi riportarci le ragioni della scelta di chemio e radioterapia da parte della medicina ufficiale? Quali interessi ci sono dietro?

Le ragioni sono presto dette. Una cura a base di chemio costa allo stato (e quindi fa guadagnare le cause farmaceutiche) decine o centinaia di migliaia di euro, a seconda del tipo di chemioterapico. Un trattamento di radioterapia viaggia su cifre superiori. Un malato oncologico, quindi, costa allo stato centinaia di migliaia di euro tra ricadute, medicinali di supporto, degenze, ecc.

Una cura Di Bella farebbe spendere allo stato poche decine di migliaia di euro e quasi zero euro per farmaci di supporto. Ad esempio i dolori, con la terapia Di Bella, scompaiono del tutto o si attenuano, quindi il paziente non assume antidolorifici o ne assume comunque meno. Ovviamente si tratta di guadagni sottratti alle case farmaceutiche.

Anche altri metodi, con altri protocolli, abbatterebbero tali guadagni. Faccio un esempio. Una persona che conosco si è curata dal tumore, ed è viva dopo quasi venti anni, con sole terapie naturali, evitando una costosa operazione all’orecchio che l’avrebbe resa semi paralizzata.

Ha speso in tutto quindi poche decine di euro al mese, guadagnandone in salute da altri punti di vista. Se si fosse curata con la chemio e si fosse operata avrebbe fatto spendere allo stato decine di migliaia di euro, senza contare tutti i soldi in farmaci che servono per alleviare gli effetti collaterali: antiemetici, antidolorifici, farmaci per la circolazione, ecc.

Francesco Mura, che ho citato prima, a cui avevano diagnosticato un tumore al rene e dato pochi mesi di vita, avrebbe fatto guadagnare alle case farmaceutiche qualche decina di migliaia di euro per chemio, operazione, ecc., più centinaia di euro in farmaci di altro tipo.

Curandosi in modo naturale, alle case farmaceutiche vengono sottratti tutti questi guadagni.

10) Cosa pensi personalmente della medicina standard o ufficiale?

Penso che la medicina cosiddetta ufficiale abbia raggiunto traguardi eccezionali, sconosciuti alle medicine orientali e a quelle cosiddette naturali, in certi campi (si pensi alla chirurgia, ad esempio).

D’altro canto in altri settori essa si dimostra totalmente fallimentare. Senza andare troppo lontani, prendo il caso che mi riguarda: ho una malattia degenerativa giudicata incurabile dalla medicina tradizionale (la psoriasi artropatica) ma che invece a me risulta curabilissima semplicemente stando attento alla dieta. Gli errori che fa la medicina tradizionale sono due; anzitutto di non integrarsi con le scoperte, spesso risalenti a millenni addietro, delle altre medicine e di considerarsi “l’unica” possibile, in secondo luogo quello di andare alla ricerca del “farmaco” per eliminare il sintomo, senza tenere conto che l’uomo è un tutto inscindibile e andare ad eliminare un solo sintomo nella maggior parte dei casi significa farne comparire un altro, diverso o analogo, da altre parti.

In realtà il medico dovrebbe avere come unico fine quello di guarire il paziente, e per raggiungere tale scopo dovrebbe utilizzare tutti i mezzi, da qualsiasi fonte o tradizione provengano, scegliendoli unicamente in base alla loro efficacia. Un medico vero, che sia davvero interessato alla vita e alla salute dei propri pazienti, avrebbe il dovere morale di studiare altre tradizioni mediche e sperimentare nuovi approcci. Ma per fare questo occorrerebbe una riforma non solo del sistema universitario, ma soprattutto della mentalità delle persone e della società; la professione dovrebbe essere svolta per passione e inclinazione, non per prestigio e/o guadagno, come avviene oggi nella maggior parte dei casi. Il medico poi dovrebbe essere pagato come accadeva nella antica tradizione cinese, cioè solo se il paziente guariva, e dovrebbe essere visto non tanto come uno che “cura” il male, ma come uno che lo previene. Ma qui il discorso diventa complesso ed esula dal tema dell’intervista.

Insomma, ciascuna tradizione medica dovrebbe prendere il meglio delle proprie conoscenze, integrandole con il meglio delle altre, per rendere sempre più efficace la cura del paziente.

Purtroppo la maggior parte dei medici si limita a studiare solo ciò che propone il proprio corso di studi universitario, si specializza in settori particolari, e trascura l’immenso patrimonio di conoscenze delle altre culture e tradizioni, rendendo spesso, di fatto, la cura del paziente totalmente inefficace, quando non addirittura nociva.

11) Hai scelto di dedicare al tema un blog ad hoc. Qual è il suo scopo? Chi ti ha contattato finora?

Lo scopo è quello di riunire tutte le conoscenze e le competenze possibili in materia di cura dei tumori, dando consigli sia a chi segue le terapie tradizionali, sia a chi vuole orientarsi in terapie alternative e/o complementari.

Nel nostro blog si affronta quindi sia il problema delle terapie convenzionali, ma si parla poi di terapia Di Bella, Simoncini, Hamer. Pantellini, metodo Abramo, Gerson, Aloe, per fornire poi una serie di consigli alimentari e altri ancora riguardanti integratori naturali (Graviola, Ganoderma Lucidum, Artemisia Annua ecc.).

L’ho chiamato con le ultime parole di Mariapaola che, a poche ore dalla morte, rifiutandosi di prendere la terapia Di Bella, disse “non è questa la cura Paolo, e tu lo sai”, alludendo alla cura dell’anima. Per ricordare che nessuna cura funzionerà davvero, se la persona non si prende cura della propria anima, cambiando stile di vita e modo di pensare.

E’ anche un modo per dare un senso alla vita di Mariapaola e alla sua morte, lì dove lei faticava a vederli. E per dare un senso al mio rapporto con lei, che in vita non avevo capito del tutto.

I contatti sono molti. Si va da persone che raccontano la loro esperienza, a persone che chiedono consigli, numeri telefonici, ecc. Credo che mancasse un sito come questo in Italia, che raccogliesse tutte le informazioni possibili per chi vuole curarsi in modo diverso, tant’è vero che mi hanno chiamato anche medici o infermieri, non tanto per chiedermi una consulenza sulla cura, ma per avere contatti e numeri di telefono di chi pratica altre cure e vende altri prodotti (non sempre facilmente rinvenibili in commercio). La maggior parte di coloro che praticano terapie naturali mostrano talvolta la stessa chiusura di coloro che praticano le terapie convenzionali, non dialogando tra loro. Anche tra i ricercatori e medici che curano e studiano terapie alternative c’è spesso una totale incomunicabilità e una pervicace volontà di non studiare i lavori fatti da altri; chi pratica e segue Simoncini non conosce Hamer o lo critica; chi pratica la Di Bella non dialoga con chi pratica il protocollo Pantellini o Abramo e non ha mai sentito parlare di Hamer o di Claudia Rainville. Il risultato è una confusione pazzesca, che nuoce al paziente.

Sono convinto che il paziente deve riappropriarsi della cura, non delegando quindi ai medici, spesso incompetenti, la tutela di un bene fondamentale quale è quello della propria vita. E questo sito vuol essere un piccolo aiuto per coloro che vogliono prendere in mano le redini della propria cura, non fidandosi completamente né della medicina convenzionale né della medicina alternativa, ma solo di se stessi.

Fonte
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